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Italia e Libia: le ragioni del popolo libico e le ragioni dei rimpatriati italiani. Cosa farà l'attuale governo?

07 luglio 2006

L'Italia apre alla Libia
(News Italia Press, 04 luglio 2006)

La Libia avrebbe il diritto di chiedere all'Italia un indennizzo per i danni subiti in più di 30 anni di ''insensato'' dominio coloniale. Ad affermarlo è il Ministro dell'Interno Giuliano Amato, nel corso di un'intervista rilasciata ieri (03 luglio) all'agenzia di stampa Reuters. ''Dobbiamo accettare - afferma Amato nell'articolo a firma Nelson Graves - il fatto che eravamo un Paese imperiale che ha invaso la Libia all'inizio del XX secolo (...) Se ci fosse un conto da pagare, non c'è una legge di prescrizione con la storia''.
Le affermazioni del Ministro hanno riportato d'attualità la questione di una contesa in atto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando l'Italia fu costretta a cedere il dominio del Paese che occupava dal 1911. La Libia, che attraverso il suo padre-padrone Muammar Gheddafi ha condotto importanti colloqui con l'allora Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi nel 2004, pretende un risarcimento di cui non si conosce la stima.

Di fronte alle dichiarazioni di Amato, a esprimere perplessità è Giovanna Ortu, presidente dell'Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia (AIRL); ma a suscitare sorpresa, secondo quest'ultima, non sarebbe tanto il contenuto dell'intervista quanto la competenza in merito dell'esponente dell'esecutivo.
''Trovo sorprendente che a occuparsi della questione sia il Ministro degli Interni dal momento che questo dovrebbe essere un argomento di competenza del Ministro degli Esteri o del Presidente del Consiglio - afferma la Ortu -. Non so se il Ministro Amato sia intervenuto di fronte al problema dei flussi migratori''. I dubbi della presidentessa dell'AIRL si riferiscono al problema degli accordi di cooperazione tra Roma e Tripoli realizzati allo scopo di contrastare l'immigrazione clandestina in Italia. Punto d'arrivo di molti migranti dell'Africa subsahariana, molti dei quali perseguitati politici o profughi di guerra costretti ad affrontare un viaggio estremamente rischioso, la Libia è stata per molti anni una base di partenza per gli africani diretti in Italia e in Europa.
A seguito dell'intesa con l'Italia, il governo libico ha istituito dei centri di raccolta per i migranti allo scopo di bloccarne l'esodo verso l'Italia suscitando le perplessità delle organizzazioni umanitarie che da tempo denunciano probabili violazioni dei diritti umani a danno degli ''ospiti'' dei centri. La scelta di affrontare l'argomento delle relazioni Italia-Libia da parte del Ministro dell'Interno si porrebbe oggi in continuità con l'impegno espresso dal predecessore di Amato Giuseppe Pisanu, molto attivo sulla questione dei rapporti con Tripoli. Secondo quanto riferito dalla Reuters, Amato avrebbe espresso a nome del Governo l'intenzione proseguire i negoziati con la Libia ammettendo che, in assenza di risarcimenti, si potrebbe assistere a una crescita degli sbarchi di immigrati sulle coste italiane.

Le relazioni diplomatiche tra Roma e Tripoli avevano conosciuto una svolta positiva con la visita dell'ex Presidente del Consiglio Berlusconi nella capitale libica nel 2004. Ma il buon esito del viaggio, che era divenuto motivo di vanto per il precedente Governo, sembrava essere stato almeno in parte vanificato negli ultimi mesi di attività dell'esecutivo quando, era il 17 febbraio 2006, alcuni manifestanti libici diedero l'assalto al Consolato Italiano di Bengasi, in occasione delle contestazioni in atto all'epoca in molti Paesi islamici dopo la pubblicazione delle vignette satiriche sul profeta Maometto sul giornale danese Jyllands-Posten. Qualche giorno prima, l'allora Ministro per le Riforme italiano Roberto Calderoli aveva mostrato in televisione una maglietta raffigurante le immagini incriminate.
Intervenendo a distanza di due settimane sugli incidenti di Bengasi, che causarono 11 morti e 60 feriti tra i manifestanti, Gheddafi sorprese tutti affermando che a motivare l'intenzione dei rivoltosi di uccidere il console italiano non era stata la t-shirt del Ministro leghista, ma l'odio atavico e inesauribile dei libici verso l'Italia.

