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''Conquisteremo Roma come promesso dal Profeta''. Il fondamentalismo islamico e Al Qaeda minacciano il Papa

18 settembre 2006

''Conquisteremo Roma come promesso dal Profeta''. E' questa la minaccia lanciata dal Consiglio dei Mujahidin, sigla della guerriglia irachena all'interno della quale è confluita la cellula locale di Al Qaeda. La promessa - contenuta in un comunicato sul web - è di proseguire la guerra santa fino alla ''sconfitta'' dell'Occidente, in risposta alla ''denigrazione'' di Benedetto XVI dell'Islam e della Jihad.
''Diciamo al servo dei crociati: aspettatevi la sconfitta. Noi diciamo agli infedeli e ai tiranni: aspettatevi ciò che vi affligge. Proseguiremo la nostra Jihad. Ci fermeremo soltanto quando la bandiera dell'unità sbandiererà in tutto il mondo'', si legge nella nota del Consiglio consultivo di mujahideen. Secondo il gruppo terroristico iracheno, ci sarebbe un nesso tra la guerra americana all'Iraq e le posizioni della Santa Sede. ''Dopo che lo stupido portatore della croce Bush ha annunciato l'inizio di una nuova campagna dei crociati contro l'Islam e i musulmani e ha cominciato questa campagna con l'invasione dell'Afghanistan e dell'Iraq, ecco che il servo dei crociati, il papa del Vaticano, ha seguito le orme di Bush negli attacchi flagranti contro l'Islam e il suo profeta Maometto, per ciò che riguarda il rito della Jihad'', afferma il messaggio, intitolato ''Comunicato sulla denigrazione del Papa dei cristiani contro il nostro profeta''.

L'autocritica di Ratzinger, dunque, non ha placato minimamente il mondo islamico più radicale.
Per l'Iran le scuse del Papa non bastano. I gruppi radicali sciiti legati all'Iran mostrano vivo un risentimento islamista per nulla placato dal ''rammarico'' del Papa. Le spiegazioni date ieri dal Papa sul suo discorso a Ratisbona, spiega l'Iran, erano ''necessarie'' ma non sufficienti.
E il fondamentalismo islamico continua a mostrarsi sdegnato per le parole pronunciate da Benedetto XVI ed alimenta proteste di piazza nel sud dell'Iraq. A Bassora, durante una manifestazione da un capo religioso sciita a cui hanno partecipato quasi 500 iracheni, è stata bruciata, insieme ad alcune bandiere americane, anche un'effige che riproduceva il volto del pontefice.
Il timore per le minacce pronunciate dalle frange islamiche ha indotto il ministero dell'Interno ad alzare il livello di guardia sul Vaticano e sulle più importanti basiliche del Paese. Analoghe misure di sicurezza sono state adottate a Castelgandolfo, dove Papa Ratzinger si tratterrà presumibilmente per tutta la settimana. Sempre sulla residenza estiva del Santo Padre è scattato un divieto di sorvolo, ma, si precisa all'Enac, questa non è una misura straordinaria, ma viene presa ogni qualvolta che il Pontefice si trasferisce per le sue vacanze.

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Scontro tra religioni
Il ''vivo rammarico'' di Benedetto XVI non è bastato a placare gli animi dei 'fratelli musulmani'

''Cari fratelli e sorelle, il viaggio apostolico in Baviera, che ho compiuto nei giorni scorsi, è stato una forte esperienza spirituale, nella quale si sono intrecciati ricordi personali, legati a luoghi a me tanto familiari, e prospettive pastorali per un efficace annuncio del Vangelo nel nostro tempo. [...] In questo momento desidero solo aggiungere che sono vivamente rammaricato per le reazioni suscitate da un breve passo del mio discorso nell'Università di Regensburg, ritenuto offensivo per la sensibilità dei credenti musulmani, mentre si trattava di una citazione di un testo medioevale, che non esprime in nessun modo il mio pensiero personale.
Ieri il Signor Cardinale Segretario di Stato ha reso pubblica, a questo proposito, una dichiarazione in cui ha spiegato l'autentico senso delle mie parole. Spero che questo valga a placare gli animi e a chiarire il vero significato del mio discorso, il quale nella sua totalità era ed è un invito dialogo franco e sincero, con grande rispetto reciproco''
.

