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IL TESTIMONE

La verità di Massimo Cinacimino nella lunga deposizione durata circa dodici ore

02 febbraio 2010

Si è svolta oggi, nell'aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, la seconda giornata di deposizione per Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, nell'ambito del processo a carico del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano.
Di seguito pubblichiamo i momenti salienti della lunga deposizione che si è conclusa oggi inttorno alle 13:00 e che verrà ripresa in un'ulteriore udienza fissata per il giorno 8 febbraio.

LA DEPOSIZIONE DI MASSIMO CIANCIMINO
"Io, uno dei cinque figli di mio padre, ero l’unico che non era impegnato lavorativamente. A cominciare dal 1984 mi sono trasferito a Roma e ho assistito mio padre. Ero presente al 95 per cento dei colloqui di mio padre. Vivevamo assieme. Siamo riusciti a trovare casa nella discesa di via San Sebastianello al primo piano, vicino piazza di Spagna. Dal 1991 fino al giorno in cui mio padre è morto nel novembre 2002, la mia residenza è stata sempre lì e io sono stato con lui" [...] "Mio padre mi disse che Bernardo Provenzano godeva di una sorta di immunità territoriale per cui, anche da latitante, poteva muoversi liberamente [...] Questa immunità, secondo quanto mi ha spiegato mio padre era garantita da una sorta di accordo alla stipula del quale aveva partecipato proprio mio padre. Accordo che risale al maggio del '92".
Ciancimino ha detto di conoscere Provenzano "da sempre". "Ho ricordi di lui, nelle mie villeggiature estive negli anni '70, fin da quando ero un ragazzo. Lui e mio padre si conoscevano, anche per rapporti di vicinato". Il testimone ha detto di avere conosciuto il capomafia con il nome di "ingegner Lo Verde" e ha scherzosamente ricordato che il padre lo rimproverava di avere risposto male al boss di Corleone, quando era ragazzino: "Tu sei l'unico - mi ripeteva - che è riuscito a dire cornuto a Provenzano". "Gli incontri con Provenzano-Lo Verde si sono sempre svolti nell’epoca in cui io avevo 17 anni. Due tre volte al mese, venivano sempre nella nostra abitazione. Nei primi anni ’80, serviva più cautela, si rese necessaria più attenzione. Sono stato preposto ad accompagnare mio padre agli incontri più prudenti, sono stato l’unico ad accompagnarlo. Dal ’99 mio padre era agli arresti domiciliari. Lo stesso Provenzano frequentava l’appartamento al Roma, 2-3 volte l’anno. Mio padre disse che era lui un pericolo per Provenzano, non il contrario. Provenzano era garantito da un accordo che poteva girare per Roma senza problemi. Che vadano dietro a Provenzano era impossibile. Non ero tranquillo durante gli incontri perché avevo la responsabilità di mio padre".
Massimo Ciancimino ha quindi raccontato che "nel 1990 mio padre si fece annullare l'ordine di carcerazione grazie ai rapporti che aveva in Cassazione". Il teste ha fatto esplicito riferimento, come autorità giudiziaria che annullò la misura, la prima sezione della Cassazione all'epoca presieduta dal giudice Corrado Carnevale.

