L'Apocalisse è qui...
...nel Darfur, provincia occidentale del Sudan, da tre anni martoriata da una feroce guerra civile
Nel Darfur, un'area grande quasi due volte l'Italia e situata nella parte occidentale del Sudan, è in
corso da tre anni un violentissimo conflitto interno fra gruppi armati locali e milizie filo-governative.
Secondo l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), gli attacchi ai civili e le conseguenze della guerra sulla situazione sanitaria hanno causato dal marzo 2003 ai primi mesi del 2005 la morte di circa settantamila (5mila secondo il governo sudanese) persone e hanno ridotto più di un milione e ottocentomila persone allo stato di profughi, rifugiati nei campi di accoglienza gestiti dalle organizzazioni umanitarie. Secondo alcune stime di queste organizzazioni, attualmente nel Darfur muoiono circa 10.000 persone al mese.
Dall'inizio del 2003 gli attacchi delle milizie arabe ''janhaweed'', i famosi ''diavoli a cavallo'' che terrorizzano le popolazioni civili di origine africana bruciando i villaggi, violentando le donne, uccidendo gli uomini e rapendo i bambini, hanno forzato migliaia di civili ad abbandonare le case in cerca di sicurezza.
Migliaia di profughi sudanesi affollano ogni giorno di più le tendopoli di emergenza allestite nel vicino Ciad. I campi profughi spesso sono costituiti da strutture inadeguate per i rifugiati, molti dei quali non hanno sufficiente cibo, acqua potabile e medicinali. Qui, come nei campi per sfollati attorno alle città sudanesi i più deboli, soprattutto i bambini, muoiono di stenti e di malattie.
Negli ultimi mesi il conflitto nel Darfur si è ulteriormente inasprito e lo scenario rischia di diventare apocalittico, se mai non lo fosse già.
Vaste aree del centro e del nord della provincia sono ormai considerate zone chiuse per le ong internazionali che operano sul territorio. Conseguenza diretta, oltre 500mila persone sono prive di qualsiasi assistenza umanitaria. A conferma del dramma che si sta profilando in Darfur, il Programma alimentare mondiale (Pam) ribadisce che ''la sicurezza è il nostro problema numero uno''. Secondo le ultime stime dell'agenzia Onu, il numero di civili in attesa di assistenza umanitaria urgente ma a cui le ong non possono accedere, sono passate da 290mila in giugno a 470mila in luglio.
Rispetto al passato tuttavia, i protagonisti della guerra sono cambiati. Peggio, i janjawweed sono soltanto uno degli strumenti di questa guerra civile, e i loro padroni, coloro che li manipolano, non sempre gli stessi. Così, quello che veniva definito il vero leader dei ribelli darfuriani, il generale Minni Minawi, capo dell'Esercito di liberazione del Sudan (Sla), la più importante fazione della ribellione, sarebbe diventato il primo consigliere del presidente sudanese Omar El-Beshir, il deus ex machinae della guerra in Darfur. E se dapprima gli obiettivi di Minnawi erano i militari sudanesi, ormai a rimanere vittime delle sue esazioni sono i civili del Darfur. Infatti, nella regione, ci sono molto meno scontri militari e si sono invece moltiplicate aggressioni, esazioni e atti di banditismo.
A fine agosto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso l'invio di una missione nella provincia sudanese: 22mila uomini accettati dal governo di Khartoum, che precedentemente si era opposto al progetto. La decisione è arrivata con il voto a favore di 12 Paesi, mentre Russia, Cina e Qatar si sono astenuti. In base al testo approvato dal Consiglio di sicurezza, non appena il Sudan avrebbe dato l'ok alla missione, i caschi blu sarebbe andato a sostituire o avrebbe assorbito la forza composta da 7mila militari dell'Unione Africana già presente nella regione, che doveva terminare il proprio mandato il 30 settembre e non ha saputo finora mettere fine alla crisi umanitaria.
Il consigliere presidenziale sudanese, Mustafa Osman Ismail, alla fine del mandato dell'Unione Africana, ha rifiutato la possibilità di una transizione tra gli uomini dell'Onu e quelli dell'UA, denunciando che il vero obiettivo delle Nazioni Uniti era quello di un "cambio di regime".
''Il Sudan non accetterà che quelle truppe siano assorbite nelle forze dell'Onu'', ha detto Ismail. ''Monitorare i confini... proteggere i civili... creare un sistema giudiziario indipendente, è tutto diventato appannaggio della comunità internazionale. Che cosa è rimasto per il nostro governo?'', ha chiesto il consigliere, facendo riferimento alle clausole contenute nella risoluzione dell'Onu.
In questa maniera il governo sudanese ha deciso di non consentire alle truppe della Nazioni Unite di lanciare l'operazione di pace in Darfur.
Una decisione che sta dando i suo frutti velenosi: violenza, disperazione e morte. Gli attacchi dei miliziani arabi si sono infatti moltiplicati. Ormai queste bande di irregolari sostenuti dal governo di Khartoum sanno di poter contare sull'immunità e si sono riorganizzati. Così i massacri sono ripresi.
In fuga dal Darfur incendiato dalle incursioni dei janjawweed, le popolazioni nere si sono dirette ai confini con il Ciad in maniera sempre più massiccia. Ormai senza testimoni, i ''diavoli a cavallo'', che non si muovono più a dorso di cavallo e di cammello, ma ora usano nuove 4X4 fornite dal governo, possono fare qual che vogliono e hanno avuto mano libera per il genocidio contro le popolazioni del Derfur di origine africana.
Amnesty International, in un nuovo rapporto pubblicato venerdì scorso, ha sollecitato ancora una volta il governo sudanese a consentire la presenza di una forza di pace dell'Onu col mandato di tutelare i civili del Darfur.
E il conflitto si sta allargando al Ciad orientale. Gli attacchi dei janjawweed contro la popolazione del Ciad, attraverso la frontiera del Darfur, iniziati alla fine del 2005, sono ancora in corso. Le comunità sotto attacco hanno stretto legami con i gruppi armati del Darfur che si oppongono al governo sudanese.
Amnesty International ha chiesto al governo del Sudan di: consentire la presenza della forza di pace dell'Onu, prevista dalla Risoluzione 1706 del Consiglio di sicurezza; permettere all'Unione Africana di continuare a operare nel Darfur fino a quando i peacekeeper dell'Onu non verranno dispiegati; porre fine a tutte le violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario nel corso dell'attuale offensiva militare.
E Amnesty ha rivolto un appello anche al Consiglio di sicurezza dell'Onu e all'Unione africana per: sviluppare una posizione comune per ottenere l'assenso del Sudan al dispiegamento della forza di pace dell'Onu; rafforzare l'UA affinché sia in grado di svolgere il proprio mandato sulla protezione dei civili fino a quando una missione dell'Onu non abbia preso il suo posto.
[Foto in alto a sinistra: ''Refugees in the Korem camp'' Ethiopia - 1984 - Sebastião Salgado]