Jaisalmer pian piano sta sprofondando. L'agonia di uno dei siti più belli al mondo
Una marea di sabbia minaccia la Città d'oro
Jaisalmer è ancora la "Città d'oro", chiamata così per il colore delle mura colossali di arenaria gialla e per le sue ricchezze di cui rimane testimonianza nell'eleganza sfarzosa dei suoi palazzi e dei suoi templi. In questi giorni la città vive la sua seconda agonia, quella dei crolli di edifici antichi a causa dell'erosione provocata dal vento e dall'acqua di scarico delle case e degli alberghi.
La rocca è uno dei cento siti giudicati in pericolo di sopravvivenza dal World Monument Fund. Occorrerebbero finanziamenti per costruire fognature e scarichi moderni - gli attuali risalgono all'anno Mille - e per consolidare la cinta muraria e i palazzi, ma il governo non li trova e così il cammeo di arenaria e sabbia si sfalda giorno per giorno.
La prima "morte" fu decretata nell'agosto del 1947 quando sorse nel giro di una notte uni frontiera, quella con il Pakistan, cha il giorno prima non esisteva, a un centinaio di chilometri di distanza dalla città. I dominatori del deserto si trovarono improvvisamente una saracinesca vigilata da fucili e cannoni in mezzo alla piste che li potavano in Asia centrale. Fino a quella data mercanti, cammelieri e predoni erano i signori del deserto. Da Jaisalmer partivano per l'Asia centrale e la Russia argenti cesellati, pietre preziose, spezie, frutta secca, legumi. Dall'Asia centrale arrivavano sete, lana. argento e oro in lingotti che venivano lavorati dagli orefici della città, che continuano a fondere e a intarsiare metalli preziosi. La ricchezza era goduta e ostentata nella città dove il maharaja, i suoi ministri, banchieri e mercanti vivevano in palazzi costruiti dai migliori architetti provenienti talvolta anche dalla Persia e data Turchia. Nelle case dei potenti, separati e vigilati da eunuchi, gli ha-cm con le donne provenienti dall'india e dall'Asia centrale. Una quota arrivava nella Città d'oro a dorso di cammello, acquistate nei bazar dell'Asia e offerte ai signori della rocca.
Uno che visiti oggi Jaisalmer dà consapevolmente una picconata al fragile cammeo perché inevitabilmente consumerà acqua e la scaricherà nel sottosuolo privo di rete fognaria, nuoterà in piscina, andrà nei ristoranti che consumano acqua, farà tutte quelle cose che contribuiscono ad affossarla. Ma il fascino delle dune è irresistibile. Nel deserto uno si sente sperduto e indifeso come se si trovasse naufrago nella fragilità di una scialuppa, prigioniero tra celo e mare. Qui al posto dell'acqua c'è la sabbia e la barca è un docile cammello che avanza tra le dune beccheggiando come se fosse una vela.
Da Jaisalmer si può andare a dorso di cammello per alcuni giorni, fino all'inevitabile incontro con le guardie di frontiera indiane che, cammellate come i loro colleghi dall'altra parte, controllano il confine. Intorno alle oasi - radi palmizi, un pozzo e alcune case - ci sono soste per cibo, acqua, per un giaciglio.