Il figlio dell'ex sindaco di Palermo ha parlato anche di Totò Riina. "Mio padre conosceva anche lui da quando erano ragazzi. Tra loro il rapporto è sempre stato teso. Mio padre non lo stimava e preferiva Provenzano". Ciancimino ha raccontato che suo padre, appositamente, faceva attendere Riina quando questi lo andava a trovare e ne rifiutava i regali ritenendo che portassero sfortuna. "Provenzano era meno irruento, di più elevato livello culturale... Riina rispetto a Provenzano non era molto frequente vederlo a casa mia. L’avrò visto a casa 3 o 4 volte… Era un rapporto contrastato, non c’è stato mai buon sangue, ma per pax, per gestire le cose, lo stesso 'Lo Verde' lo invitava a essere più paziente e meno irriverente. Aveva un atteggiamento astioso, lo faceva aspettare a lungo. Anche Lipari glielo diceva. Veniva per Pasqua e Natale con i regali, che non voleva toccare… diceva che portavano sfortuna… ho visto tante discussioni accese tra i due". "A fine marzo del '92, dopo l'omicidio dell'onorevole Lima, Bernardo Provenzano disse a mio padre che Totò Riina aveva intenzione di togliersi qualche sassolino nella scarpa e di fare capire ad altri politici cosa significava non rispettare i patti. Secondo Provenzano, Riina aveva una lista di politici e magistrati da eliminare: "Grasso, Vizzini, Mannino. Soggetti che, per motivi differenti, dovevano essere uccisi". "Mio padre - ha aggiunto Ciancimino - seppe da Provenzano che erano cambiati gli interlocutori di Riina e che i suoi nuovi referenti erano d'accordo con lui nella strategia di cambiamento che stava portando avanti anche attraverso l'eliminazione di rami secchi"  [...] Il disegno attuato con l’omicidio di Lima era l’apertura nuovi rapporti e chiusura di vecchi rapporti. Erano cambiati i referenti di Riina e questi erano compiacenti, anzi avrebbero appoggiato la linea. C’erano cambiamenti... ma per mio padre erano discorsi folli, però la frase che mi ricordo mi disse è che 'c’era qualcuno che gli stava riempiendo la testa di minchiate' non era bastata l’esperienza di Lima e gli altri, che avevano promesso di intervenire sull’esito nel Maxiprocesso, (Riina, ndr) aveva trovato qualcun altro che offriva di più... aveva detto che la politica dovevano essere loro, gli imprenditori dovevano essere loro.. avevano i numeri per fare il salto di qualità, entrare strutturalmente delle grandi imprese e nella politica''.

Ciancimino jr ha poi parlato della questione degli appalti e dei personaggi 'molto importanti' che contattavano il padre. "Mio padre aveva inventato una specie di sistema di spartizione degli appalti: potremmo chiamarlo il sistema Ciancimino. D'accordo con Provenzano gli appalti venivano spartiti equamente tra tutti i partiti, in Consiglio comunale, a seconda della loro rappresentatività". "A Palermo avevamo 4 telefoni, a Mondello 3. Due uso diretto di mio padre e uno in particolare era il ‘telefono rosso’. Non veniva mai staccato e anche quando lo staccava dalla camera da letto, io ero messo a rispondere. Chiamavano l’onorevole Gioia, Lima, Ruffini, Lo Verde, il signor Franco-Carlo. Dai primi anni '80 fino al 2002 ho fatto tramite dei pizzini. Mi è capitato più volte, specialmente nell’ultimo periodo, di prenderle direttamente dalle mani di Provenzano". "I rapporti di mio padre con i servizi nascono nel periodo in cui il ministro Restivo reggeva il dicastero degli Interni. Mio padre aveva stabilito rapporti stabili con Franco, uno dei personaggi che avevano accesso alla linea telefonica diretta o si presentava senza appuntamento. La prima volta lo vedo a fine anni ’70. Lo vedo in contatto con mio padre fino a qualche mese prima della morte di mio padre. Veniva a casa mia senza problemi, mio padre ci si incontrava anche nei momenti della passeggiata giornaliera. Lo rivedo ai funerali di mio padre e mi passa un busta con le condoglianze del 'signor Lo Verde'". "Non conosco l’identità del signor Franco, mio padre credo la conosceva perché il rapporto era consolidato, avevo il numero del telefonino nel mio numero che, stranamente, non è mai stato messo sotto controllo. Io so che questa persona è ancora in vita perché soggetti dei servizi a lui vicino sono venuti a farmi visita nel mio appartamento di Bologna. Questo soggetto mi dava, con atteggiamento non carino, non opportuno, una serie di indicazioni da seguire... questo soggetto disse di essere mandato dal signor Franco, l’avevo visto altre volte guidare la macchina del signor Franco, questo fatto l’ho denunciato. Mi disse che per la strada che stavo percorrendo, se non avessi avuto beneficio, non avevo ascoltato i consigli del signor Franco che era stato amico e attento alle problematiche di mio padre. Sembrava stessi venendo meno rispetto ad alcuni impegni che erano stati assunti... mi chiese se ero così "testa di..." da non aver capito che non davo valore alla mia esistenza e non consideravo le eventuali conseguenze sulla mia famiglia. Il mio ruolo aveva creato attriti con mia moglie che pensava potessi essere pericoloso... il 18 giugno avevo udienza conciliatoria... mi fecero arrivare questo tipo di avvisaglia a pochi giorni dall’udienza".

