Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

IL SOSPETTO

Il procuratore Piero Grasso: ''Resta il sospetto che la strage di Capaci non sia stata opera solo di Cosa nostra''

28 ottobre 2009

"Non c'è dubbio che la strage che colpì Falcone e la sua scorta siano state commesse da Cosa Nostra. Rimane però l'intuizione, il sospetto, chiamiamolo come vogliamo, che ci sia qualche entità esterna che abbia potuto agevolare o nell'ideazione, nell'istigazione, o comunque possa aver dato un appoggio all'attività della mafia".
Questo il sospetto del procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso, che a Palazzo San Macuto, davanti alla Commissione Antimafia presieduta da Giuseppe Pisanu, ieri, ha rilanciato la "lettura" dell'uccisione del giudice come qualcosa di non completamente riconducibile a Cosa Nostra.
Da che cosa nasce il sospetto Grasso non lo ha spiegato nel dettaglio, ma quanto detto basta per tenere gli occhi aperti su questo "ritorno di fiamma" dell’inchiesta sulle stragi siciliane. Dopo avere condotto a Milano ed alle frequentazioni politiche dei fratelli Graziano con le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza e a ministri, magistrati che sapevano e non ricordavano alcune circostanze che precedettero e seguirono le fasi della presunta trattativa – smentita dagli ufficiali di carabinieri indicati come portatori sani – con la deposizione di Piero Grasso, l’inchiesta si sposta ancora e lascia prevedere altri sviluppi finora solo vagamente accennati.
Davanti alla commissione, dopo aver citato numerosi passaggi della sentenza fiorentina sulla strage dei Georgofili e della sentenza dei giudici di Caltanissetta sul 'Borsellino bis', il procuratore si è posto un quesito che ha girato ai commissari: perché si passò dall'ipotesi di colpire Falcone mentre passeggiava per le strade di Roma all'attentato con 500 chilogrammi di esplosivo, collocato a Capaci? La scelta dell'attentato, ha detto Grasso, ha una modalità "chiaramente stragista ed eversiva". "Chi ha indicato a Riina queste modalità con cui si uccide Falcone? Finchè non si risponderà a questa domanda sarà difficile cominciare ad entrare nell'ordine di effettivo accertamento della verità che è dietro a questi fatti", ha aggiunto il procuratore.
In precedenza, Grasso aveva ricordato che inizialmente Falcone era in un elenco di obiettivi da colpire a Roma, elenco che comprendeva anche il ministro Martelli, il giornalista Andrea Barbato e Maurizio Costanzo. Oltre a fare i sopralluoghi per colpire Costanzo, i mafiosi a Roma frequentavano noti ristoranti per verificare se il giudice vi andasse a cena. Secondo la ricostruzione di Grasso, a un certo momento, nel marzo 1992, il mafioso che era stato incaricato di eseguire i sopralluoghi venne informato da Totò Riina che non c'era più bisogno di colpire Falcone a Roma, perché si era "trovato qualcosa di meglio".

Tornando sul tema della trattativa 'stato-mafia', Grasso ha detto che non si tratta di una novità dal momento che proprio la sentenza 'Borsellino bis' ne parla legandola al tema dell'accelerazione della strage di Via d'Amelio. Un attentato che, nella ricostruzione giudiziaria, rimane "una strage distinta dalle altre, che ha distratto Cosa Nostra dagli altri obiettivi che si era data, come l'eliminazione di Calogero Mannino". In pratica Grasso ha ricordato che il 'Borsellino bis' accredita la tesi dei contatti tra istituzioni e boss nell'ambito dei quali l'eliminazione del giudice serviva per convincere lo Stato a scendere a patti. Gli stessi militari del Ros - ha aggiunto - hanno ammesso che solo dopo Via d'Amelio gli incontri con Ciancimino avvennero alla presenza del colonnello Mori, non più del solo capitano Di Donno. Grasso ha poi sottolineato che "in Italia c'è poca memoria: la stagione stragista del '92-93, accanto ai 'programmì realizzati (omicidio Lima, Falcone, Borsellino, Salvo) ne conta anche tanti non compiuti (uccisione di Mannino, Purpura, Martelli, Salvo Andò, Antonio Di Pietro, Carlo Vizzini, il capo della mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, il capitano 'Ultimo', e anche dello stesso Grasso)". Il 'superprocuratore' ha inoltre aggiunto che la sentenza sui Georgofili parla di "improvvide iniziative istituzionali" per definire i contatti 'Stato-mafia' portati avanti da interlocutori che sarebbero stati "frange particolari dell'amministrazione statale, anche se non identificate". Infine Grasso ha ricordato che "oggi Massimo Ciancimino ai giudici dice che il padre avrebbe avuto, oltre a Mori e De Donno, un altro interlocutore al quale avrebbe dato il 'papello': questa persona sarebbe stato un rappresentante dei 'servizi' ma le indagini sono in corso e non è stato identificato".

