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L'Antimafia divisa su Cuffaro

Nino Di Matteo, titolare dell'inchiesta di mafia sul presidente della Regione siciliana ha lasciato l'incarico

15 dicembre 2006

Imputato solo per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra, oppure a questo aggiungere anche il reato di concorso esterno in associazione mafiosa?
Il dilemma di cui sopra, nasce dalla posizione poco nobile (seppur ancora non confermata definitivamente) del presidente della Regione Siciliana, Totò Cuffaro, nell'ambito del processo alla ''Talpe alla Dda di Palermo''. Un dilemma che però non è dell'indagato ma di chi indaga e accusa già da diversi anni, e che oggi si ritrova con un pubblico ministero in meno.
All'interno della Direzione distrettuale antimafia di Palermo è avvenuta una spaccatura, dovuta proprio alla scelta su quale reato contestare al celebre imputato.
Dopo mesi di discussioni e scambi di lettere coi colleghi, il sostituto procuratore palermitano Nino Di Matteo ha scritto al capo dell'ufficio Francesco Messineo chiedendo di essere esonerato dall'incarico. Motivo della scelta: a suo giudizio bisognava mutare il capo di imputazione contestando a Cuffaro il concorso in associazione mafiosa, per i nuovi elementi emersi dal dibattimento e per uniformità di valutazione con altri imputati in altri processi. Ma gli altri colleghi che con lui gestiscono il dibattimento non sono d'accordo, e alla fine Di Matteo ha preferito uscire di scena.
I magistrati titolari del processo, oltre a Di Matteo, sono Michele Prestipino e Maurizio de Lucia.

Nell'ultima lunga riunione di lunedì scorso di tutta la Direzione distrettuale antimafia, l'insanabile divisione dell'ufficio è stata evidentissima. Circa metà dei sostituti si sono trovati d'accordo con Di Matteo, l'altra metà no. Preso atto della situazione, e constatato che la maggioranza dei pm che sostengono l'accusa (gli unici che possono decidere in totale autonomia) è rimasta dell'idea di non cambiare il capo d'imputazione, il procuratore Messineo non ha potuto far altro che lasciare le cose come stanno. L'indomani Di Matteo gli ha scritto di non poter continuare a sedere sul banco dell'accusa.
Ma cerchiamo di spiegare meglio quali sono i motivi di contrasto tra le due parti: secondo i pm Maurizio De Lucia e Michele Prestipino (d'accordo con il procuratore aggiunto Pignatone che coordina questo gruppo di lavoro) affinché il processo vado bene torna più utile rafforzare il reato attuale, piuttosto che individuarne un altro.
Per Di Matteo, invece, i nuovi elementi emersi nel dibattimento, e l'ottenimento, pochi giorni fa, della condanna dell'ex assessore comunale dell'Udc Domenico Miceli a 8 anni di carcere proprio per concorso in associazione mafiosa, sulla base di elementi che ritiene possano riferirsi anche a Cuffaro, possono benissimo trasformare il governatore da '''favoreggiatore'' a ''concorrente''.
Come, ad esempio, la genesi della candidatura di proprio Miceli alle elezioni del 2001, ritenuto il frutto di una trattativa a distanza tra Cuffaro e il capomafia del quartiere Brancaccio Giuseppe Guttadauro.
Ma per quanto riguarda questa tesi gli altri pm De Lucia e Prestipino replicano che: la prova dell'accordo a tre Guttadauro-Miceli-Cuffaro non è emersa in maniera chiara, e gli elementi emersi nel dibattimento possono servire ad aprire una nuova indagine, ma non a chiedere e ottenere una condanna per il reato di più grave di quello contestato finora.
Ma le divergenze e le differenti letture degli stessi atti giudiziari riguardano anche altri ''elementi'' del processo, come alcune dichiarazioni del neo-pentito Campanella e del pentito di più antica data Angelo Siino.

Comunque, è bene ricordare, che non è questa la prima spaccatura che la procura palermitana dovuta al processo su Cuffaro. Anche due anni fa (luglio 2004) i pm impegnati nel 'caso Cuffaro'' si erano spaccati e uno dei  titolari dell'inchiesta, Gaetano Paci, si rifiutò di firmare l'avviso di conclusione delle indagini che escludeva proprio il concorso esterno per Salvatore Cuffaro. Paci allora rimase solo e uscì dall'indagine, infatti Di Matteo si schierò a favore della scelta dell'ufficio, insieme al procuratore Grasso e a Pignatone, De Lucia e Prestipino. Dopo un anno di dibattimento, però, ha cambiato idea. E ora se ne va anche lui, che con Paci era l'originario titolare all'inchiesta.

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15 dicembre 2006
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