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IL SUD È FERMO

Il rapporto sul Mezzogiorno presentato a Palermo da Bankitalia delinea un quadro fortemente negativo

22 febbraio 2010

Sebbene negli ultimi dieci anni sia cresciuto in termini reali a un ritmo analogo a quello, modesto, delle regioni centro-settentrionali, nel Mezzogiorno il Pil per abitante è inferiore al 60% di quello delle regioni del centro-nord. Anche la crescita dell'occupazione è stata inferiore al Sud, dove un quinto del lavoro è irregolare e sono tornati a intensificarsi i flussi migratori dal Mezzogiorno al Nord, fenomeno che riguarda soprattutto i giovani con elevati livelli di scolarizzazione.
E' quanto emerso dal rapporto "Mezzogiorno e politiche regionali" della Banca d'Italia presentato nei giorni scorsi a Palazzo Steri, a Palermo.

Secondo l'indagine, "gli indicatori economici e sociali della qualità della vita dei cittadini meridionali non segnalano una riduzione significativa della distanza rispetto alle aree più avanzate del Paese". "Permangono - si legge nel rapporto - divari nell'accesso al credito e nel costo dei finanziamenti. La qualità dei servizi pubblici nel Mezzogiorno è in media inferiore a quella riscontrata nelle regioni del Centro-Nord". Dallo studio si evince che "mentre nelle altre regioni europee in ritardo di sviluppo si registra un processo di convergenza verso la media europea, il Mezzogiorno non recupera terreno rispetto al Centro-Nord, che già fatica a tenere il passo degli altri paesi".
Al Sud anche i contratti integrativi sono più ''leggeri'' rispetto a quelli firmati nelle aziende del centro-nord. A parità di dimensione e di altre caratteristiche d'impresa, la componente aziendale della retribuzione è nel Mezzogiorno di 5-6 punti percentuali inferiore per gli operai, di 8-9 punti per gli impiegati. Osserva la Banca d'Italia che "la diffusione della contrattazione aziendale è rimasta limitata, con una copertura particolarmente modesta nel Mezzogiorno". "Nel periodo 2002-07, il peso complessivo delle voci salariali fissate in azienda, aggiuntive rispetto ai minimi del contratto nazionale, è stato in media del 15 per cento per le imprese industriali: 16-18 per cento nel Nord, 13 per cento al centro, 8 per cento nel Mezzogiorno".

"La sicurezza e il rispetto della legalità costituiscono prerequisiti indispensabili per lo sviluppo economico e per l'ordinato svolgimento della vita civile". Secondo Bankitalia, "la criminalità altera gravemente le condizioni di concorrenza: condiziona anche il comportamento delle imprese legali; impone costi diretti, come le estorsioni, e indiretti, come l'obbligo di assunzione di personale o la non interferenza in taluni appalti". "Le imprese legate alla criminalità - si legge ancora nello studio - possono inoltre avvantaggiarsi di pratiche formalmente di mercato ma in realtà consentite solo dal reimpiego di capitali illeciti. Per di più, la criminalità accresce la sfiducia tra cittadini e tra cittadini e istituzioni; frena la formazione del cosiddetto capitale sociale". Secondo la Banca d'Italia "in queste condizioni si crea un circolo vizioso: l'inefficienza delle amministrazioni si accompagna spesso a una qualità scadente dei servizi pubblici, che a sua volta accresce la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni e si riflette in un basso grado di cooperazione, da cui consegue una maggiore difficoltà dell'azione pubblica". Infine, "la criminalità influenza anche i costi del credito, più elevati di quelli del centro-nord" e la sua presenza "accresce significativamente i tassi di interesse praticati alle imprese, determina una maggiore richiesta di garanzie collaterali e si riflette sulla struttura dell'indebitamento".

[Informazioni tratte da La Siciliaweb.it, Repubblica.it]

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22 febbraio 2010
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