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Inquietante progetto USA. Sigonella: piattaforma per la guerra contro il terrorismo internazionale

La base italiana di Sigonella di guerra in guerra

10 maggio 2005




Inquietante progetto USA: Sigonella piattaforma per la guerra al terrorismo?

di Agostino Spataro

Ci risiamo. Invece di smantellarla, si vorrebbe trasformare la base italiana di Sigonella in una postazione avanzata delle forze armate Usa nella guerra al terrorismo internazionale. 
Questo è il succo di una recente intervista che il gen. James Jones, comandante in capo delle forze armate Usa e alleate in Europa, ha concesso alla rivista militare ''Stars and Stripes''.
L'alto ufficiale quantomeno non esclude tale eventualità nel quadro di una prevedibile (se non programmata) guerra antiterroristica a vasto raggio che dall'Est europeo si potrà estendere all'Africa, passando per il Medio Oriente e per il Caucaso.

Dunque, si vorrebbe caricare la Sicilia, già abbondantemente militarizzata, di nuove micidiali strutture per avventure decise, al di fuori dell'Onu e della Nato, da un governo che ha fatto della guerra preventiva (contro chi sul momento più gli aggrada) il suo pericoloso emblema.
Una prospettiva a dir poco allarmante che farebbe della provincia di Catania il centro di una strategia straniera contro un terrorismo di difficile identificazione e dotato di un'alta potenzialità devastatrice, che punterebbe il suo terrificante armamentario (autobombe, kamikaze e perfino - si teme - ordigni nucleari e batteriologici) contro i luoghi che ospitano le postazioni da cui si dipartono le operazioni miranti al suo annientamento.
Attacco e rappresaglia, anche indiscriminata, secondo la logica bestiale della guerra, come vediamo tutti i giorni a Bagdhad, in Afghanistan, in Cecenia, nei Territori occupati, ecc.
Insomma, un frutto amaro piantato nel cuore della lussureggiante piana di Catania, la zona più promettente dello sviluppo isolano che ha tutte le carte in regola per rilanciare i settori portanti della sua economia: l'industria
informatica, il turismo, l'agricoltura, i servizi all'impresa, i sistemi di trasporti.

La Sicilia, che si liberò per il rotto della cuffia dei 120 micidiali missili nucleari di Comiso, oggi rischia di essere gravata di una postazione così pericolosa.
Certo, prima di gridare allo scandalo è doveroso procedere alle necessarie verifiche, tuttavia non si può sottovalutare la portata di una notizia così ''esplosiva'' e gravida di dannose conseguenze.
Meglio mettere le mani avanti, anche perché non sarebbe questa la prima volta che in Sicilia le voci e le ipotesi giornalistiche si trasformano in realtà drammatiche.
Ricordo che quando (3 febbraio 1981) presentai la prima (in assoluto) interrogazione al ministro della Difesa circa la ventilata ipotesi d'installare i missili a Comiso molti, anche nel mio gruppo, non vollero dare peso alla questione; in pieno agosto, col Parlamento e con gli italiani in ferie, il governo Spadolini ci fece la bella sorpresa di Comiso.

Tornando a Sigonella, c'è da dire che l'ipotesi non è tanto peregrina giacché - ammette il generale Jones nella citata intervista - ''stiamo cercando una postazione a sud delle Alpi che si possa rivelare il luogo migliore per concentrare le nostre operazioni speciali antiterrorismo e per agevolare le operazioni nell'area del Mediterraneo e in Medio Oriente''.
Il campo di tale ricerca si riduce a due basi: Rota in Spagna e, appunto, Sigonella.
Anche se l'allarme è stato lanciato per primo dal quotidiano spagnolo ''El Pais'', è da ritenere improbabile che la scelta possa cadere su Rota sia in considerazione dell'indirizzo politico del governo Zapatero sia per ragioni logistiche che, oggettivamente, propendono per Sigonella, ovvero per la più grande base attrezzata nel Mediterraneo per il cui potenziamento gli Usa hanno stanziato 670 milioni di dollari. E poi ''a sud delle Alpi'' non c'è la Spagna, ma l'Italia.
Una prospettiva a dir poco inquietante contro la quale hanno assunto posizione vari esponenti dei partiti del centro sinistra, mentre tace la CdL, compreso lo squadrone dei 61 eletti in Sicilia.

A sottolinearne i rischi, in primo luogo, sulla Sicilia è stato il senatore Ds Costantino Garraffa che, unitamente ad altri colleghi di gruppo (Montalbano, Battaglia, Lauria, Rotondo e Montagnino), ha prontamente interrogato il ministro della Difesa, on. Martino, per sapere cosa intende fare per accertare ''i veri intendimenti dell'amministrazione Usa e quali procedure verranno inoltrate alla luce di quanto stabilito dal Memorandum of understanding''.
Per tutta risposta, Martino, da buon siciliano, invece di precipitarsi in Parlamento per rispondere alle interrogazioni, ha rilasciato una dichiarazione (all'Ansa) con la quale, pur riservandosi una valutazione nelle sedi istituzionali, avalla l'ipotesi formulata dal gen. Jones, ritenendola ''un'idea valida... non solo per l'importanza del tipo di struttura che si verrebbe a creare, ma anche perché sarebbero creati nuovi posti di lavoro in Sicilia''.
Ancora fumo negli occhi per i disoccupati, giacché si sa che a Sigonella verrebbe ad operare, magari trasferito da altre basi, soltanto personale militare americano dei corpi speciali e dei servizi. E poi, anche se si dovesse creare qualche posto di scopino non lo potremo barattare con la nostra relativa tranquillità e sicurezza e - se il signor ministro permette - con la nostra dignità di siciliani che non sono disposti ad accettare un lavoro macchiato dal sangue della guerra.
Per altro, ne risulterebbe stravolta la prospettiva generale dell'Isola che - come sottolinea Garraffa - si fonda sul rifiuto della guerra e su un ruolo di pace nel contesto del partenariato euromediterraneo che, nel 2010, dovrebbe dar vita alla più grande zona di libero scambio del pianeta.

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10 maggio 2005
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