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Il Tesoro di Morgantina

Dopo trent'anni è ritornato a casa l'inestimabile tesoro ellenistico trafugato nelle campagne di Aidone

25 maggio 2010

Questa mattina all'alba è arrivata al porto di Palermo la nave che trasportava il "tesoro" di Morgantina: 16 raffinati pezzi ellenistici in argento risalenti al III secolo avanti Cristo, trafugati 30 anni fa da tombaroli clandestini. Il "tesoro" si trovava al Metropolitan Museum di New York che li ha restituiti dopo un accordo raggiunto con il governo italiano. Adesso, dopo la tappa romana al Museo nazionale di Palazzo Massimo, potranno essere ammirati dal 4 giugno presso il Museo archeologico regionale Salinas di Palermo prima di trovare definitiva collocazione alla "Casa di Eupolemos" di Aidone (EN).
"Si tratta di un evento importante che si ricollega anche ad altre restituzioni - ha detto Gaetano Armao, assessore regionale ai Beni culturali della Regione Sicilia - avvenute di recente, quali la Fiale di Caltavuturo e l'Afrodite di Morgantina". "Con questo ritorno aggiungiamo al nostro patrimonio - ha sottolineato l'assessore - un altro tesoro alla nostra già ricca collezione ed un ulteriore motivo per turisti ed esperti a conoscere ed apprezzare quanto di buono offre la nostra regione in questo campo".

Arrivano gli argenti dal Metropolitan
di Goffredo Silvestri (Repubblica.it, 28 marzo 2010)

Finora il nome di Morgantina, nella Sicilia non delle coste, ma in provincia di Enna, a circa 800 metri di altezza, è entrato solo nelle cronache giudiziarie e del contenzioso fra il ministero per i Beni e le attività culturali e un paio dei musei più potenti degli Stati Uniti, il Metropolitan e il Getty. Per le restituzioni dei capolavori archeologici che l'Italia reclamava. Ora il nome di Morgantina entra nelle restituzioni fatte dai musei americani. Dal Metropolitan un complesso di 16 argenti dorati ellenistici del terzo secolo avanti Cristo, il più importante complesso di oreficerie della Sicilia ellenistica, una restituzione avvenuta in questi giorni. Dal Getty la cosiddetta "Venere di Morgantina", una statua alta due metri e 20, considerata uno splendido originale greco della fine del V secolo avanti Cristo. La restituzione attesa entro quest'anno avverrà nel gennaio 2011. Un terzo museo statunitense si è inserito all'inizio del 2008 nelle restituzioni a Morgantina, il Bayly Museum dell'Università della Virginia con gli otto pezzi (due teste, tre mani, tre piedi) che appartenevano alle statue acrolitiche di Demetra e Kore del 530 avanti Cristo. Sono queste statue di culto che hanno di marmo o pietra solo le parti visibili (appunto testa, braccia, gambe o piedi) e il resto in legno ricoperto di ricche stoffe o nastri di metallo. Devono essere state uno spettacolo Demetra e Kore sedute affiancate, alte alcuni metri, con spighe nelle mani, che "emergevano dall'oscurità di uno dei piccoli sacelli" sulle pendici della collina di Morgantina.

