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In uscita il primo libro col bollino pizzo-free: "Lanterna Nostra" di Chiara Caprì (Navarra editore)

18 maggio 2010

In anteprima assoluta, sarà presentato al pubblico giovedì 20 maggio 2010 a Palermo presso il Reloj di via Pasquale Calvi, 5 alle ore 18.30, il primo libro certificato PizzoFree, grazie all’apposizione di un bollino che contraddistingue il prodotto e certifica la sua appartenenza al circuito di Addio Pizzo. Si tratta di "Lanterna Nostra - La Cina è vicina e Cosa Nostra lo sa", edito dalla siciliana Navarra editore, e scritto da Chiara Caprì, giovanissima autrice al suo esordio con un originale lavoro di ricerca che delinea le attività criminali della mafia cinese in Europa e in Italia e il sempre più incalzante rapporto con Cosa Nostra. Si tratta della prima indagine sociologica e statistica realizzata in Sicilia sulla presenza della comunità cinese e sulla collusione della mafia cinese con Cosa Nostra, che rappresenta un primo approccio di ricerca su un fenomeno in forte crescita, ma ancora poco esplorato.

Attraverso uno studio di ricerca sul campo, interviste, analisi di documenti ufficiali quali intercettazioni, atti processuali, sentenze ed anche basandosi sulla scrupolosa osservazione di inquietanti fatti di cronaca, Chiara Caprì riesce a delineare le nuove frontiere della mafia cinese a Palermo.
Il saggio parte dalle origini del fenomeno criminale, fatto risalire alle società segrete del 1600, e arriva a tratteggiare le svariate attività dell’organizzazione mafiosa cinese in tutta Europa, in Italia e la sua diffusione nel sud della penisola attraverso inevitabili legami con le "nostre mafie".
Grazie alle sue ricerche e alla consultazione di saggi, quotidiani, periodici, e documenti ufficiali - relazioni di Convenzioni delle Nazioni Unite, atti di procedimenti penali, sentenze di condanna e molto altro - l’autrice riesce a definire l’allarmante profilo di queste organizzazioni criminali che da decenni ormai esercitano il loro potere in tutta Europa, avendo come principali attività l’immigrazione clandestina, la prostituzione, la falsificazione di documenti d’identità, lo spaccio di stupefacenti e la contraffazione.
La presenza delle mafie cinesi in Italia è ad oggi fortemente concentrata nel Nord Italia, tra Lombardia e Toscana, ma inizia a espandersi anche al Sud. Già il titolo del saggio esplicita chiaramente le ipotesi – fondate su fatti di cronaca, intercettazioni telefoniche e altro materiale documentario - riguardo a una sempre più vasta collusione tra la criminalità cinese e le "mafie nostre". La diffusione a macchia d’olio di esercizi commerciali gestiti da cittadini cinesi a Palermo e in altre città siciliane, la loro invisibile presenza, la scoperta di internet point clandestini che fungono in realtà da dormitori, e di case d’appuntamento con prostitute esclusivamente cinesi, dimostrano la diffusione delle organizzazioni che, necessariamente, stanno alle spalle di tali attività e lasciano intuire i legami necessariamente esistenti con Cosa Nostra.

"E' per noi un onore poter apporre sulla copertina di Lanterna Nostra il bollino PizzoFree - spiega l’editore Ottavio Navarra - Siamo coscienti della complessità del fenomeno criminale mafioso e della sua capillare diffusione nel tessuto economico e produttivo siciliano e non solo ed è per questo che decidiamo di sostenere non solo il movimento contro le mafie in generale ma soprattutto i giovani come Chiara Caprì, che decidono di mettersi in prima linea nella lotta per la legalità".
Chiara Caprì, giovanissima studentessa di Medicina, è socia fondatrice e membro del direttivo del Comitato Addiopizzo. Per conto dello stesso comitato ha lavorato in più di cento scuole, di ogni ordine e grado, della città di Palermo, è da due anni responsabile, nei licei "Giovanni Meli" e "S. Cannizzaro", del progetto scuola Addiopizzo, denominato "Fortino della legalità", finanziato dal Ministero della Pubblica Istruzione, da cui nasce il lavoro di ricerca che costituisce il cuore del testo.

Intervengono alla presentazione: Enrico Colaianni, Presidente LiberoFuturo; Raffaele Genova, Presidente Addiopizzo; Daniele La Barbera, Direttore Clinica Psichitrica, Università di Palermo; Franco La Rosa, Analista Didatta Centro Italiano Psicologia Analitica. Saranno presenti l’autrice Chiara Caprì e l’editore Ottavio Navarra.

Intervista a Chiara Caprì
Il tuo libro è il primo ad uscire con il bollino PizzoFree. Cosa pensi di una scelta così significativa?
Naturalmente è un onore ed è per me motivo di orgoglio, non solo perché le questioni trattate nel libro evocano la lotta a tutte le mafie, ma anche perché io stessa condivido da sempre gli obiettivi del movimento. Si può dire che sono prima entrata in Addiopizzo e poi sono diventata maggiorenne! Sono socio-fondatore del comitato e ad oggi componente dell’organo direttivo dell’associazione. Posso senza dubbio affermare che l’idea e il coraggio di scrivere di mafia nasce proprio dall’insegnamento di Addiopizzo, il cui obiettivo è anche quello di coinvolgere i cittadini a dare il loro contributo alla lotta alla mafia. Personalmente mi sono sempre occupata dei rapporti con le scuole lavorando assiduamente sulla sensibilizzazione dei giovani verso le problematiche del pizzo, all’inizio, e poi della legalità in senso lato. Il lavoro che svolgo nelle scuole è quello di stimolare i ragazzi ad avere una sana curiosità che li renda partecipi e consapevoli della realtà che li circonda. Perché sapendo si può combattere. In quest’ottica il bollino PizzoFree presente sul mio libro, ha la finalità di prendere le distanze dalle logiche e dalle connivenze mafiose e di invogliare il consumo critico anti pizzo.