Sono state queste le parole che il Papa ha pronunciato ieri all'Angelus, sulla vicenda scatenata dalle sue parole sulla Jahad nel discorso tenuto nei giorni scorsi all'università di Ratisbona.
Nella storia bimillenaria della Chiesa non era mai accaduto che un pontefice intervenisse in prima persona per presentare quelle che, forse, non sono propriamente delle scuse, ma di certo gli assomigliano molto nella speranza che questo gesto ''valga a placare gli animi''.
Le parole del Papa sono state più volte interrotte dagli applausi dei presenti, che sembravano volergli esprimere la loro particolare vicinanza per gli attacchi e le critiche, non solo dal mondo islamico ma, ad esempio, anche da autorevoli organi di stampa come il ''New York Times''. Il quotidiano americano, infatti, sabato scorso ha pubblicato in prima pagina un'editoriale nel quale le parole di Papa Ratzinger sono state definite ''tragiche e pericolose'', e sollecitandolo a porgere le sue scuse. ''Non è la prima volta'', ha ricordato il NYT, ''che il Papa fomenta la discordia tra cristiani e musulmani''. Il quotidiano ha rievocato la presa di posizione di Joseph Ratzinger nel 2004 quando, non ancora asceso al pontificato, si espresse apertamente contro l'ingresso della Turchia nell'Unione Europea in quanto, essendo quel Paese a forte maggioranza seguace dell'Islam (leggi l'articolo del NYT).

Le reazioni del mondo arabo al rammarico esternato ieri dal pontefice non sono state univoche. In Egitto, Mohamed Habib, il numero due dei Fratelli musulmani, che hanno prestigio in tutto il Medio oriente, ha esortato il Papa a fare delle ''scuse chiare'', considerando quanto affermato ieri solo ''un buon passo'' in questo senso.  La loro prima reazione era stata positiva: ''Accettiamo le parole del Papa e le sue scuse per le dichiarazioni e le citazioni che ha detto non riflettono il suo punto di vista personale'', aveva detto Habib sottolineando però che ''avremmo auspicato che avesse anche confermato come l'Islam sia una religione di amicizia, di cooperazione e di fratellanza tra Occidente e Oriente''. In serata però la posizione è tornata a essere dura: ''Il Papa - ha detto Mohammed Habib - non è arrivato a fornire scuse limpide e, in base a ciò, chiediamo al Papa e al Vaticano di diffondere scuse limpide che porranno fine alla confusione. Vogliamo che riconosca di aver sbagliato''.

La Turchia, invece, dopo le parole dell'Angelus, ha cominciato a smorzare i toni. La visita del Papa, prevista per fine novembre, che il giorno prima sembrava fortemente compromessa, ieri ha ripreso le sue possibilità di realizzarsi. E' stato il ministro degli esteri turco, Abdullah Gul, che si è assunto il compito sin dal mattino di ricucire lo strappo che si era creato dopo gli incandescenti giudizi emessi dal Gran Muftì di Turchia, che per primo aveva chiesto ''le scuse del Papa'', trovando subito un eco in altri paesi musulmani, a cui si era associato l'altro ieri anche il premier turco Tayyip Erdogan. Ieri mattina, Gul, che è anche vicepremier, è stato molto più chiaro e distensivo: ''Per il governo turco non vi è alcun motivo di cambiare la data della visita del Papa'', ha dichiarato e ha fatto sapere di avere scritto ieri una lettera a Benedetto XVI per esortarlo a non rimandare la sua visita che può rappresentare ''un'importante opportunità per promuovere il dialogo tra culture diverse''.