Il 26 febbraio scorso la Sicilia ha chiuso gloriosamente in modo definitivo un'altra decennale vicenda di restituzione in cui era implicato il Metropolitan. Quella del ritorno nel patrimonio della Sicilia della "phiale" d'oro del IV-III secolo avanti Cristo denominata di Caltavuturo, località a 635 m all'interno fra Termini Imerese e Cefalù, perché ritrovata in uno scavo clandestino nell'importante centro ellenistico di Monte Riparato. Una "patera" cioè una tazza per libagioni e offerte di liquidi alle divinità nelle cerimonie, del diametro di 22,75 cm e del peso in oro di 982,40 gr. Un capolavoro, lavorato a sbalzo che utilizza punzonatura, cesellatura e incisione. Decorato preziosamente con quattro file concentriche di ghiande, api e faggine, tralci vegetali.
La "phiale" era in Sicilia dal 1999 dopo essere stata sequestrata dall'autorità giudiziaria americana per illeciti doganali, ma affidata dalla magistratura italiana in custodia giudiziale al soprintendente archeologico di Palermo e conservata nell'Antiquarium di Himera. Anche se con la libertà di essere presentata in mostre ed altre occasioni. Tornata proprietà della Sicilia sarà esposta nel museo archeologico regionale Salinas di Palermo.
Ora gli argenti e dal 2011 la Venere di Morgantina andranno nel futuro nuovo Museo archeologico di Morgantina ad Aidone, il centro moderno a due chilometri dal sito archeologico. Il museo sarà ricavato nella chiesa del Quattrocento-Cinquecento intitolata a San Vincenzo Ferreri, che la popolazione continua a chiamare col vecchio nome di San Domenico, caratterizzata dalla straordinaria facciata in pietra bianca a bugnato. Qui saranno raggiunti dalle parti delle statue di Demetra e Kore già ospitate nell'attuale museo archeologico che è in un convento dei cappuccini.

Gli abitanti di Palermo avranno una anticipazione degli argenti con la presentazione dal quattro giugno nel museo Salinas. Prima di rientrare a Morgantina gli argenti sono in sosta a Roma, al piano terra di destra del Museo nazionale romano di Palazzo Massimo, dal 20 marzo al 23 maggio, nella mostra "Il tesoro di Morgantina. Argenti del III a. C. da New York alla Sicilia, passando per Roma" che è diventata una sede collaudata di presentazione delle opere restituite all'Italia e che vengono distribuite ai musei dei territori in cui i "tombaroli" le hanno scavate [...]
Il peso complessivo dell'argento supera i 4.750 grammi. Gli argenti sono probabilmente prodotti da artigiani di Siracusa, una grande metropoli, nel periodo del re Ierone II, nella seconda metà del III secolo. Dei 16 oggetti alcuni sono formati da più elementi (coperchi, piattelli) e nove possono essere riuniti dall'uso a mensa. Come i due recipienti di forma troncoconica alti quasi 20 cm e con un diametro di oltre 26. Semplici e raffinati con all'esterno una fascia dorata a sbalzo e i tre appoggi di base come maschere teatrali (servivano a mescolare, secondo l'uso greco, vino, acqua e altre sostanze). Come tre coppe profonde a profilo concavo decorate al fondo da medaglioni a sbalzo con una rosetta dorata (al centro granato incastonato) e foglie di acanto o motivi floreali. Come una coppa emisferica, decorata all'esterno da una doppia treccia dorata e un elemento lineare che ricorda gli spicchi di un pallone del vero vecchio calcio. O la coppa a due anse (skyphos). Quattro oggetti hanno funzioni di culto. Una "phiale", tazza o piatto molto bassi (diametro meno di 15 cm) usato per versare acqua lustrale, vino, latte nei sacrifici, e decorata da dodici raggi dorati appuntiti. Un altarino cilindrico alto 11,3 cm, decorato con bucrani uniti da una ghirlanda, tutti dorati. Due pissidi, scatoline per profumi o grani di incenso, con il coperchio decorato da una figura femminile "a forte sbalzo" che sorregge una cornucopia ricolma di uva e melograni "attaccata" da un putto, e da un erote a rilievo.
Una coppia di corna ondulate scardinate da un elmo da parata, troppo prezioso da usare in guerra, e che forse era anche troppo ingombrante da nascondere in un buco per terra. Spicca un medaglione circolare (diametro 10,5 cm) decorato a sbalzo con la sfortunata ninfa Scilla che aveva tutto per essere felice e che la maga Circe trasformò per gelosia in mostro. La poveretta "inorridita di se stessa", si nascose in una grotta dello stretto di Messina dove fece coppia con l'altro mostro marino Cariddi per combinare guai ai naviganti. E Ulisse ne sa qualcosa. Sul medaglione infatti Scilla alza un masso e si appresta a scagliarlo. Circondata da due lunghe code di pesce, da cani, ai piedi ha un cane in rilievo che azzanna un pesce. La funzione del medaglione è incerta, come coperchio di una pisside o come medaglione di una coppa. Scilla minacciosa che sbuca al fondo di una coppa prosciugata dal bevitore, è stata interpretata anche come l'immagine che precede il disastro di chi abusa del vino.
Sulla parte posteriore degli argenti sono numerose iscrizioni greche fatte in modi diversi, puntinate, incise, che indicano il peso del pezzo. L'uso del dialetto dorico in un caso indica un succedersi delle registrazioni e dei passaggi di proprietà. Nel caso di una pisside c'è anche una iscrizione incisa su altra iscrizione. Due iscrizioni ripetono la stessa formula votiva che suona: "Sacro alle divinità" e "Sacro a tutte le divinità". Su due argenti compare il nome di un personaggio, Eupolemo, forse l'ultimo proprietario degli argenti che tentò di salvarli dal disastro di Morgantina condannata dai romani per la ribellione durante la Seconda Guerra Punica. E Eupolemo li nascose nel buco in terra in cui li trovarono i "tombaroli" dopo il 1978. Questo è un nome molto diffuso, ma anche uno dei pochi documentato a Morgantina, come "un cittadino che nella seconda metà del III secolo è attestato nelle vicinanze della casa dove fu trovato il tesoro".

