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L'agenda rossa di Borsellino in mano agli 007?

Continuano le indagini sulla misteriosa scomparsa dell'agenda rossa del giudice Paolo Borsellino

06 marzo 2008

Continuano le indagini sulla misteriosa scomparsa dell'agenda rossa del giudice Paolo Borsellino, di cui si persero le tracce il giorno dell'attentato in via d'Amelio. "Indagate sugli uomini dei servizi ", dice l'ufficiale dei carabinieri Giovanni Arcangioli, iscritto nel registro degli indagati dopo che un filmato dimostrò che fu lui ad allontanarsi dalla scena della strage con in mano la borsa dell'ucciso.
La difesa di Arcangioli punta, in particolare, a fare accertare l'identità di una persona che apparterrebbe all'ex Sisde e che dal filmato sembrerebbe nascondere qualcosa sotto una giacca.
La prima iscrizione nel registro degli indagati del colonnello Arcangioli riguarda il reato di false dichiarazioni al Pm. Secondo la
Procura di Caltanissetta, l'ufficiale, che allora era capitano, ed era stato immortalato da alcune foto con in mano la borsa di Borsellino, non avrebbe detto la verità durante l'interrogatorio reso, fornendo versioni diverse da quella dell'ex Pm, Giuseppe Ajala giunto sul luogo della strage poco dopo la drammatica esplosione.
All'iscrizione nel registro degli indagati per il furto aggravato dall'aver agevolato Cosa nostra, invece, si è arrivati nel dicembre scorso. Ora la difesa di Arcangioli chiede di interrogare varie persone
"per fornire un contributo di chiarezza a un procedimento che - sostengono - pare assolutamente carente".

«Agenda Borsellino, indagate sugli 007»
di
Giovanni Bianconi (Corriere.it, 05 marzo 2008)

Il cuore del mistero è in una foto, ricavata da immagini televisive, che ritrae un uomo con una borsa in mano, in mezzo al fuoco e alle macerie. La borsa è quella di Paolo Borsellino, appena dilaniato dal tritolo mafioso assieme ai cinque agenti di scorta; la stessa prelevata più tardi dall'auto del magistrato e portata negli uffici della Squadra mobile di Palermo. Ma quando fu aperta, quel che tutti si aspettavano di trovare non c'era: l'agenda rossa di Borsellino, il contenitore di appunti e spunti d'indagine che il giudice assassinato aveva sempre con sé, sulla quale annotava - probabilmente - scoperte e ipotesi sull'omicidio del suo amico Giovanni Falcone.
Un «tesoro» che, secondo la testimonianza della moglie, Borsellino s'era portato dietro (nella borsa) anche il 19 luglio 1992, quando lasciò la casa al mare per andare a morire in via Mariano D'Amelio.
Che fine ha fatto l'agenda? Nessuno l'ha detto, nessuno l'ha più vista.
Ma il fotogramma dell'uomo con la borsa in mano, per il giudice di Caltanissetta chiamato a pronunciarsi sul mistero, è un grave indizio a carico della persona immortalata: il tenente colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, che nel '92, da capitano, comandava una sezione del Nucleo operativo palermitano dell'Arma. Da un mese - su ordine dello stesso giudice, dopo che i pubblici ministeri avevano chiesto per tre volte l'archiviazione del procedimento «contro ignoti » - Arcangioli è indagato per furto aggravato, con l'ulteriore contestazione di aver favorito l'associazione mafiosa Cosa nostra. Accusa grave - infamante per l'ufficiale che si proclama estraneo a qualsiasi addebito - fondata su quell'immagine e su qualche interrogatorio zoppicante: di Arcangioli e di altri testimoni, tra i quali spicca l'ex magistrato Giuseppe Ayala.
Adesso, ricevuto l'avviso di conclusione indagini, il colonnello è passato al contrattacco. Certo non può negare di aver avuto in mano la borsa, ma dell'agenda scomparsa - dice e conferma - non ha mai saputo nulla. E se bisogna cercarla, o scoprire chi l'ha fatta sparire, occorre guardare in tutte le direzioni. Perché dalla stessa indagine condotta dalla Procura di Caltanissetta emerge che altri, non lui, erano interessati alla borsa (e forse all'agenda). E altri ancora hanno reso dichiarazioni confuse o non riscontrate.