Come è nata l’idea del libro?
Dall’incontro con gli studenti, noi di Addiopizzo anno dopo anno, ci siamo resi conto che oltre a sensibilizzare nei confronti del pizzo e della legalità più in generale, dovevamo aprire i nostri orizzonti verso i nuovi ambiti della mafia per capirne l’evoluzione e i cambiamenti. Nell’ambito del progetto Scuola Addiopizzo, “Fortino della legalità”, abbiamo quindi iniziato ad affrontare tematiche inerenti la mafia , ma non strettamente legate all’operato di Addiopizzo, facendo scegliere agli stessi studenti la tematica che volessero affrontare durante l’anno. La classe V I del Liceo Scientifico Statale S. Cannizzaro di Palermo, data la forte presenza di commercianti cinesi nella zona circostante il Liceo, si è interrogata sulla comunità cinese di Palermo; abbiamo così deciso di iniziare uno studio sulla storia e sulla cultura di questa comunità per comprendere ed approfondire meglio le dinamiche delle attività criminali cinesi e gli eventuali possibili legami con Cosa Nostra. A fine dell’attività svolta con i ragazzi,mi sono resa conto che il lavoro da noi fatto doveva diventare patrimonio della collettività.

Quali sono stati gli strumenti di ricerca utilizzati?
La particolarità della ricerca consiste nell’integrazione di dati di carattere qualitativo e dati quantitativi e dalla centralità che hanno ricoperto le interviste dirette con i soggetti per un corretto ascolto del territorio. Innanzitutto ho potuto contare sulla piena e fondamentale collaborazione di Maurizio De Lucia, sostituto procuratore alla Direzione Nazionale Antimafia, che ha fornito il materiale processuale inerente la mafia cinese e altro tipo di documentazione utile ad inquadrare il fenomeno e a sviluppare su base teorica la ricerca. Vittorio Mete, ricercatore di sociologia politica presso l’Università di Catanzaro, ha poi realizzato per noi un questionario che è stato sottoposto, con l’attiva partecipazione degli studenti del Cannizzaro, ai commercianti cinesi della città di Palermo. Le risposte sono state successivamente analizzate dalla prof.ssa Maria Omodeo, sinologa e facente parte del COSPE - Cooperazione per lo Sviluppo dei Paesi Emergenti.

Come è stato l’approccio con la comunità cinese?
Sapevamo che il rapporto con la comunità poteva essere problematico, trattandosi di un comunità piuttosto chiusa e difficile da comprendere. Per ovviare a possibili problemi di incomprensione linguistica avevo fatto precedentemente tradurre il questionario in mandarino dalla dott.ssa Teresa Bertuzzi. Ed effettivamente nella maggior parte dei casi avere il questionario in cinese ci ha aiutato ad interagire con la comunità: sia sempre per problemi di lingua, sia perché ha fatto percepire agli intervistati un vero interesse nei loro confronti. I negozianti cinesi, pur non avendo mostrato particolare resistenza nel raccontare le proprie esperienze e le difficoltà di inserimento nel tessuto locale, talvolta hanno richiesto l’adozione di alcune cautele: un ragazzo cinese, la cui intervista a tu per tu è riportata nel libro, ha chiesto che non venisse rivelata la sua identità per tutelarsi da eventuali ritorsioni e non ha consentito alla registrazione del colloquio; le donne si sono rivelate più disponibili al dialogo e allo scambio interculturale; se però nel negozio era presente anche un uomo, per rispetto della cultura, noi dovevamo interpellare solo lui.

Puoi raccontarci qualche aneddoto che vi ha particolarmente colpito?
Posso dire di aver visto di tutto. In ogni negozio non mancavano computer, televisori ultra piatti e videogiochi. In un supermercato ci è sembrato di essere arrivati in Cina: sugli scaffali c’erano alimenti mai visti in Italia e tutte l’etichette, i prezzi, i sacchetti erano scritti in cinese. In un negozio abbiamo trovato accanto alla cassa una signora cinese con in mano un grosso mestolo intenta a cucinare una zuppa e vicino a lei un pentolone … Ci sono però stati anche momenti in cui la tensione è stata grande: ci siamo accorti, ad esempio, ad un certo punto, di essere seguiti da un italiano. Questi entrato dietro di noi in un negozio, faceva finta di essere un cliente come tanti, ma il commerciante cinese, salutandolo, ha smascherato la sua copertura. In un altro negozio, invece, a seguirci sono stati tre cinesi: uno da come si muoveva e parlava sembrava il capo, gli altri due gli scagnozzi. Dopo averli seminati, dividendoci entrando in diversi negozi, sono riusciti ad intercettarmi - per fortuna solo me e non i ragazzi del Cannizzaro - mentre stavo somministrando un questionario alla proprietaria di un negozio. Senza togliermi gli occhi di dosso, il capo ha preteso di vedere il questionario, ed ha interrogato la ragazza che iniziava a spaventarsi e a maledire il momento in cui aveva deciso di rispondere alle mie domande. Dopo un tempo che a me parse infinito, il capo riconsegnò il questionario alla ragazza che mi disse di andarmene, evidentemente scossa e preoccupata. Infilai la porta velocemente, cercando, però di fissare nella mia memoria i tratti somatici della ragazza, del capo e dei suoi due guardaspalle.
Questi episodi rendono evidente la complessità del contesto culturale in cui abbiamo operato e la difficoltà di integrazione tra la nostra comunità e quella cinese, ma anche la necessità di un maggiore sforzo di conoscenza e comprensione.

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18 maggio 2010
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