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L'America sta perdendo

Il nuovo ministro della Difesa Usa, Bob Gates, sconfessa la linea Rumsfeld, e ammette la realtà dei fatti

06 dicembre 2006

Solo tra sabato e domenica scorsi, sono stati nove i soldati americani uccisi in Iraq, quattro in un giorno, cinque all'indomani. Il totale delle perdite americane dall'inizio dell'aggressione americana all'Iraq è così salito a 2897.
In Iraq si muore ancora. Cade chi ha invaso e chi è stato invaso, e nessuno traccia di pace si scorge, e nessuna traccia di democrazia si nota.
La guerra in Iraq rimarrà come un'altra grande macchia americana, una guerra brutta e che si sarebbe potuta e dovuta evitare. Il presidente degli Stati Uniti d'America George W. Bush, rimarrà nella memoria collettiva come ''il presidente della brutta guerra in Iraq, una guerra che l'America perse''.

''Non stiamo vincendo la guerra in Iraq''. Lo ha detto anche Robert Gates, neodesignato alla guida del Pentagono, che prenderà il posto del ''falco'' Donald Rumsfeld, tra gli architetti di questa brutta guerra. Gates ha ammesso la sconfitta americana durante la sua prima audizione di fronte al Senato per far capire che l'era Rumsfeld si è definitivamente chiusa.
''E' vero che in Iraq stiamo vincendo?'', ha chiesto il senatore democratico Carl Levin. ''No'', ha risposto seccamente Gates, smentendo categoricamente non solo il predecessore ma anche quanto ha ripetuto nelle ultime settimane Bush.
''Se non riusciamo a stabilizzare l'Iraq in un anno o due rischiamo di provocare una conflagrazione regionale'', ha inoltre detto Gates che, come se si fosse accorto in ritardo del peso delle sue parole, ha tentato poi di correggere leggermente la rotta: ''Non stiamo vincendo ma non stiamo perdendo''. Una correzione che conta poco.

Gli americani stanno perdendo il conflitto iracheno per colpa di una lunga serie di errori fatti fin dall'inizio, ha spiegato Gates, a partire da un insufficiente spiegamento militare nel 2003 al momento di invadere il Paese. Insomma, la guerra in Iraq è nata male, perché male è stata concepita da Bush, da Rumsfeld e da Cheney. ''Con il senno di poi - ha detto - non credo che l'amministrazione prenderebbe le stesse decisioni di allora''.
Sorprendente anche il giudizio che il nuovo capo del Pentagono ha dato sul capo di Al Qaeda: ''Osama Bin Laden è oggi più un simbolo che una reale minaccia per gli Stati Uniti. Anche se non sta più organizzando gli attacchi - ha detto Gates - resta un simbolo potente e per questo credo che riuscire a catturarlo o ucciderlo avrebbe un potente impatto simbolico''. E per arrivare presto alla sua cattura, Gates si è detto aperto all'idea di aumentare di un milione di dollari alla settimana la taglia attuale di 25 milioni di dollari che pende sulla testa di Bin Laden.

Insomma, la vittoria dei Democratici nelle elezioni di medio termine, sembra abbia subito segnato un punto di svolta. Sulla guerra in Iraq raramente esponenti di primo piano dell'amministrazione Bush hanno espresso in modo così netto la propria convinzione della disfatta degli Usa, e ciò principalmente perché negare l'evidenza sarebbe assurdo.
Robert Gates si è detto inoltre ''aperto a valutare una vasta gamma di proposte e idee'' sul futuro dell'Iraq, e ha respinto l'idea di possibili attacchi militari contro l'Iran (il ricorso alle armi ''sarebbe assolutamente un estremo ricorso che potrebbe avere conseguenze drammatiche, e molto probabilmente aggraverebbe la crisi dell'Iraq'') e contro la Siria (attaccare Damasco ''avrebbe conseguenze drammatiche in tutto il Medio Oriente''). Si è detto invece favorevole a coinvolgere entrambi i Paesi nella gestione della crisi irachena.

E fra le proposte sul futuro dell'Iraq, Gates potrà iniziare a valutare quelle dell'Iraq Study Group, presieduto dal Foto di David Robert Swansonrepubblicano James Baker e dal democratico Lee Hamilton, la commissione bipartisan di saggi, che oggi presenterà il suo rapporto sulla strategia in Iraq all'amministrazione Bush.
La Cnn ha anticipato alcuni contenuti del documento:  le ''ricette'' suggerite dall'Iraq Study Group riguarderebbero un cambio di ruolo per le truppe statunitensi in Iraq da quello strettamente militare a quello di appoggio, e un approccio di tipo regionale per favorire la pace e la stabilità del governo iracheno.
Il gruppo di studio, tuttavia, secondo la Cnn, non raccomanda di fissare un calendario per il ritiro delle truppe. Pur non parlando di ritiro e riconoscendo che il governo iracheno avrà bisogno dell'appoggio statunitense per un po' di tempo ancora, il rapporto del gruppo di studio suggerisce che l'amministrazione ''non prenda impegni a tempo indeterminato per mantenere truppe in gran numero in Iraq'' e intensifichi gli sforzi per trasferire la responsabilità delle operazioni militari all'esercito iracheno.
Il rapporto dell'Iraq Study Group inoltre suggerisce di inserire il problema iracheno in un piano di pace più ampio di tutta la regione mediorientale.

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06 dicembre 2006
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