Il Metropolitan aveva potuto parlare degli argenti solo come provenienti da Taranto o dalla Sicilia Meridionale. Questi argenti godono invece di una situazione eccezionale. Sono stati restituiti e hanno ritrovato il loro contesto più che probabile. E questo grazie alle indagini dei carabinieri del Comando tutela patrimonio culturale del ministero, della magistratura, alle soprintendenze siciliane, a intuizioni di archeologi come lo specialista Pier Giovanni Guzzo (lo storico soprintendente di Pompei), lo scomparso Gianfilippo Villari, e, come legge di contrappasso, alla missione americana che dalla fine degli anni Novanta del Novecento, coordinata da Malcom Bell III, ha cominciato lo scavo del presunto punto di ritrovamento.
In una bella casa del IV secolo avanti Cristo - come la descrive Malcom Bell -, sulla nona strada, vicino l'angolo con il viale principale, è stato scoperto uno scavo clandestino molto esteso e poi ricoperto con la terra dello sterro. Due punti sui pavimenti in terra sono stati identificati con la collaborazione dei "tombaroli" come gli scavi delle due parti del tesoro, nel 1981 e 1982. Nella terra - ricorda Malcom Bell-, furono ritrovate cento lire del 1978, una "firma d'autore" dei "tombaroli", in ogni caso una prova quasi certa di uno scavo posteriore. E in una fossa una moneta di bronzo databile fra il 216 e il 212 che attesta la probabile data del seppellimento. Quando Eupolemos nell'abbandonare la bella casa pensò di mettere in salvo il "tesoro" (come in altri casi di monete e oggetti di valore, sempre a Morgantina) e di recuperarlo più tardi. Il tutto dopo la fine della Seconda Guerra Punica, nel momento di crisi del 211 quando Roma "saldò i conti" con Morgantina che venne regalata ad una banda di mercenari ispanici con dispersione della popolazione originaria. Ma in queste vicende Roma ha la memoria da elefante se nel 35 Ottaviano, non ancora imperatore, decretò che Morgantina venisse rasa al suolo, come Cartagine. "La ricerca sul contesto storico del tesoro - afferma Malcom Bell -, ha finora prodotto risultati inaspettati e data la bellezza e complessità degli oggetti si può affermare che questo racconto archeologico sua ancora da completare. Ma in ogni caso si può già dire che con la restituzione sia stata fatta giustizia etica e scientifica".

La restituzione del "Tesoro di Morgantina" ha un altro risvolto, significativo del cambio di mentalità dei grandi musei statunitensi fino a poco tempo fa interessati, senza guardare tanto per il sottile, agli oggetti belli da presentare anche senza poter aprire i loro scrigni di storia. Gli argenti individuati dagli archeologi italiani e reclamati erano 15 non 16. Ma al Metropolitan si sono accorti che avevano una seconda pisside, quella dell'erote, identica a quella con la cornucopia e l'hanno aggiunta.

 

 

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25 maggio 2010
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