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In America vietato l'utilizzo terapeutico della marijuana, in Italia la prima canna a 11 anni

Ultime dal ''Pianeta stupefacente''

09 giugno 2005

Essere repubblicani e conservatori significa tante cose, ma sicuramente quella che più salta agli occhi è quella voglia di disciplina e puritanesimo che troppo spesso si trasforma in coatta presa di posizione nei confronti di chi la pensa diversamente.
Premessa fatta passiamo alla notizia. La decisione presa dalla Corte suprema degli Stati Uniti di vietare l'uso della marijuana per fini terapeutici, specialmente per alleviare le sofferenze dei malati terminali, è diventata presto una vittoria per il presidente Bush, che da tempo si oppone con vigore all'utilizzo di droghe, anche in medicina.
I dieci Stati che avevano autorizzato questo uso della cannabis dovranno ora adeguarsi.

La decisione della Corte suprema, approvata con sei voti a favore e tre contro, riguarda il caso di due donne californiane: Diane Monson, malata di cancro al cervello, e Angel Raich, sofferente di una malattia degenerativa della spina dorsale. Nell'agosto del 2002, gli agenti federali avevano sequestrato a entrambe alcune piantine di marijuana, coltivate nel cortile di casa e usate per attenuare le sofferenze.
Le autorità federali potranno ora incriminare i malati ai quali i medici hanno prescritto l'uso di marijuana per alleviare il dolore.
La possibilità di coltivare e fumare marijuana, o assumere derivati della canapa indiana, è garantita in California dal 1996. Oggi è una pratica diffusa in altri nove Stati americani, fra cui l'Oregon, il Nevada e il Colorado.
Questa decisione è un duro colpo per tutti coloro che si sono battuti, negli ultimi anni, per assicurare le "terapie del dolore" ai malati di Aids, cancro o altre gravi e dolorose patologie.

E mentre in america Diane Monson dovrà prepararsi ad andare in carcere in compagnia del suo cancro al cervello, in Italia la relazione annuale 2005 al Parlamento sulle tossicodipendenze (messa a punto dalla Presidenza del Consiglio e che sarà presentata a fine mese), anticipa i nuovi identikit dei consumatori di sostanze stupefacenti.
Sembra che oggigiorno il primo contatto con la droga in Italia lo si abbia già ad 11 anni e che a 15-16 se ne faccia già un uso non più occasionale.
Sono i giovani consumatori, soprattutto di cannabinoidi: insospettabili, che vanno bene a scuola, giocano al calcio. E ragazzine tutte acqua e sapone.
Secondo quanto sottolineato da Andrea Fantoma - direttore generale del dipartimento nazionale per le politiche antidroga della presidenza del Consiglio -, in appena cinque anni, dal 1999 al 2004, si è ridotta notevolmente la media dell'età del primo contatto con le sostanze stupefacenti, passando dai 25-34 anni ai 15-19 anni. E ancora una volta soprattutto fra i giovanissimi, è aumentata l'assunzione della cocaina e delle anfetamine e derivati.

Risultati preoccupanti ai quali si aggiungono quelli altrettanto allarmanti della Federserd (Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze): in cambio di droga, i giovani consumatori ricorrerebbero, infatti, a sempre più mezzi illeciti, come debiti e spaccio, fino a prestazioni sessuali. E nell'indifferenza generale dei genitori e la maggiore attenzione degli insegnanti, si presentano ai Sert già a 15 anni.
Complice anche un mercato che offrirebbe merce meno cara (eroina e hashish anche a 5 euro) e sostanze sempre più indefinite, continuamente modificate dagli spacciatori in laboratorio.
E così la siringa sparisce e tra le novità si afferma la 'catata' (neologismo creato dal napoletano "capocciata"), miscela di cocaina e bicarbonato fumata in una bottiglietta.

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09 giugno 2005
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