La strage di Ustica, il sequestro Moro, gli affari a Milano e la strage di Capaci. "Mio padre in quell’occasione era cercato ed era stato invitato a parlare con Lima e Ruffini perché era un aereo che proveniva da Bologna era caduto in mare. In quell’occasione s’era messo in contatto con l’onorevole Lima, dovevano attuare una sorta di programma... era un incidente non voluto e non causato... c’era stata una mala interpretazione aerei inerenti alleanze... un aereo tunisino voleva evitare uno di questi missili, mettersi dietro l’Itavia... Mio padre era coinvolto per quanto riguardava l’attività di copertura dettata da esigenze di carattere politico... il signor Franco insieme a Ruffini avevano identificato in mio padre soggetto già sperimentato mio padre con compiti di copertura... fu scelto lo stesso canale di copertura del sequestro Moro. Da salvaguardare c’erano i terreni assegnati alle basi militari americane. Esigenze che venivano da Roma, per gestire la situazione, per non fare emergere la verità. Mio padre doveva attivare i suoi canali, Provenzano, per controllare e gestire le fughe di notizia, accedere a soggetti che sapevano come veramente si erano svolti i fatti per non inficiare gli esiti della aree concesse [...] Per il sequestro Moro, Vito Ciancimino doveva invitare "esponenti della Dc collegati con Cosa nostra a non rendersi utili a indicare il covo in cui era tenuto in ostaggio il presidente Moro. In quell’occasione fu invitato dall’allora Ruffini, sollecitato da Zaccagnini. Mio padre fu chiamato in causa per far questo tipo di apporto. Ma anche dal signor Franco. Già era stata identificata la zona dove era tenuto Moro, ma questo non doveva essere diffuso. Non aderire alle indicazioni date... di non dare notizie, invitava a non dare informazioni..."
Massimo Ciancimino ha inoltre rivelato che: "Parte del denaro di mio padre, negli anni ‘70, fu investito in una grossa operazione edilizia realizzata nella periferia di Milano chiamata 'Milano2'". Secondo il testimone l’ex sindaco, convinto a fare l’investimento dagli imprenditori Nino Buscemi e Franco Bonura, inizialmente non era entusiasta del nuovo business, ma poi avrebbe finito per accettare.

Il "papello": la trattativa Stato-mafia. "Nel volo Fiumicino Palermo, 5-6 giorni dopo la strage di Capaci, ci siamo incontrati nell’area del check-in. 'Ci vediamo a bordo se c’è posto libero ci sediamo accanto' mi ha detto. Si iniziò a parlare col capitano De Donno, mi chiese se c’erano condizioni di un incontro in prima persona col capitano... il colloquio doveva assumere altra veste, qualcosa di ufficioso, soprattutto se c’era disponibilità a riceverlo non in veste di capitano ma in altro ruolo. Già dall’allora mi disse che a capo che c’era l’allora colonnello del Ros, Mario Mori. 'Giuseppe renditi conto che nella forma mentis di mio padre non c’è quella di ricevere i carabinieri a meno che non lo convocate'... dopo due tre giorni l’ho detto a mio padre, mi ha meravigliato l’assenza di stupore di mio padre su questa richiesta di colloquio. Mi aspettavo meraviglia, stupore, ma non era sorpreso più di tanto... c’è stato un incontro sia con il Lo Verde (Provenzano, ndr) che con il signor Franco, mio padre mi disse di contattare il capitano per prendere un appuntamento". "Primo incontro fra De Donno e mio padre, attorno all’ora di pranzo, prima decade di giugno. Nel primo incontro non è presente il colonnello Mori. Io ho accompagnato il colonnello De Donno a casa mia e ho avvisato mio padre. All’uscita dell’incontro De Donno disse che c’era possibilità di continuare colloqui... Nel terzo incontro De Donno è venuto in compagnia di Mori, lo dico per averlo visto, per averli presi e accompagnati. Siamo nella metà di giugno. Mio padre una volta che comunica a De donno che è disponibile, dice che vuole parlare col 'dante causa'... gli incontri sono avvenuti prima della strage di via D’Amelio... due o tre incontri, mio padre s’è sempre servito di me come tramite. Il 29 giugno prendo dalle mani del dottor Cinà quello che viene indicato volgarmente 'papello', a Mondello, nell’area introno al bar Caflish, con lettera a corredo.. mio padre ha incontrato il signor Franco, poi Lo Verde per chiedere il permesso di riceve il capitano... Uno stato che viene a trattare e mettere benzina nel radiatore. L’istituzione che cerca dialogo ora, accredita la linea intrapresa da Cosa nostra... il fatto stesso che questi cercassero il contatto… non condivideva, significa esaltare il ruolo di Riina, accreditava la strategia. Grave errore, secondo mio padre". [...] "Il signor Franco disse a mio padre che il ministro Mancino e Rognoni erano informati dell’attività dei carabinieri. Mio padre prima di accettare un incontro con i carabinieri del Ros aveva chiesto l’autorizzazione a Bernardo Provenzano. A proposito dei contenuti dei primi incontri mio padre mi disse che i carabinieri proponevano una resa incondizionata dei latitanti mafiosi e in cambio assicuravano trattamenti di favore ai loro familiari".

