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IL TESORO DEI BOSS

Mentre i detenuti trapanesi inneggiano al ''loro'' boss, milioni di euro dei Palermitani sono stati sequestrati

21 febbraio 2008

“Secret business'', affari segreti, così è stata chiamata l'operazione di polizia che ha posto sotto sequestro beni per circa 150 milioni di euro, riconducibili ad Andrea Impastato, 60 anni, prestanome dei boss Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo, indicato dalla Polizia come affiliato alla cosca mafiosa di Cinisi. Andrea Impastato, figlio di Giacomo detto "u sinnacheddu', esponente mafioso di spicco della famiglia di Cinisi, è stato arrestato il 2 ottobre 2002 per associazione mafiosa nell'ambito dell'inchiesta su Giuseppe 'Pino' Lipari, il tesoriere di Provenzano.
Dall'esame del materiale informatico sequestrato a casa di Lipari è emerso che Impastato era stato indicato da Provenzano come uno dei principali referenti attraverso il quale Lipari avrebbe potuto ottenere appoggio nell'attività di amministrazione e gestione dei beni. Le successive indagini hanno portato a far emergere una serie di contatti, sia personali che economici, di Impastato con numerosi personaggi di spicco di Cosa nostra, come Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo.

I poliziotti della Sezione Misure di Prevenzione della Questura di Palermo hanno apposto i sigilli a beni mobili e immobili tra Palermo e Trapani. Il provvedimento ha previsto il sequestro di cinque aziende: la M.e.c. mediterranea edil commerciale s.r.l. con sede a Cinisi; la In.ca.s. inerti calcarei Sud s.r.l. di Montelepre; la Medi.tour s.r.l. di Palermo; la Prime iniziative s.r.l. di Carini e la Paradais s.r.l. di Montelepre. Fra i beni immobili sequestrati vi sono quaranta appezzamenti di terreno a Terrasini, Cinisi, Carini, Montelepre, Monreale, San Vito Lo Capo; una cava per l'estrazione di inerti fra Carini e Montelepre; un complesso industriale a Carini adibito a centro commerciale di cinquanta mila metri quadrati attualmente affittato ad una società di grande distribuzione commerciale; un complesso industriale a Carini adibito alla preparazione di inerti e conglomerati cementizi; un complesso industriale costituito da più capannoni utilizzati per lo stoccaggio di merci varie conto terzi nella zona industriale di Carini; un complesso turistico residenziale denominato "Calamancina residence" a San Vito Lo Capo costituito da numerosi appartamenti e da alcune villette. Il sequestro ha inoltre riguardato conti correnti, depositi e titoli per un valore complessivo di un milione e mezzo di euro.
Per gli investigatori si tratta solo di una parte del patrimonio di Provenzano e Lo Piccolo.
I provvedimenti di sequestro sono stati disposti dai giudici del Tribunale di Palermo che hanno accolto la richiesta del Procuratore aggiunto Roberto Scarpinato e del pm Gaetano Guardì, che hanno coordinato l'inchiesta.

E mentre la Giustizia continua a muoversi su più fronti per indebolire sempre di più Cosa nostra cercando di ridurla ai minimi termini, dal carcere palermitano di Pagliarelli i detenuti trapanesi fanno il “tifo” per il “loro” padrino, Matteo Messina Denaro, ancora latitante.
Lo hanno fatto in occasione degli ultimi arresti dei favoreggiatori dei capimafia Lo Piccolo. L'episodio è stato confermato all'agenzia Ansa da fonti qualificate. Quando gli indagati sono stati portati in cella, dal secondo piano dell'istituto di pena è iniziato a salire un coro di voci che inneggiava al capo di Cosa nostra trapanese latitante da quindici anni. Poi è seguito un lungo applauso.
Un modo, hanno spiegato gli investigatori, per "denigrare" i Palermitani ed esaltare la figura di Messina Denaro, ultimo dei grandi boss che ancora oggi non è rimasto impigliato nella maglie della Giustizia.
Dalle indagini è emerso che i trapanesi hanno criticato il modo con il quale negli ultimi anni i capi di Cosa nostra palermitana hanno portato avanti gli affari delle cosche, ed il comportamento che alcuni boss hanno tenuto.
Matteo Messina Denaro avrebbe creato strutture parallele: nella prima ci sarebbero imprenditori apparentemente puliti attraverso i quali il boss intrattiene collegamenti con i politici e quindi gli appalti; nell'altra vi sono i boss e la manovalanza mafiosa.

Secondo gli investigatori, quello che sta accadendo dentro le carceri potrebbe far comprendere meglio gli equilibri mafiosi fra palermitani e trapanesi. Le caratteristiche di Cosa nostra nella provincia di Trapani non divergono da quelle di Palermo: stesse modalità operative, settori di interesse, ordinamento gerarchico, analoga suddivisione del territorio: si può anzi affermare che Cosa nostra trapanese si contraddistingue per gli stretti collegamenti che da sempre l'accomunano alle più rappresentative cosche del Palermitano. E per i contatti con la politica.
Alleata da sempre con le cosche corleonesi, Cosa nostra trapanese ha agito in sinergia con esponenti delle famiglie mafiose della provincia di Palermo. Le due organizzazioni provinciali hanno sempre vissuto, almeno nell'ultimo ventennio, in perfetta simbiosi, legate da uno stretto rapporto. Oltre che dal perseguimento di obiettivi comuni e da una comune strategia criminale, i rapporti di alleanza correnti tra le cosche palermitane e quelle trapanesi affondano radici anche in sottostanti legami di amicizia personali correnti tra i vari capi cosca, che adesso sarebbero stati compromessi. Matteo Messina Denaro ha solidi rapporti e precisi punti di riferimento a Palermo, anche nella pericolosa cosca di Brancaccio.

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21 febbraio 2008
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