Il "Titanic" della Grecia antica torna a Gela
Una mostra-evento di tre giorni in due sale del Museo archeologico di Gela, aspettando il "Museo dei relitti"
Dopo 28 anni di attesa, Gela ha ricevuto ed esposto nel proprio museo archeologico regionale i pezzi restaurati del relitto della nave greca risalente al VI sec. a.C., scoperta nel 1988 da due sub nel mare di contrada Bulala, a est di Gela, unica testimonianza al mondo di fasciame a incastro legato da fibre vegetali.
I reperti, recuperati nel 2008 e trattati chimicamente in Inghilterra per il processo di desalinizzazione, sono contenuti in 44 casse, ma solo una parte sarà fruibile ai visitatori fino a domani, sabato 20 febbraio, per motivi di fragilità.
Una mostra, quella inaugurata ieri, "che non avrei mai permesso - ha detto il sovrintendente ai beni culturali di Caltanissetta, Lorenzo Guzzardi - se non fosse stato attivato un delicato sistema di climatizzazione", realizzato grazie al contributo di 130 mila euro erogato dall'Eni, attingendo al fondo di compensazione istituito in favore del Comune di Gela dopo la firma del protocollo d'intesa sul petrolchimico".
Il "Titanic" della Sicilia greca torna a Gela dopo un restauro lungo dodici anni
di Isabella Di Bartolo (Repubblica/Palermo.it, 18 Febbraio 2016)
Il "Titanic" della Sicilia greca torna alla luce con i suoi preziosi tesori che narrano la storia della navigazione più antica nel Mediterraneo e i commerci tra l’Isola e l’Egeo. Per la prima volta, una nave del VI-V secolo a.C. è stata protagonista di un delicato restauro curato dalla Soprintendenza di Caltanissetta, diretta dall’archeologo Lorenzo Guzzardi, nei laboratori di Portsmouth in Inghilterra. Un intervento che ha restituito integrità al legno e al carico scoperti nei fondali di Gela e custoditi, per decenni, in quaranta scatoloni.
Nell’estate del 1988, a 800 metri dalla costa di contrada Bulala e a 6 metri di profondità, i due subacquei Gino Morteo e Gianni Occhipinti trovarono resti dell’imbarcazione il cui studio venne seguito dalla Soprintendenza nissena, allora affidata all’archeologa Rosalba Panvini che subito si rese conto dell’importanza del rinvenimento. Grazie alle peculiarità del fondale, infatti, la nave conservava in maniera straordinaria il suo legname millenario, un carico e la pietra da zavorra caricata nei vari porti al posto delle merci consegnate. Ma la peculiarità più rilevante è la tecnica di costruzione che riecheggia quella descritta da Omero nel II libro dell’Iliade: pezzi di legno cuciti con fibre vegetali e che si ritrova in Egitto nella cosiddetta "nave di Cheope" del III millennio a.C.
"Uno dei pochi relitti di età greca conservato in quasi tutte le sue parti - commenta Guzzardi - dal cui studio sono emerse considerazioni nuove sull’architettura navale antica, che vede insieme tecniche antichissime e più moderne come quella a incastro; ma anche sulla società e sul commercio nel Mediterraneo tra il VI e il V a.C. La nave proveniva dall’Egeo e portava un carico di merci tra cui olio di produzione attica e corinzia e vino pregiato provenienti da varie parti del Mediterraneo: da Mileto a Lesbo, a Samo all’area punica; entrambi custoditi in anfore di grande bellezza e artigianale".
Del carico facevano parte alcuni cesti rivestiti di pece che sono stati restaurati in Svizzera e che contenevano derrate alimentari e frutta come mostra il rinvenimento all’interno di uno di essi di un nocciolo di pesca. "Gela in età greca era una città ricca, bella e molto vivace - prosegue Guzzardi - abitata da artigiani, commercianti e agricoltori facoltosi e proprietari terrieri. Possedeva un grandioso porto commerciale a cui si affiancava un mercato: chi arrivava dal mare ammirava l’immagine di una affascinante città adagiata sulla costa e sovrastata dall’Acropoli. Ancora oggi, a Bosco Littorio, sono ben visibili i resti di questo Emporio greco con le sue strutture destinate alla vendita delle merci e costruite in mattoni crudi".
Il commercio si svolgeva nei pressi della foce del fiume Gela e, in età antica, erano i fiumi le "autostrade" da percorrere all’interno della Sicilia. Non stupisce dunque se nel carico della nave naufragata vi fossero oggetti di pregiata manifattura come ceramiche a vernice nera e rossa che provengono dalla polis di Atene e dall’isola di Chio. Significativi anche gli oggetti ritrovati nella cambusa della nave, tra cui uno stilo in osso con cui il comandante della nave scriveva il diario di bordo o, ancora, oggetti di culto usati dai marinari nel loro piccolo altare di bordo per propiziarsi le divinità dell’Olimpo durante la navigazione.
La nave e la sua storia saranno protagonisti di una mostra-evento che sarà inaugurata giovedì alle 11 in due sale del Museo archeologico di Gela ma saranno anche fulcro del "Museo dei relitti" che la Sicilia attende da anni e che nascerà all’interno del Parco archeologico nisseno: 5 milioni e 300mila euro è la somma stanziata per questa nuova struttura museale che celebra la Sicilia come crocevia di storia tra Oriente e Occidente. Il 13 novembre 2004, i legni della nave sono stati avvolti in speciali pellicole impermeabili per conservarne il contenuto d’acqua e trasferiti nei laboratori di Portsmouth: qui sono stati immersi in vasche d’acqua per evitare il processo di essicazione e poi consolidati attraverso immersioni in vasche con Peg: un materiale che sostituisce gradualmente le particelle d’acqua usato per il restauro della nave vichinga di Stoccolma.