La corte ha poi mostrato il papello a Massimo Ciancimino e questo ne ha ricostruito la genesi. "Ricordo esattamente quando ho consegnato questa busta sul letto di mio padre, mi disse di rimanere in casa perché avrei dovuto chiamato De Donno. Sul momento mi dice, infatti, di prendere appuntamento con il capitano e il colonnello, poi col signor Franco (...) Mio padre che ha subito detto 'il solito testa di minchia' facendo chiaro riferimento a Riina, mi ha raccontato che lui ha informato subito delle proposte inaccettabili... era come volere vendere una 500 30 milioni... 'Forse è più saggio dire no che mettere un cumulo di minchiate messe assieme' mi ha poi detto mio padre... ne parla col Provenzano e dallo stesso viene invitato a trovare punti di mediazione, a portare pazienza".
La corte ha mostrato dopo un’altra lista di richieste, il secondo 'papello' redatto da Vito Ciancimino. "E' scritto da mio padre. Manoscritto risalente, dice mio padre, nel periodo, '92, era il contenuto di quello che era l’invito fatto da Provenzano di non arroccarsi in posizione di diniego assoluto sulle controrichieste di Rina... cercare di trovare punti di intesa sulle finalità di uno e che potessero essere presentabili a chi lo doveva ricevere. Per dare un minimo di disegno logico, argomentazioni che potevano trovare un minimo di accoglimento dei soggetti proposti… era abitudine di mio padre servirsi di questi appunti, promemoria a quella che doveva essere la discussione ai successivi incontri a Palermo con Lo Verde che con gli ufficiali dell’Arma".

La strage di via D’Amelio. "Mi ricordo che era domenica eravamo a Roma, mio padre mi chiamò, mi fece vedere la notizia il primo commento fu amaro triste, disse che si sentiva anche se indirettamente responsabile di quella che era l’ennesima strage. Dettato dal fatto che il tentativo di aprire questo dialogo con Riina da parte delle istituzioni aveva innescatato un valore aggiunto a quella che era l’azione stragista di Cosa nostra, 'se questo è capitato è anche colpa nostra. Mi sento in colpa anch’io per quello che è successo" disse. Se Borsellino fosse venuto a sapere di questo tentativo, di questo tentativo di dialogo, non era una persona disposta ad avvallare questo percorso. Rimarcava di sentirsi responsabile per aver dato un’accellerazione" [...] "Dopo via D’Amelio cambia tutto. Dalla prima trattativa, proposta iniziale delle istituzioni di possibili benefici, atteggiamento un po’ morbido verso i superlatitanti, la loro consegna, si passa alla volontà di voler catturare Salvatore Riina e non Provenzano in quanto gli stessi (i carabinieri, ndr) sanno che l’interlocutore di mio padre era Provenzano. Mio padre non aveva contezza degli ultimi spostamenti di Riina. Non aveva questo tipo di notizie da poter dare, quindi si doveva servire di Provenzano. Il momento storico non era facile..."

