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Il vice presidente del Csm ascoltato dai pm di Caltanissetta e Palermo

Nicola Mancino sentito dai giudici in merito alle presunte trattative tra Stato e mafia

18 settembre 2009

Il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, Nicola Mancino, è stato sentito ieri dai pm di Caltanissetta e Palermo nell'ambito delle nuove indagini sulla trattativa fra Stato e mafia e sulle stragi del 1992. Il politico, che all'epoca dei fatti era ministro dell'Interno, ha sollecitato nelle scorse settimane i pm di essere sentito come testimone. I magistrati, come hanno riportato alcuni quotidiani, lo hanno ascoltato a Roma.
Mancino avrebbe confermato di non ricordare l'incontro con Borsellino al Viminale pochi giorni prima dell'attentato.
L'atto congiunto delle due procure è stato fatto il giorno dopo la riunione alla procura nazionale antimafia dove hanno partecipato i pm di Palermo, Caltanissetta, Firenze e Milano. Tutti titolari di inchieste che ruotano attorno alle stragi di Falcone e Borsellino e a quelle del 1993. In questa occasione i pm di Firenze non hanno fornito ai colleghi il verbale di interrogatorio del pentito Gaspare Spatuzza in cui parla del senatore Marcello Dell'Utri e di suoi eventuali contatti con i fratelli stragisti Filippo e Giuseppe Graviano.
I magistrati fiorentini non hanno voluto nemmeno descrivere il contenuto delle dichiarazioni, perchè "coperte dal segreto istruttorio". In seguito a questa decisione i pm siciliani hanno subito interrogato Spatuzza, per due giorni, al quale è stato chiesto, in particolare, quello che è a sua conoscenza su rapporti mafia e politica. [La Siciliaweb.it]

Trattativa tra Stato e mafia: interrogato Nicola Mancino
di Attilio Bolzoni e Francesco Viviano (Repubblica.it, 18 settembre 2009)

E' l'unico uomo politico - al tempo era ministro degli Interni - che ha parlato di una "trattativa" che qualcuno voleva fare con la mafia. E' l'unico uomo politico che ha spiegato perché quella "trattativa" è stata respinta "anche come semplice ipotesi di alleggerimento dello scontro con lo Stato".
Diciassette anni dopo le stragi siciliane e due mesi dopo le sue prime dichiarazioni sulle tragiche vicende avvenute nell'estate del 1992, il vicepresidente del Csm Nicola Mancino sfila come testimone davanti ai magistrati di Palermo e di Caltanissetta.
Un interrogatorio di quasi tre ore a Roma, un faccia a faccia dell'ex ministro con i procuratori Messineo e Lari e gli aggiunti Di Matteo e Gozzo per ricostruire chi aveva intavolato le trattative, a cosa puntavano, chi dentro lo Stato non ha voluto accettare il ricatto di Cosa Nostra. Il verbale di interrogatorio è stato secretato.

Se alla procura di Caltanissetta s'indaga sui massacri in Sicilia (Capaci e via D'Amelio nella primavera-estate del 1992) e se alle procure di Firenze e di Milano s'indaga sugli attentati del 1993 (le bombe in via dei Georgofili, a San Giorgio al Velabro, in via Palestro), alla procura di Palermo s'indaga sulla "trattativa" fra mafia e Stato.
È un'inchiesta parallela a quelle sulle stragi, avviata qualche anno fa su un episodio specifico - la mancata cattura di Bernardo Provenzano il 31 ottobre 1995, imputati per favoreggiamento il generale dei carabinieri Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu - e ormai diventata il "contenitore" di tutte le investigazioni su ciò che è avvenuto in Sicilia prima e dopo le uccisioni di Falcone e Borsellino.
L'inchiesta di Palermo ha scoperto negli ultimi mesi che ci sono state non una, ma ben due "trattative". La prima viene datata fra la morte di Falcone e quella di Borsellino, la seconda sarebbe stata avviata dopo la cattura di Riina da Bernardo Provenzano e con "un esponente di rilievo della nascente formazione politica". Secondo le dichiarazioni di almeno due pentiti e di Massimo Ciancimino, il partito sarebbe Forza Italia e l'interlocutore di Provenzano sarebbe stato Marcello Dell'Utri. La prima e la seconda "trattativa" sono collegate fra loro: nelle indagini l'anello di congiunzione sarebbe proprio la mancata cattura di Provenzano. Un arresto sfumato "conseguenza" dell'accordo fra pezzi dello Stato e mafia. Oggi i procuratori sono certi che la "trattativa" (o le "trattative") fra Corleonesi e apparati non sono durate soltanto qualche mese ma almeno tre anni. Fino agli ultimi mesi del 1995.

Nicola Mancino non è il solo uomo politico che ha testimoniato su quei tentativi di "avvicinamento" dei mafiosi. A metà luglio, dopo diciassette anni di silenzio, si è presentato alla procura di Palermo anche l'ex presidente della commissione parlamentare antimafia Luciano Violante per raccontare di tre contatti avuti con il generale Mori. L'ufficiale dei carabinieri gli aveva proposto un incontro "privato" con Vito Ciancimino. Violante rifiutò, chiese al generale se di quella voglia di parlare di don Vito era stata informata l'autorità giudiziaria, il generale gli rispose "che era una cosa politica".
Anche su questo ha testimoniato nei mesi scorsi Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex sindaco di Palermo. Lui ha fatto ritrovare ai magistrati tre frammenti di lettere indirizzate fra il 1991 e il 1994 a Berlusconi, lettere provenienti a quanto pare da Provenzano dove si facevano velate minacce e si parlava del "contributo politico" che lo stesso Provenzano avrebbe voluto offrire a una "nuova formazione politica". Atti e verbali di interrogatorio che, ieri, dovevano finire nel processo d'appello dove il senatore Dell'Utri è imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma la Corte ha respinto la richiesta dell'accusa perché "dall'esame dei contenuti dei verbali di interrogatorio di Massimo Ciancimino emerge un quadro confuso ed oltremodo contradditorio".

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18 settembre 2009
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