L'emittente satellitare del Qatar, Al-Jazeera, che ieri ha seguito in diretta l'Angelus, ha invece interpretato l'astio e l'offesa che la maggior parte delle tante realtà islamiche hanno continuato ad avere, insoddisfatte dall'intevento ''riparatore'' di Ratziger. ''Il Papa evita di scusarsi e si rammarica per la rabbia dei musulmani causata dalle sue dichiarazioni'', è stato infatti il titolo dell'articolo pubblicato dal sito internet di Al-Jazeera, dove si dice che il Pontefice nel suo discorso ha evitato di chiedere scusa ai musulmani non rispondendo quindi a pieno alle richieste delle folle che nei giorni scorsi hanno protestato nelle principali capitali arabe.

E proprio in relazione agli episodi di violenza e di intolleranza nei confronti dei cattolici in Medio Oriente, il Viminale ha deciso di alzare il livello di sicurezza sul territorio nazionale. In una circolare, il capo della polizia De Gennaro ha invitato i questori ad intensificare le indagini e il monitoraggio nei confronti degli ambienti del radicalismo islamico. ''Non potendosi escludere, sul territorio nazionale - è scritto - il verificarsi di analoghe manifestazioni di dissenso, nonché azioni violente''.
E dopo gli attacchi di sabato scorso a due chiese cattoliche nella città di Nablus, in Cisgiordania, anche ieri altre due chiese sono state incendiate da sconosciuti nella stessa regione. Nella città di Tulkarem, una chiesa greco-ortodossa di pietra, costruita 170 anni fa, è stata attaccata poco prima dell'alba e le fiamme hanno distrutto gli arredi interni, stando a quanto dichiarato da alcune fonti cristiane. Sono sfuggiti alle fiamme libri vecchi di 500 anni. Il secondo attacco è avvenuto nel villaggio di Tubas contro una piccola chiesa, presa di mira con bombe incendiarie, andata parzialmente distrutta. Nessuna delle due chiese è di fede cattolica, hanno precisato le fonti.
Il sindaco di Tubas, Oqab Daraghma, ha detto che un principio di incendio è stato subito sedato grazie alla vigilanza della popolazione che è intervenuta immediatamente. Il sindaco ha aggiunto che i responsabili del municipio si sono recati poi nella chiesa per esprimere solidarietà ''ai fratelli cristiani''. ''A Tubas le relazioni fra musulmani e cristiani restano fraterne'' ha precisato il sindaco secondo cui il municipio ha deciso di rafforzare la protezione della chiesa per impedire ulteriori attacchi da parte di ''persone ignoranti''.
Anche il premier palestinese, Ismail Haniyeh, ha condannato gli attentati contro le chiese cristiane in Cisgiordania, date alle fiamme: ''Gli attacchi contro i nostri fratelli cristiani sono totalmente inaccettabili'', ha detto Haniyeh parlando ieri a Gaza.
I cristiani sono circa 50.000 dei due milioni di palestinesi che abitand in Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme est.

E si teme che anche l'assassinio di suor Leonella, l'operatrice umanitaria italiana uccisa ieri a Mogadiscio in un agguato, possa essere collegato alla polemica suscitata dalle parole del Papa sulla religione musulmana. Una fonte somala islamica ''di alto livello'' citata dall'agenzia Reuters sostiene che esiste ''un alto grado di possibilità'' che l'omicidio sia collegato alla polemica suscitata recentemente dall'intervento del Papa sulla religione musulmana. ''L'ospedale è sovvenzionato dalla Chiesa Cattolica e l'operatrice umanitaria uccisa era una suora. C'è una possibilità molto alta che l'ha uccisa sia molto arrabbiato con il Papa cattolico per i suoi recenti commenti contro l'Islam'', ha sostenuto la fonte.

- La frasi ''incriminate'' nel discorso tenuto all'università di Ratisbona dal Papa

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18 settembre 2006
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