Provenzano e la cattura di Totò Riina. "Provenzano viene informato che da quel momento in poi deve fare il ruolo chiave per giungere al fine. ‘Non puoi tirarti indietro, hai creato tu questo soggetto, assumitene le responsabilità e metti fine alla latitanza di Riina'. Viene informato il regista, gli interlocutori di mio padre che si doveva passare a una fase collaborativa. Cambia infatti anche la contropartita. Si abbandona il papello... mio padre aveva percepito l’impraticabilità della trattativa. Si torna all’impianto iniziale... le mire di mio padre non erano i 12 punti del papello ma si riferiva ai possibili benefici sui processi in corso... Voleva chiaramente che l’interlocutore informato fosse il Violante, unico soggetto che secondo lui avesse pieno potere su quello che era il mondo della magistratura, unico elemento di garanzia, in grado di condizionare decisioni dei magistrati, era solo Luciano Violante". [...] "Questa nuova fase... a Provenzano si era assicurato... che poteva muoversi tranquillamente. Per poter garantire che Provenzano fosse l’unico capace a ricondurre Cosa nostra, anche a detta dei carabinieri, in una strada ragionevole. L’unico personaggio che poteva ricondurre Cosa nostra nella strada della non visibilità... fu garantito l’impunità. Questo fu detto ai carabinieri e fu assicurato dai carabinieri e di questo fu informato il signor Franco" [...] "A novembre viene richiesta una serie di documentazioni a De Donno per individuare il covo di Riina. Tabulati utenze telefoniche, gas, luce, acqua, piantine catastali che rappresentavano l’area dove stava Riina. Mio padre lo sapeva per via di interventi fatti da lui, tramite imprese, sulla zona. Mappe da dare a Provenzano dove avrebbe dovuto indicare... De Donno mi consegnò questi tabulati e un grosso tubo giallo con le mappe della città di Palermo... mio padre mi dice di portarle a Palermo mandando un biglietto... ho consegnato la lettera e la busta a Lo Verde. I primi di dicembre... Questa documentazione viene restituita con le indicazioni... Era stato preso appuntamento con De Donno il giorno dopo a Roma... in questa documentazione, mio padre l’ha aperto davanti a me, era cerchiata una zona ben precisa di Palermo, poi col pennarello erano evidenziate delle utenze telefoniche... mio padre però a Roma fu raggiunto dalla custodia cautelare del questore di Palermo per la richiesta da parte di mio padre di un passaporto. Sono io a consegnarle a De Donno, chiedo a Giuseppe (De Donno, ndr) 'ti giuro non ne sono niente, avevo appuntamento e ho trovato la polizia' era il 19 dicembre ‘92. Poi mio padre mi disse di consegnare i documenti presi a Palermo al capitano". "I carabinieri non ipotizzarono nemmeno la cattura di Provenzano perché sapevano che grazie a lui sarebbero arrivati all’arresto di Riina" [...] "Bisognava convincere un personaggio, il Provenzano, che non aveva nell’indole, nella sua natura, il tradimento. Ci furono diversi colloqui per quello che mio padre definiva la 'presa di coscienza' per definire la cattura di Riina. Quello che era l’intento iniziale di Provenzano di farsi da parte era venuto meno, mio padre gli disse che non poteva tirarsi indietro. Gli diceva 'gli rendiamo l’onore delle armi...' avviene a novembre perché si riesce a convincere Provenzano che capisce che questa situazione è indispensabile. Ci sono stati più incontri con i carabinieri, con Lo Verde (Provenzano), col signor Franco, soggetti costantemente informati anche a distanza di ore" [...] "Mio padre aveva concordato con i carabinieri e con il signor Franco (uomo dei servizi, ndr) che si doveva rispettare la famiglia. Doveva essere messa in condizione di allontanarsi, raggiungere il paese, levare tutta quella che era la documentazione conservata da Riina. Oltre quello che poteva essere un reale archivio, temeva un atteggiamento da millantatore in merito a quello che erano le sua conoscenza e il suo archivio della documentazione. Riina si vantava che il momento in cui avrebbero perquisito il covo l’Italia sarebbe crollata. Non mi posso arrestare, trovano tanto di quella documentazione... se le scrive da solo... fu stabilito un margine per fare andare via la famiglia... era una sorta di 'onore alle armi'. Un metodo meno traumatico, bisognava anche far percepire questo messaggio. Ne aveva parlato con Lo Verde (Provenzano, ndr), era stata recepita e accettata e l’aveva comunicata sia al signor Franco che ai carabinieri".