Ciò che sospetta Grasso, tuttavia, contraddice in qualche modo gli argomenti finora messi in campo per delineare i contorni della trattativa fra Stato e Cosa nostra. Affidata all’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, grazie alla sua disponibilità a mettersi in mezzo, essa aveva finora visto da una parte Totò Riina ed i suoi accoliti, fare proposte con l’arcinoto papello, il mediatore Ciancimino molto severo nello 'sbianchettamento' di richieste improponibili e lo Stato rappresentato, ma fino a un certo punto, dal colonnello Mori e dal capitano De Donno, i quali non se la sono certo tenuta in serbo la patata bollente ma l’hanno annunciata ad un sacco di gente.
Se, come sospetta Grasso, c’è una entità esterna nel complotto per la strage di Falcone, la trattativa non può riguardare unicamente Cosa nostra, a meno che Cosa nostra abbia voluto giocare su due piatti contemporaneamente, prendendo in considerazione "la commessa" da una parte, e cercando di ottenere vantaggi da uno scambio fra una rinuncia a colpire e il ritorno alle vecchie procedure di politica giudiziaria, molto più garantiste. Cosa nostra, in genere, lavora per sé e per altri. La sua azione è determinata da moventi multipli che si innestano su piani paralleli con i vari livelli gerarchici. Più in basso si va, meno si sa. Il collaboratore Gaspare Spatuzza non può sapere ciò che è a conoscenza dei componenti della commissione, e fra costoro non tutti sanno tutto. L’entità esterna, se c’è, non è certo sulla bocca di tutti, specie se arriva nel territorio attraverso i collegamenti internazionali che la mafia ha sempre avuto. Quando si accenna ai collegamenti internazionali, il pensiero – da queste parti – corre agli Usa, dove la mafia siculo-americana è stata il trait d’unione storico con Cosa nostra siciliana. Non è un mistero per nessuno che i collegamenti fra mafia e politica sono passati attraverso le consolidate abitudini delle autorità americane, abitudini che hanno origine agli inizi del secolo scorso. Inutile scomodare la storia, tuttavia.

Il ruolo della mafia siciliana nel dopoguerra è fin troppo raccontato e mitizzato. Sulle stragi siciliane, però, le intermediazioni esterne non hanno goduto di grande attenzione perché finora ci si è concentrati sulla strategia rivoluzionaria della mafia che, rompendo con una tradizione consolidata, affida al terrorismo i suoi messaggi alla politica, per colpire i "traditori" e convincere gli incerti che è meglio venire a patti. Ma la risposta rivoluzionaria alle novità in materia di politica giudiziaria – abbandono del garantismo e restrizioni per i detenuti mafiosi – non ha convinto fino in fondo, perché le conseguenze di questa scelta avrebbero certamente reso più severo lo Stato, anche il più timido, fino a costringerlo a mettere in campo ogni risorsa per combattere Cosa nostra.
Possibile, ci si chiede, che le menti raffinate di Cosa nostra – come le definì Falcone – non abbiano previsto questa reazione dello Stato?
Queste domande, finora senza risposta, hanno indotto ad analizzare anche il contesto storico in cui il terrorismo mafioso misurò la sua forza di fuoco. Ebbene, quella fu la stagione in cui il potere – politico, finanziario, economico – in Italia cambiò profondamente, e venne firmato il trattato di Maastricht che avrebbe reso l’Europa padrona del gioco nelle contrattazioni finanziarie internazionali.

Per ora il quesito sul perchè del supplemento di stragismo - per evitare che Borsellino succedesse a Falcone, per accelerare la 'trattativa', per bloccare l'indagine di Borsellino su mafia e appalti - rimane in piedi, ha concluso Grasso: "Non sappiamo. Tutti questi sono dubbi, intuizioni forse vere tutte insieme, ma da verificare ...".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa.it, Repubblica.it, Corriere.it, La Siciliaweb.it]

 

 

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

28 ottobre 2009
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia