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Il "tesoro" di Giovanni Brusca

Il boss di San Giuseppe Jato indagato per riciclaggio, fittizia intestazione di beni ed estorsione

17 settembre 2010

Il boss Giovanni Brusca, 53 anni, uno degli esecutori materiali della strage di Capaci, in carcere dal 20 maggio 1996 e già qualche giorno dopo diventato collaboratore di giustizia, è indagato dalla Direzione distrettuale Antimafia di Palermo per riciclaggio, fittizia intestazione di beni e tentata estorsione aggravata.
I Carabinieri del gruppo di Monreale stanno infatti eseguendo una serie di perquisizioni domiciliari nelle province di Palermo, Roma, Milano, Chieti e Rovigo nell'ambito di un'inchiesta che coinvolge anche alcuni familiari e persone vicine al boss. L'indagine è scaturita da una serie di intercettazioni effettuate dagli investigatori nell'ambito della cattura del latitante Domenico Raccuglia (LEGGI) che hanno fatto emergere la disponibilità, da parte della famiglia Brusca, di beni che non sono ancora stati individuati.
Gli investigatori sarebbero alla ricerca del "tesoro" accumulato illecitamente da Brusca, che è tuttora sottoposto al programma di protezione, e dai suoi familiari. Proprio dalle indagini nei confronti del boss di Altofonte Raccuglia, considerato il numero 2 di Cosa Nostra, sarebbe emersa l'attività di riciclaggio ed estorsione svolta dal clan Brusca.

Capo del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato, Brusca, oltre che per la strage di Capaci nella quale persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesco Morvillo e tre agenti di scorta, è stato condannato come mandante del sequestro e dell'uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino che insieme a Brusca era tra gli organizzatori dell'attentato a Falcone.

Comunque, per le Procure di Palermo e Caltanissetta, Brusca resta comunque un testimone fondamentale: è stato lui, per primo, a svelare l'esistenza del papello e della trattativa durante la stagione degli eccidi Falcone e Borsellino. Il 22 maggio scorso, in aula, Brusca ha dichiarato: "Riina mi disse il nome dell'uomo delle istituzioni con il quale venne avviata, attraverso uomini delle forze dell'ordine, la trattativa con Cosa nostra". Ma ha subito precisato di non potere ripetere il nome pubblicamente, perché sarebbero in corso delle indagini sulle sue rivelazioni. Poi, il nome è trapelato comunque attraverso indiscrezioni di stampa. E' quello dell'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, che ha subito replicato: "Se Riina, nel natale 1992, parlava con i suoi complici di un messaggio, quel messaggio fu, tre settimane dopo, il suo arresto, da me più volte sollecitato anche pubblicamente alle forze dell'ordine" (LEGGI).
Giovanni Brusca rischia adesso di essere espulso dal programma di protezione e di perdere la possibilità della scarcerazione anticipata. I magistrati di Palermo, guidati dal procuratore Francesco Messineo, lo interrogaranno in carcere oggi pomeriggio, per chiedergli quale sia la verità che ancora nasconde.

Non è la prima volta che un collaboratore di giustizia finisce nuovamente sotto indagine dopo essere stato sottoposto a programma di protezione. In passato era accaduto anche al boss Totuccio Contorno, uno dei primi a pentirsi subito dopo Tommaso Buscetta, arrestato nell'estate del 1988 per il suo "ritorno in armi" a Palermo con l'obiettivo di vendicarsi nei confronti dei clan rivali che gli avevano sterminato la famiglia. Anche Balduccio Di Maggio, un altro pentito "storico" che aveva parlato del presunto "bacio" tra Totò Riina e Andreotti, fu sorpreso dopo essere rientrato a San Giuseppe Jato proprio per regolare i conti con il clan di Giovanni Brusca.

[Informazioni tratte da Ansa, Adnkronos/Ing, La Siciliaweb.it, Repubblica/Palermo.it]

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17 settembre 2010
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