Cambio di guardia politico. Marcello Dell'Utri nuovo referente. "Mio padre si lamentava di essere stato scaricato e che qualcun altro lo aveva sostituito nel suo programma. Nei lunghi colloqui fra il Lo Verde, il signor Franco, mio padre. Non parlavano solo come mettere fine alla latitanza di Riina. Si stava mettendo in piedi un programma. Nel 1992 c’erano state da poco l’elezioni, l’avanzata della Rete, della Lega, c’era un partito, quello che di fatto aveva comandato negli ultimi 40 anni, soprattutto in Sicilia… che era un bacino di voti da non perdere... secondo mio padre che poi aveva avuto contezza... c’era Marcello Dell’Utri, lo dice nel 2000".
Dopo una breve pausa l’interrogatorio riprende e la parola è presa dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia che mostra sette "pizzini", consegnati alla procura di Palermo dallo stesso Massimo Ciancimino. "Fanno parte della documentazione da allegare al nostro progetto del libro... sono stati tutti da me presi direttamente da lui o da persone a lui riconducibili... venivano tutti da Provenzano. Lo so perché li prendo io stesso prima che mio padre me lo dice" [...] "Nessuno ha controllato la mia cassaforte (col papello, ndr), poi sono stato avvertito da una persona vicina al signor Franco che di lì a poco mi sarebbe pervenuta un’ordinanza di custodia cautelare e nel maggio 2006 vado a depositare i documenti in un istituto svizzero". In un pizzino è scritto "credo che è il momento che tutti facciamo uno sfozo come già c’eravamo parlati all’ultimo incontro, il nostro amico è molto pressato". "L’ho preso da persone vicine a Provenzano, è la risposta al papello. L’amico è Riina, molto pressato... fa riferimento a quel personaggio il 'grande architetto' che lo stava istruendo e lo stava istradando verso questo percorso, gli aveva riempiendo la testa... pressava Riina per andare avanti con le stragi... erano contrari Provenzano e mio padre, soprattutto una volta che era stata avviata una trattativa... mio padre mi dice che scrive nella lettere al Provenzano che le richieste di Riina erano inaccettabili... l’ulteriore sforzo è quella sorta di contropapello..."
Un personaggio avrebbe spinto il boss Totò Riina a proseguire nella strategia delle stragi. La figura dell’ignoto suggeritore, "il grande architetto", che avrebbe fatto pressioni sul padrino di Corleone è stata citata da Massimo Ciancimino, dunque, nel pizzino di cui si è detto. "Carissimo ingegnere, con l’augurio... ho riferito i suoi pensieri al nostro amico sen., ho spiegato che loro non possono fare questi provvedimenti con l’amnistia quando governano loro..." [...] "Siamo in un’epoca in cui mio padre è agli arresti domiciliari a Roma, dal 2000 al 2002 – spiega Massimo Ciancimino – ...mio padre mi ebbe a dire che Provenzano aveva riferito all’amico Dell’Utri circa lo stato di salute di mio padre e alla richiesta di un provvedimento di clemenza... 'il nostro amico sen.' era Dell’Utri, aveva fatto una battuta... perché era deputato, 'forse l’abitudine di scrivere sempre senatore' ha detto mio padre, perché c’è un altro senatore più conosciuto...". "Marcello Dell’Utri e Bernardo Provenzano avevano rapporti diretti. Me lo riferì mio padre a cui era stato detto dal capomafia". L’argomento è venuto fuori quando Ciancimino ha illustrato ai giudici il contenuto del già citato pizzino che Provenzano aveva scritto al padre. Nel bigliettino, che il teste ha consegnato in procura, il boss scriveva di avere parlato "al nostro amico senatore" di un provvedimento di amnistia che era stato caldeggiato da Ciancimino. "Mio padre - ha spiegato Ciancimino - disse che il senatore era Dell’Utri e che, anche se all’epoca il politico era solo un deputato, Provenzano era solito chiamare tutti senatori".
L’interrogatorio di oggi si è chiuso con l’ultimo pizzino. "...mi è stato detto dal nostro sen e del nuovo pres... la nuova soluzione per la sua sofferenza. Appena ho notizie te li farò sapere. So che l’avvocato è ben intenzionato. Il nostro amico z ha chesto di incontrare il nostro amico sen...". "E’ del settembre 2001 - ha risposto Ciancimino jr – il nostro sen è sempre il senatore Marcello dell’Utri, il nuovo pres. è Salvatore Cuffaro. Il nostro amico Z, è il portaborse Enzo Zanghì... l’avvocato è Nino Mormino, che con l’avvocato Pisapia curava il disegno di legge di indulto o amnistia. Significa che sia il presidente Cuffaro, in quota Udc, che gli amici spingeranno per il provvedimento di clemenza nei confronti dei carcerati".

La testimonianza di Massimo Ciancimino continuerà il prossimo 8 febbraio in cui ci sarà anche il controesame della difesa.
 

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, ANSA, La Siciliaweb.it, LiveSicilia.it]

 

 

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02 febbraio 2010
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