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L'amico di Paolo

Il magistrato Diego Cavaliero, teste al processo Mori: "Subranni, Lima, l'agenda rossa..."

23 giugno 2012

"Eravamo in cucina e mi turbò molto, fu una sorta di sfogo da parte della signora Agnese Piraino Leto. Mi raccontò che Paolo, prima di morire, un giorno tornò a casa e dopo aver vomitato ed essere stato molto male le disse 'Agnese, il generale Antonio Subranni è punciutu' (affiliato alla mafia, ndr)". In base alla sua versione dopo lo sfogo della vedova di Borsellino non ebbe mai più occasione di parlare dell'argomento.
Negli anni '90, il generale Antonio Subranni era il comandante regionale dei carabinieri in Sicilia.
A riferirlo, deponendo ieri al processo Mori (procedimento in cui il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu rispondono di favoreggiamento aggravato in relazione alla mancata cattura di Provenzano), è stato Diego Cavaliero, magistrato che lavorò con Paolo Borsellino alla Procura di Marsala e che sempre intrattenne con il giudice un rapporto di grande amicizia.

Cavaliero non ricorda la data del colloquio avvenuto con la vedova Borsellino nell'abitazione dei Borsellino a Palermo sul generale Subranni, indagato a Palermo nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa, ma la colloca tra la fine del 2004 e il maggio 2005, "quando si sposò il figlio di Paolo, Manfredi Borsellino". Rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo che gli ha chiesto in quale contesto la signora Agnese avrebbe detto quella frase, Cavaliero ha  detto: "non c’era un contesto preciso. La signora era preoccupata per Manfredi che si era arruolato in Polizia e poi c'era una nota di amarezza sullo sviluppo delle indagini". Poi ha anche ribadito che Borsellino e Subranni "erano amici, me lo disse Paolo ma non so se era vero".

Diego Cavaliero ha conosciuto Paolo Borsellino a metà degli Ottanta quando arrivò alla Procura di Marsala, diretta allora dal magistrato ucciso in via D'Amelio. "Avevamo un rapporto di amicizia - ha detto in aula - io cresimai il figlio Manfredi e lui battezzò mio figlio il 12 luglio '92 poco prima di morire".
"Dopo i funerali del giudice Falcone, Paolo Borsellino mi disse: 'quando vai a un funerale piangi non solo per la morte di un amico ma perché hai la consapevolezza che la tua fine è più vicina’. Ebbi la sensazione che volesse dirmi che dopo la morte di Falcone 'ora tocca a me'", ha aggiunto poi il magistrato Cavaliero.
"Ricordo che Paolo mi raccontava sempre tutto, come quando morì Salvo Lima, mi disse quali erano gli scenari possibili, ma dopo la morte di Falcone, non disse più nulla. Era come se volesse escludere ogni persona a lui vicina affettivamente. Non c’era più il 'babbio' (lo scherzo ndr) di sempre - ha raccontato con sincera emozione - da quando fu ucciso Falcone l’atteggiamento di Paolo cambiò radicalmente".

Cavaliero ha anche riferito sull'agenda rossa che Borsellino era solito portare sempre con se: "Aveva un modo particolare di appuntare le cose. Usava dei simboli per ricordarsi quanto accaduto. Per indicare ad esempio che era stato a trovare la madre utilizzava una sorta di chiocciola. Borsellino si è sempre vantato di aver sempre annotato tutto e conservava le sue agende negli anni come una sorta di archivio". Quell'agenda però non è mai stata ritrovata.
"Paolo Borsellino non si separava mai dalla sua agenda, un diario di colore rosso dell'Arma dei carabinieri su cui scriveva continuamente appuntando riflessioni e quanto gli accadeva". A riprova del particolare legame che Borsellino aveva con la sua agenda il teste ha raccontato un particolare aneddoto. La sera dell'11 luglio del '92, Cavaliero era in auto con Borsellino che lo era andato a trovare a Salerno per il battesimo del figlio: "Ricordo che andammo da mia madre a Salerno, andando via si rese conto di non avere la sua agenda rossa con se. Ricordo che mi fece smontare completamente la mia Peugeot. Solo dopo si rese conto di averla dimenticata in albergo".

Infine il testimone ha raccontato che una volta l'ex capo della polizia Vincenzo Parisi aveva cercato Borsellino al telefono e che il giudice era infastidito perché il prefetto voleva che si dessero del tu. "Ma questo che minchia vuole da me?" Sarebbe stata l'espressione colorita usata da Borsellino per descrivere il suo disappunto.

[Informazioni tratte da ANSA, Adnkronos/Ign, Lasiciliaweb.it, SiciliaInformazioni.com, Repubblica/Palermo.it]

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23 giugno 2012
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