Gli avvocati del carabiniere inquisito, Diego Perugini e Sonia Battagliese, hanno presentato una memoria in cui chiedono, tra l'altro, di interrogare un lungo elenco di persone e personalità: dai principali pentiti di mafia ai vertici governativi, delle forze di polizia e dei servizi segreti dell'epoca. «Per fornire un contributo di chiarezza a un procedimento che pare assolutamente carente», scrivono i due legali. Alla luce, ad esempio, della testimonianza dell'ispettore capo della polizia Giuseppe Garofalo, accorso in via D'Amelio subito dopo l'esplosione, il quale ha raccontato: «Ricordo di aver notato una persona, in abiti civili, alla quale ho chiesto spiegazioni in merito alla sua presenza nei pressi dell'auto (di Borsellino, ndr)... Non riesco a ricordare se mi abbia chiesto qualcosa in merito alla borsa o se io l'ho vista con la borsa in mano... Di sicuro ho chiesto chi fosse per essere interessato alla borsa del giudice, e lui mi ha risposto di appartenere ai Servizi». L'ispettore ricorda che l'uomo portava una giacca, e davanti all'immagine di Arcangioli ha detto: «Posso escludere che il soggetto di cui parlo sia quello effigiato in foto». Sui funzionari dei servizi segreti presenti o assenti in via D'Amelio, lamentano gli avvocati, non risulta siano state svolte indagini adeguate. Così ora chiedono accertamenti presso l'ex Sisde, oggi Aisi, nonché di attribuire nomi e cognomi ad alcune persone inquadrate in altri fotogrammi tratti dai filmati girati sul luogo della strage, non ancora identificate o che sembrano muoversi con fare sospetto. Compreso «un soggetto che si allontana stringendo al petto un oggetto parzialmente coperto dal risvolto della giacca». E altri che sembrerebbero «intenti a controllare» le auto blindate di Borsellino e della scorta.

A parte l'istantanea che lo ritrae con la borsa in mano, ad accusare Arcangioli c'è - secondo il giudice - il contrasto tra le sue dichiarazioni e quelle dei testimoni da lui stesso citati, primo fra tutti Ayala. Il carabiniere disse che l'ex magistrato (all'epoca già deputato), oppure un altro magistrato palermitano (che negò), aprì la borsa di Borsellino in sua presenza cercando l'agenda ma senza trovarla. Poi cambiò versione, spiegò di non essere più sicuro quasi di niente: se davvero c'era Ayala, se lui o altri avevano guardato nella borsa, se l'aveva ricevuta o data a qualcuno. Tra tanti «non ricordo», «ritengo» e «credo di ricordare», alla fine ha sostenuto di averla rimessa (o fatta rimettere) sulla macchina del giudice assassinato «per ricostituire la situazione preesistente». La smentita di Ayala («non immune da alcune contraddizioni», ammette il giudice) si articola in tre diverse versioni: vidi un carabiniere in divisa che prendeva la borsa; presi io la borsa dall'auto e la consegnai a un carabiniere in divisa; un uomo senza divisa mi diede la borsa e io la passai al carabiniere in uniforme. In ogni caso senza aprirla.
Ma un appuntato della sua scorta ha fornito una versione ancora differente: Ayala vide la borsa nella macchina, l'appuntato la prese e fece per consegnargliela ma l'ex giudice gli disse di trattenerla, finché non gliela fece consegnare «a un uomo in abiti civili che mi indicò come ufficiale o funzionario di polizia». Guardando il fotogramma di Arcangioli con la borsa in mano e una placca distintiva dei carabinieri sul bavero del giubbotto, il testimone ha dichiarato: «Non sono in grado di riconoscere la persona che mi mostrate; posso aggiungere però che non ricordo assolutamente che la persona alla quale ho consegnato la borsa avesse una placca metallica di riconoscimento. Di questo particolare ritengo che mi ricorderei». Ma nonostante un simile, non irrilevante particolare, per il giudice questa ricostruzione è «incontrovertibilmente compatibile» con i sospetti a carico del colonnello. Il quale, unico indagato nell'ennesimo mistero siciliano, chiede ora un'indagine a tutto campo. In particolare su eventuali agenti dei servizi segreti che, notoriamente, si muovono senza divise e senza distintivi.

- Svolta nell'inchiesta sulla scomparsa dell'agenda rossa di Paolo Borsellino (Guidasicilia.it, 07/02/08)

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06 marzo 2008
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