La Ortu, che non crede alla versione di Gheddafi sugli incidenti di febbraio - ''Non sono d'accordo. Quando sono stata in visita a Tripoli ho registrato il rispetto e la simpatia dei libici verso gli italiani'' ricorda - rilancia l'irrisolta questione dei risarcimenti, problema che riguarda tanto gli ex colonizzati quanto i rimpatriati italiani. ''Mi sarebbe piaciuto - spiega - che un Ministro avesse detto che sì la Libia ha diritto a un risarcimento ma che avesse anche ricordato quello che noi abbiamo fatto per la Libia. Un Paese che si è preso tutte le nostre cose e nel quale abbiamo lasciato opere d'arte, strade, scavi archeologici''.
Dopo la fine del secondo conflitto mondiale la permanenza degli italiani residenti in Libia fu garantita da un accordo tra Roma e Tripoli del 1956. Nel 1970 il presidente libico Gheddafi, salito al potere da un anno, impose il rimpatrio forzato dei 20.000 italiani residenti, confiscando i loro beni come anticipo del risarcimento dei danni di guerra . Il provvedimento violava il trattato bilaterale di 14 anni prima ma il governo italiano non denunciò l'irregolarità rinunciando di conseguenza alla cosiddetta ''clausola arbitrale'' espressamente prevista dall'articolo 17 dell'intesa.
Attraverso la legge 1066 del dicembre 1971, il governo italiano riconobbe un acconto sugli indennizzi spettanti ai cittadini italiani per i beni perduti, con coefficienti scalari nella misura media del 15% ''in attesa di accordi internazionali''. Successivamente, come ebbe modo di ricordare l'AIRL, ''i rimpatriati dalla Libia hanno beneficiato di leggi d'indennizzo, parziali e senza rivalutazione monetaria, promulgate in favore di tutti i proprietari di beni perduti all'estero''. Il mancato appello alla clausola arbitrale per i fatti del 1970 è tuttora oggetto di contesa alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo, chiamata a esprimersi sulla denuncia fatta dai rimpatriati a carico del Governo di Roma.
A distanza di oltre 30 anni dall'esodo forzato, i rimpatriati esprimono la speranza di una chiusura della vicenda. ''Siccome la Libia è un Paese amico che sta dall'altra parte del Mediterraneo e può contribuire a contrastare il terrorismo e a fornire energia, credo che sia ormai utile chiudere la questione - spiega la Ortu - . D'altra parte è ciò che già pensavo nel 2004, quando ci furono finalmente concessi i visti. Per i rimpatriati mettere la parola fine alla vicenda significa essenzialmente due cose: primo avere il visto per la Libia al pari degli altri italiani, e secondo ottenere che il Governo italiano, nel momento in cui valuterà il problema dell'indennizzo, tenga conto di quello che ci è stato tolto''.

Se parte delle aspettative createsi durante la passata legislatura sembrerebbe essere venuta meno, i rimpatriati confidano sulle prospettive attuali. ''Dopo 35 anni continuo a sperare - spiega la Ortu -. Sono rimasta delusa dal comportamento del precedente Governo che ci aveva promesso una legge sugli indennizzi, adesso abbiamo ricevuto dal nuovo Governo rassicurazioni sui prossimi appuntamenti e incontri e ho la sensazione che questo nuovo esecutivo si comporterà nei nostri confronti meglio del precedente''. Tra i primi incontri in agenda dovrebbe essere imminente quello con il Ministro degli Esteri Massimo D'Alema.

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07 luglio 2006
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