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L'agente del Sismi sequestrato in Afghanistan sarebbe stato ucciso dal ''fuoco amico'' dei suoi soccorritori

12 ottobre 2007

Un sequestro durato poco ma finito in tragedia. La mattina del 23 settembre scorso il comando dell'esercito italiano in Afghanistan perde il contatto con due militari del Sismi mentre si trovavano nel distretto di Shindand, nella provincia di Herat al confine con l'Iran. La sera dello stesso giorno il ministero della Difesa informa che i due militari italiani sono stati rapiti assieme ai loro accompagnatori afghani da un gruppo di ''predoni'' locali intenzionati a consegnarli ad un commando talebano, che li avrebbe potuti utilizzare come ''merce di scambio''.
Il sequestro finisce all'alba dell'indomani grazie ad un blitz condotto da uomini delle forze speciali Isaf italiane e britanniche, nel corso del quale vengono uccisi tutti i sequestratori mentre i due militari rimangono feriti, uno in modo serio (leggi).

I due militari fanno rientro in Italia dopo qualche giorno. L'agente del Sismi rimasto gravemente ferito, il maresciallo 33enne Lorenzo D'Auria, si aggrava: durante l'operazione è stato colpito alla testa. Passati dieci giorni muore, dopo che sono state celebrate le nozze in articulo mortis con la sua compagna Francesca. Aveva tre figli il maresciallo D'Auria, il più piccolo di appena due mesi.
Sull'operazione viene aperta un'inchiesta affidata alla Procura di Roma, perché non è stato chiaro da chi sono stati colpiti i due militari italiani: se dai colpi esplosi dai carcerieri (come sostiene il comando della missione Isaf) o dal ''fuoco amico''.

Ieri secondo alcune indiscrezioni si è saputo l'esito delle prime analisi, quelle che viene definito ''valutazione iniziale''. Queste prime analisi su due camiciature (le parti esterne) di proiettili estratti durante l'autopsia a Lorenzo D'Auria vanno nella direzione del ''fuoco amico''. Gli esami balistici sul numero di striature nella ''camicia'' (sei nel munizionamento della Nato e quattro nelle pallottole usate di solito dai talebani) hanno fornito un primo orientamento: ''Proiettili Nato''. Per la conferma definitiva sono necessarie più approfondite analisi chimiche, che gli investigatori vogliono comparare con le informazioni che arriveranno dalle aziende che producono munizionamenti.
Le indiscrezioni non hanno provocato alcun clamore in procura, dove si svolgono le indagini sull'omicidio dell'agente del Sismi. Nel teatro di guerra - si sottolinea a palazzo di giustizia - i talebani si impossessano normalmente di armi e munizioni abbandonati a terra dagli inglesi, dagli americani, persino dagli italiani.
Dunque una eventuale conferma dei risultati di questo primo accertamento non smentirebbe necessariamente la ricostruzione fatta in Parlamento. E cioè che siano stati i talebani, subito dopo la liberazione degli ostaggi, a girarsi di scatto e a far fuoco sui due 007. Ma tra gli inquirenti nessuno esclude che durante il blitz, durato quattro minuti e trenta secondi, i due agenti del Sismi e l'interprete afgano possano essere stati colpiti dagli inglesi in modo accidentale.

Le forze speciali sono arrivate in elicottero, individuato l'obiettivo è stato l'inferno. Fuoco a volontà, migliaia i colpi sparati dagli inglesi. Alcuni potrebbero aver colpito il bagagliaio della Toyota Corolla che trasportava gli ostaggi legati e imbavagliati. L'ipotesi trova riscontro proprio nelle due camiciature adesso sotto i microscopi del Ris di Roma: risultano danneggiate come se avessero attraversato una superficie metallica. Tuttavia prima di fare affermazioni e inviare un rapporto alla magistratura che ha disposto la perizia, i carabinieri vogliono svolgere le indagini chimiche. Queste saranno fatte anche sui frammenti, sette/otto e tutti di pochi millimetri, prelevati dal corpo dell'agente del Sismi morto il quattro ottobre scorso a 33 anni.
Ricostruire i fatti non sarà facile per il procuratore aggiunto Franco Ionta, che conduce le indagini sul sequestro e sull'omicidio. Il pm non è nemmeno sicuro di riuscire a recuperare la Toyota Corolla dei sequestratori. L'auto sarebbe rimasta abbandonata quaranta chilometri a sud di Farah, esattamente dove sono stati liberati gli ostaggi. Andarla a prendere - si è fatto sapere alla procura - è un'operazione rischiosa, che potrebbe costare altre vite umane.

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12 ottobre 2007
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