Il Teatro Stabile di Catania inaugura la stagione 2011-12 dedicata all'universo femminile con la prima nazionale de La Mennulara
La Mennulara
Il romanzo di Simonetta Agnello Hornby approda sulla scena nella riduzione curata insieme a Gaetano Savatteri
Regia di Walter Pagliaro. Con Guia Jelo nel ruolo del titolo e Pippo Pattavina.
Novità assoluta. Prima nazionale: Sala Verga, 2 dicembre, ore 20,45. Repliche fino al 23
Serva e padrona. Umile e forte. Sulla bocca di tutti, eppure avvolta nel mistero. Mente machiavellica, sebbene quasi analfabeta. Indirizzata al bello e al buono nonostante gli insulti della vita. Piccola raccoglitrice di "mennule", mandorle, e tuttavia destinata a produrre ricchezza. È Rosalia Inzerillo, stupefacente artefice del proprio e dell'altrui destino, abile tanto da manipolare la società maschilista e violenta, che a cavallo degli anni Sessanta dominava ancora incontrastata l'entroterra siciliano.
La Mennulara, romanzo d'esordio della palermitana Simonetta Agnello Hornby, approda per la prima volta sulla scena nella produzione allestita dal Teatro Stabile di Catania. La novità assoluta inaugura la stagione 2011-2012, dedicata dal direttore Giuseppe Dipasquale all'universo femminile e significativamente intitolata "Donne. L'altra metà del cielo": una carrellata di eroine che - per citare solo le produzioni e coproduzioni proprie dell'ente - popolano capolavori come La governante di Vitaliano Brancati, La casa di Bernarda Alba di Federico Garcia Lorca, I giganti della montagna di Luigi Pirandello, Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams, Ifigenia di Mircea Eliade, fino ai recentissimi titoli La nave delle spose di Lucia Sardo e Elvira Fusto e Il tredicesimo punto di Sergio Claudio Perroni, omaggio alla figura di Nilde Iotti.
Il percorso del cartellone catanese prende appunto il via con La Mennulara, in programmazione dal 2 al 23 dicembre alla Sala Verga, nella riduzione e nell'adattamento curati a quattro mani da Simonetta Agnello Hornby e Gaetano Savatteri, rinomato giornalista, romanziere e drammaturgo di origini siciliane.
L'allestimento di grande formato, affidato ad artisti di spicco, conferma la linea direttrice dello Stabile etneo, da sempre impegnato nella valorizzazione della drammaturgia e della narrativa isolane. Walter Pagliaro firma la regia, Giovanni Carluccio le scene, Elena Mannini i costumi, Marco Betta le musiche, Daniela Schiavone i movimenti scenici, Franco Buzzanca il disegno delle luci.
Lo spettacolo schiera Guia Jelo nel ruolo del titolo e Pippo Pattavina nei panni di Orazio Alfallipe: due autentici beniamini del pubblico teatrale, cinematografico e televisivo, in un cast di rilievo che annovera ancora Ileana Rigano, Mimmo Mignemi, Angelo Tosto, Fulvio D'Angelo, Raffaella Bella, Giorgia Boscarino, Filippo Brazzaventre, Valeria Contadino, Yvonne Guglielmino, Alessandro Idonea, Camillo Mascolino, Emanuele Puglia, Raniela Ragonese, Sergio Seminara.
La trasposizione scenica è fedele al best seller pubblicato nel 2002, tradotto in dodici lingue e vincitore di prestigiosi riconoscimenti, quali il Premio Letterario Forte Village, il Premio Stresa di Narrativa, il Premio Alassio 100 libri-Un autore per l'Europa. Viene mantenuto l'impianto narrativo che ripercorre vita e morte di Rosalia, detta "la Mennulara" appunto per essere stata in gioventù raccoglitrice di mandorle. La sua parabola umana e l'ascesa sociale si snodano tra le esasperate coordinate di una Sicilia tempestosa e tempestata, tra sentimenti arcaici e le nuove urgenze del boom economico.
APPROFONDIMENTO - Il racconto inizia il 23 settembre 1963, con il funerale di Rosalia, "criata", ossia domestica, a servizio degli Alfallipe fin dall'età di 13 anni. Eppure sui muri del piccolo paese di Roccacolomba appaiono altisonanti manifesti funebri. Il postumo elogio rende ancora più discorde il coro dei paesani, intenti a ricostruire la figura, già controversa in vita, di una "serva" che aveva ricoperto un ruolo occulto ma ben più importante. Grazie alla sua acuta intelligenza e nonostante fosse in grado solo di leggere ma non di scrivere, aveva preso in mano la situazione amministrando al meglio i beni degli Alfallipe. Era così divenuta il punto di riferimento della famiglia, sia dal punto di vista affettivo che economico, consentendo ad ogni componente di vivere a modo proprio, senza preoccupazioni materiali. Carattere e personalità avevano insomma permesso alla Mennulara di trasformare in positivo le disgrazie che l'avevano colpita fin dalla fanciullezza: la morte del padre, la responsabilità di mantenere la sorellina e la mamma malate, la violenza sessuale. Le terribili esperienze le avevano conferito una scorza di freddezza che da un lato incuteva metus reverenziale, dall'altro portava a favoleggiare sulla sua ricchezza, forse accumulata grazie ad un mafioso.
Il racconto si vivacizza con humor grazie alla lingua molto ricca coniata da Simonetta Agnello Hornby, tributo alle radici più profonde della Sicilia, cui la scrittrice attinge con rara forza ed efficacia. I colpi di scena si succedono: come un maestro puparo, Rosalia muove i fili delle persone che intersecano la sua esistenza, fino ad organizzare una vendetta che va oltre la propria morte, prevedendo le reazioni di ognuno e per ognuno predisponendo un percorso obbligato. Prende così corpo una sorta di testamento morale della donna che, a dispetto dell'ignoranza di base, aveva saputo conoscere e apprezzare l'Arte, la Cultura e il superiore senso di armonia e pace che esse trasmettono. Mentre la modernità impone miti falsi e bugiardi, la Mennulara sposa senza saperlo il monito di Dostoevskij: a salvare il mondo sarà la bellezza, anzi il rispetto della bellezza.
- Brochure "La Mennulara" (pdf)