In carcere la dottoranda libica "jihadista"
Il tribunale del Riesame di Palermo ha disposto per la donna la custodia cautelare in carcere
Il tribunale del Riesame di Palermo, accogliendo l'appello della procura, ha disposto la custodia cautelare in carcere per Khadiga Shabbi, ricercatrice universitaria libica fermata a dicembre dalla Divisione antiterrorismo della Digos di Palermo per istigazione a delinquere in materia di reati di terrorismo.
La donna dottoranda alla facoltà di Economia dell’università del capoluogo siciliano, è diventata causa di un’aspra polemica tra la procura di Palermo e l’ufficio del Gip, dopo che il giudice per le indagini preliminari Fernando Sestito ha deciso - lo scorso 23 dicembre - di non convalidare il fermo della donna e rigettare la richiesta di carcerazione, preferendo l’obbligo di dimora. La procura ha fatto ricorso al tribunale del Riesame che ha accolto l'appello.
Nel suo provvedimento il Gip aveva ritenuto insussistente, a carico della donna, il pericolo di fuga: constatazione che l'aveva indotto a non convalidare il fermo della procura. Inoltre, per il giudice, le esigenze cautelari sarebbero state soddisfatte con l'obbligo di dimora.
Valutazioni non condivise dal pm titolare dell'indagine, Geri Ferrara, che aveva sottolineato nell'appello come fosse illogico che alla ricercatrice non fosse stata impedita la comunicazione con l'esterno, visto che il reato che le si contestava, cioè la propaganda a organizzazioni integraliste islamiche, veniva effettuato proprio attraverso l'uso dei social.
Shabbi "non è accusata di terrorismo o di associazione terroristica, come potrebbe intendersi, ma soltanto di un reato d’opinione: l’avere espresso il suo apprezzamento nei confronti dell’ideologia di gruppi ritenuti terroristici, manifestazione del pensiero che può diventare reato solo se resa pubblica", hanno detto il presidente dell’ufficio del gip Cesare Vincenti e il suo vice Gioacchino Scaduto, che non hanno gradito le critiche della procura alla scelta del loro ufficio.
Khadiga Shabbi è accusata di aver intrattenuto rapporti con organizzazioni integraliste, fatto loro propaganda, ricevuto materiale fotografico e video relativo anche a fosse comuni con cadaveri. La donna avrebbe anche tentato di far arrivare in Italia un familiare, poi morto durante gli scontri nella guerra civile libica.
Adesso gli avvocati potranno fare ricorso in Cassazione, che deciderà l’eventuale custodia cautelare in carcere per la donna
- Da Palermo propaganda per la Jihad sul web (Guidasicilia.it, 23/12/15)
- Solo un reato di opinione (Guidasicilia.it, 28/12/15)
- La Procura di Palermo contro la scarcerazione della dottoranda libica (Guidasicilia.it, 30/12/15)