In Italia sono troppi i giovani inattivi
2 mln i giovani che si trovano nella condizione "né studio né lavoro": urgente creare posti e che anziani lavorino meno
Sono oltre due milioni i giovani che in Italia non lavorano e non studiano, il più alto numero in Europa, e l'Istat dice che la condizione di 'Neet' (Not in education, employment or training) è in aumento nella fascia di età tra i 15 e i 29 anni. Per questo, "è urgente creare posti di lavoro, facendo anche lavorare di meno gli 'anziani'".
A lanciare l'invito è il sociologo Domenico De Masi, che con una ricerca condotta all'Università degli studi 'La Sapienza' di Roma, i cui risultati saranno pubblicati a settembre, cerca di fare luce sul fenomeno dei giovani inattivi.
"Se si considera che in Italia c'è gia una moltitutidine di pensionati 'condannati' a non fare niente - dice De Masi a Labitalia - dai 62 agli 80 anni, che è l'età a cui ora in media si muore, i due milioni di giovani nullafacenti loro malgrado si aggiungono come una massa enorme alla categoria degli inattivi". De Masi sottolinea che però "a questi giovani non c'è proprio niente da rimproverare". "Abbiamo monitorato il comportamento nei primi tre anni di non lavoro e non studio: il primo anno in cui si ritrovano senza fare niente i ragazzi passano almeno 4 ore su Internet a cercare attivamente un impiego, vanno alle agenzie interinali, vanno ai centri per l'impiego, insomma le provano tutte, ma poi, man mano, per tutti interviene lo scoraggiamento". Gli sbocchi in questa condizione 'né studio né lavoro', sono, dice il professore, "il volontariato, gli amici, la famiglia, la depressione, ma anche, per qualcuno, la criminalità e la droga". Insomma, avere "2 milioni di giovani inoperosi non è certo positivo per il Paese".
Prima di agire, avverte De Masi, "bisogna rispondere a certe obiezioni che cinicamente dicono che 'i giovani non sono disposti a lavorare', portando, a riprova di questo, il fatto che i posti di lavoro vacanti sono occupati dagli immigrati". "Non è vero - ribatte De Masi - e c'è da dire che quando una persona ha investito tanto tempo e risorse in studi e formazione, è chiaro che non va volentieri a fare lavori di un certo tipo". Così come, aggiunge il professore, noto anche per i suoi saggi sull'ozio creativo, "non è che tutti si possono improvvisare idraulici o falegnami: servono doti e risorse per avviare un'attività".
Ma c'è un rovescio della medaglia: accanto ai giovani che lavorano troppo poco, ci sono adulti che lavorano troppo. E qui, sostiene il professore, si può e si deve intervenire. "Abbiamo calcolato che ci sono circa 2 milioni di lavoratori, soprattutto manager e impiegati, che in media fanno due ore di straordinario non retribuito al giorno. Se si eliminasse questa forzatura (per di più illegale), si potrebbero mettere in circolazione 500.000 posti di lavoro, garantendo per di più alle persone adulte più tempo per sé e per la famiglia". Non solo: c'è un'altra misura che può essere adottata da subito per aiutare i giovani a lavorare: "I cosiddetti lavori 'intellettuali', che nella loro accezione di lavori creativi (come il giornalista o il designer) e di lavori esecutivi (come l'impiegato di banca) rappresentano il 90% dei lavori svolti ora dagli italiani (ai primi del '900 invece il 90% erano lavori 'fisici' puri). Di norma chi svolge questi lavori - sottolinea il sociologo - lo fa senza orario (i creativi) o regolarmente oltre l'orario (gli esecutivi). Ridurre l'orario di lavoro di questi due terzi di lavoratori non è impossibile, e libererebbe altri posti di lavoro che insieme ai 500.000 di prima darebbero un'occupazione a molti dei 2 milioni di inattivi". Per le aziende, si potrebbero pensare "incentivi e sgravi fiscali". Ma ci sono anche altre idee che si potrebbero proficuamente mettere in campo. "Una proposta che discutevo già con Ciampi quando era ministro delle Finanze - ricorda De Masi - era quella di incentivare l'apertura di luoghi di portierato sulla scia di quello che in Germania o negli Stati Uniti viene chiamato 'il segretario di palazzo', ossia una figura che non solo sorveglia e vigila, ma amministra, risolve problemi, reperisce ditte e contatti utili e che può essere tranquillamente anche un laureato. Potrebbere essere finanziato in parte dallo Stato e in parte pagato dagli inquilini". Oppure puntare al turismo, modificando norme che di fatto incoraggiano gli alberghi a stare chiusi per sei mesi l'anno. "La Francia - conclude il professore - ha 75 milioni di turisti l'anno, contro i nostri 35 e, pur avendo 380.000 posti letto in meno, ha un'indice di saturazione delle strutture ricettive del 70%, contro il nostro 42% (al Sud è addirittura 26%). Sono 15 anni che ne parlo con i ministri, ma evidentemente la politica non sa uscire dagli schemi". [Adnkronos/Labitalia]