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Italia terra di benestanti? Sarà, ma gli italiani si sentono ''soggettivamente'' più poveri

La ''povertà soggettiva'' in Italia secondo l'ISAE

26 luglio 2005

L'ISAE (Istituto di Studi e Analisi Economica) ha aggiornato i dati relativi alla cosiddetta ''povertà soggettiva'', utilizzando le proprie inchieste sui consumatori.
La condizione di ''povertà soggettiva'' viene accertata con una specifica domanda, in cui si chiede alle famiglie se ritengono di percepire un reddito adeguato per condurre una vita dignitosa, ovvero ''senza lussi ma senza privarsi del necessario''. L'ammontare indicato dipende non solo dalle effettive necessità, ma anche dai desideri, dalle abitudini di spesa, dal bisogno di uniformarsi allo standard ed all'opinione corrente dell'ambiente sociale in cui si è inseriti. Non c'è da stupirsi, dunque, che la soglia media sia decisamente elevata, e pari, per una persona sola, a circa 1.250 euro (con riferimento agli ultimi dodici mesi), arrivando a toccare i 2.600 euro per le famiglie numerose.

La povertà soggettiva quindi è ben diversa dalla povertà relativa e da quella assoluta, che determinano la condizione di bisogno in base a criteri ''oggettivi'': si ricorda che, secondo l'ISTAT, la linea di povertà relativa (per una persona sola) è pari a 522 euro (con riferimento al 2003), e sono povere in Italia 10 famiglie su 100. Per la povertà assoluta, invece, si fa riferimento al concetto di sussistenza, e dunque la soglia è più bassa; l'ISAE ha stimato l'incidenza della povertà assoluta (per l'anno 2004) nel 6,8% delle famiglie.
Tornando alla povertà soggettiva, la soglia media risulta in costante crescita nel periodo di osservazione (luglio 2000-giugno 2005), e nell'ultimo anno l'incremento è particolarmente elevato (+20%). A partire dal luglio 2003, il reddito ritenuto necessario inizia infatti a crescere considerevolmente, evidenziando la diffusa percezione tra le famiglie di costi crescenti per mantenere uno standard di vita accettabile, a fronte di un reddito effettivo rimasto pressoché stabile. Il divario tra i due redditi raggiunge il massimo nella seconda metà del 2004, e solo nei primi mesi del 2005 sembra iniziare un graduale recupero dei redditi effettivi.

La percentuale di famiglie ''soggettivamente povere'' è definita in modo indiretto, essendo pari alla quota di coloro che dichiarano di percepire un reddito inferiore a quello ritenuto da essi stessi necessario per una vita dignitosa: tale quota cresce negli ultimi dodici mesi fino ad oltre il 70%, una percentuale molto elevata, a maggior ragione se si considera che in due anni è aumentata di 20 punti percentuali. Diverso sarebbe stato il risultato nel caso in cui la povertà soggettiva fosse stata accertata direttamente con una domanda specifica (''Lei si sente povero?''), a causa dell'effetto stigma legato all'autodichiararsi povero; in effetti, la rilevazione diretta dà luogo a tassi decisamente meno elevati.

L'aumento della povertà soggettiva riguarda in modo uniforme tutte le ripartizioni geografiche mentre, per quanto riguarda le caratteristiche familiari, si osserva una crescita più marcata proprio per quei nuclei che mostravano in precedenza tassi di incidenza più bassi, a testimonianza di una percezione del disagio sempre più generalizzata, e non concentrata solo su alcune categorie.
Tra le altre informazioni più specifiche sulla percezione del disagio riportate dall'indagine, il dato più rilevante è forse il forte aumento, negli ultimi due anni, di coloro che dichiarano di aver incontrato difficoltà nell'acquistare generi alimentari. Tale dato potrebbe dipendere, almeno in parte, dalla maggiore immediatezza con la quale l'opinione pubblica percepisce l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari.

Infine, si può ricordare che il reddito adeguato a vivere dignitosamente viene ritenuto in molti casi più alto nelle grandi città, rispetto alle regioni in cui gli stessi centri urbani sono collocati; l'incidenza della povertà soggettiva, invece, in molte regioni è più elevata rispetto al capoluogo.
Le domande aggiuntive circa la condizione di difficoltà soggettiva nell'affrontare alcune spese non forniscono informazioni di rilievo nel confronto tra metropoli e regione, se non per quanto riguarda il problema abitativo: la quota di famiglie che vivono in abitazione di proprietà è decisamente inferiore nelle grandi città, e simmetricamente è più alta la quota dei residenti in città che dichiarano di aver incontrato difficoltà nel pagamento delle spese per l'abitazione e di sentirsi preoccupati dal problema della carenza degli alloggi.

Fonte: ISAE

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26 luglio 2005
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