Il suo nome è Tsotsi
Tsotsi ha 19 anni e vive in una baraccopoli nella periferia degradata di Johannesburg...
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IL SUO NOME E' TSOTSI
di Gavin Hood
Violenza e redenzione sulle tracce di un giovane delinquente, a capo di una delle tante gang dei ghetti sudafricani, sulle note della musica kwaito, in un originalissimo ritratto docu-fiction di Johannesburg, come Rio o come Los Angeles.
Tsotsi ha 19 anni e vive in una baraccopoli nella periferia degradata di Johannesburg, in Sudafrica. Non ricorda nulla del suo passato. Tsotsi (trad. lett. 'gangster') è il soprannome che gli è stato dato nel ghetto in cui vive. Nonostante la giovane età, è già a capo di una piccola banda di malviventi che comprende Butcher, un assassino a sangue freddo, Boston, un insegnante fallito, e Aap, grosso e ritardato. Una sera, dopo aver bevuto troppo e litigato furiosamente con Boston, Tsotsi inizia a vagare per le strade in preda all'alcool e ai fantasmi del passato. Senza rendersene conto, giunge in un quartiere di benestanti dove una giovane donna sta combattendo con il cancello automatico della sua abitazione. Tsotsi non ci pensa due volte, spara alla donna e le ruba l'auto, una BMW argentata. Dopo pochi metri il ragazzo realizza che nel sedile posteriore c'è un bimbo di soli 3 mesi e, preso dal panico, perde il controllo dell'auto che ad un incrocio diventa un rottame. Lasciata l'auto, Tsotsi fugge portando con sé il piccolo, deciso a prendersi cura di lui. Ben presto però, si rende conto che occuparsi di un neonato non è cosa tanto facile e va alla ricerca di un aiuto. Incontra così Miriam, una giovane vedova con un figlio piccolo, che nonostante l'approccio violento, si prende cura del bimbo di Tsotsi. Tra i due ragazzi si instaura un rapporto sempre più intenso che porterà Tsotsi a fare i conti col suo carattere collerico e con i ricordi del proprio passato...
Tratto dall'unico romanzo del celebre drammaturgo sudafricano Athol Fugard, il film, al contrario del libro, è ambientato ai nostri giorni e non negli anni Cinquanta: ''mostrare cosa sia Johannesburg oggi mi sembrava un'occasione da non perdere'', commenta il giovane regista, uno dei talenti più validi delle nuova leva africana. Il romanzo, scritto nel momento più duro e cupo dell'apartheid, ha un finale tragico, mentre nel film c'è uno spiraglio d'ottimismo: ''come autore mi sento tenuto a raccontare la disperazione, ma anche la speranza''. Hood è bianco, e ha fatto un film in cui il problema nero è al centro di tutto: ''non vedo cosa ci sia di strano, io sono africano, prima di essere bianco o nero''.
Distribuzione Mikado
Durata 91'
Regia Gavin Hood
Con Presley Chweneyagae, Terry Pheto, Kenneth Nkosi, Mothusi Magano, Zenzo Ngqobe
Genere Drammatico
La critica
''Contro l'immagine che ha di sé, Totsi prova l'impulso a prendersi cura del piccolo. (...) In realtà si è innescato un processo di identificazione col fantolino che era un tempo lui stesso; e il film ce lo mostra con zelo didascalico, attraverso flashback deputati a ripristinargli i file della memoria. Non bisogna aspettarsi un reportage sulla vita dei ghetti, come appare sempre più evidente man mano che si va verso il finale, romantico e struggente. Però il prodotto, astuto senza banalità, si fa apprezzare e l'accompagnamento della musica kwaito rende più energico lo scorrere delle immagini.''
Roberto Nepoti, 'la Repubblica'
''Dramma sudafricano in stile neorealista È una bellissima sorpresa questo film sudafricano (Oscar straniero) dell'avv. Gavin Hood, ispirato dal libro di Athol Fugard.
Sguardo originale e impietoso sulla Johannesburg di oggi, con stile neorealista che si fa per incanto fantastico quando riesce a riprendere qualcosa di interiore, misterioso. (...) Il romanzo fu scritto nell'apartheid del '50; il film è più ottimista, ma non fa sconti sulla violenza: la democrazia del Sud Africa vuole oggi speranza nonostante l'Aids (25%) e la disoccupazione (40%). Avventura umana esemplare, vissuta con totale adesione da Presley Chweneyagae. Denuncia non manichea, spettacolare nel meglio: trasmette il cambiamento che esprime, al di là di ogni regola etico-sociale.''
Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera'
''La regia di Hood è impeccabile, la fotografia di Lance Gewer è ottima e molte interpretazioni sono notevoli, su tutte quella del protagonista Presley Chweneyagae.''
Ray Bennett, 'Hollywood Reporter'
Premio Oscar 2006 come Miglior film straniero