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L'Eldorado di Sicilia

La sanità siciliana: ovvero l'affare più ghiotto della regione per politici, imprenditori, mafiosi...

26 gennaio 2006

La sanità siciliana, sia quella pubblica che quella privata, negli ultimi anni, è stata costantemente nell'occhio del ciclone, vuoi per la sua centralità all'interno della tricotomia ''affari-politica-mafia'', vuoi per le palesi disfunzioni legislativo-autonomistiche che l'hanno resa un ''caso a parte'' in tutto il panorama della Sanità nazionale, vuoi per il fenomeno, tragico, colpevole e deplorevole della ''presunta malasanità'', che ha mandato all'altro mondo (scusateci per la brutalità terminologica) neonati, anziani, donne gravide, giovani, ammalati affetti da mali comuni, etc. etc...
Una questione di grandissima gravità, dunque, che affligge una regione grande e complicata. Una questione da risolvere e risollevare, in un risanamento che per la Sicilia è, sul serio, ''opera prioritaria''.
Per farsi un idea di quello che succede dietro le quinte (le tante e labirintiche quinte) della Sanità siciliana Di seguito pubblichiamo un articolo-inchiesta di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella.

In Sicilia sanità da otto miliardi
Tra farmaci e rette da business per cliniche private mai accreditate
di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella (Corriere della Sera, 26 gennaio 2006)

L'economia siciliana è malata? Il business della malattia scoppia di salute. E muove quest'anno 7.729.922.709 euro. Troppi, per un'assistenza come quella offerta. Dove per tirar su voti sono stati assunti al 118 addirittura 3.100 autisti e portantini per 269 ambulanze: undici per ogni autolettiga.
E dove un mucchio di soldi viene spartito tra una miriade di strutture private, spesso possedute da politici, neppure accreditate.
Direte: possibile? Sì. Dopo 7 anni di rinvii, infatti, le regole per l'accreditamento non sono mai state applicate. Risultato: tutte quelle che succhiano alle mammelle di Stato e Regione sono, formula magica, «pre-accreditate». E non hanno sovente alcuna fretta d'uscire dalla precarietà: il rispetto di norme certe potrebbe metterle fuori dal giro.
Quali siano le priorità, in Sicilia, lo dice il confronto sulla civiltà con cui vengono accolti gli anziani nelle case di riposo: un ospite ogni 146 abitanti in Lombardia, uno ogni 5.359 (36 volte di meno!) nell'isola. Pochi soldi, tante grane: non interessano. In altri campi, invece, è un affollarsi di mosconi sul miele. Basti dire che in Lombardia ci sono 6,6 convenzionati ogni 100 mila abitanti, in Veneto 3, in Sicilia 26,6.
Ovvio, la sanità è la prima «industria» isolana. Ma un'industria, spiega il procuratore aggiunto Roberto Scarpinato, coi difetti dei carrozzoni pubblici. Dove «si assiste ad una sinergia tra i vizi della nuova cultura neoliberista del profitto a tutti i costi ed i vizi della vecchia cultura tribale premoderna della roba».
Dove al posto del libero mercato portatore di efficienza c'è «un'ampia fascia di mercato protetto, sottoposto alla barriera doganale dei padrinaggi e delle sponsorizzazioni politiche, grazie a cui vengono costruite posizioni di oligopolio».
Un sistema malato dove per Ernesto Melluso, curatore del convegno ''Sistema di potere mafioso e malasanità'', gli ospedali «sono luoghi pericolosi» e dove alcune cliniche private, come quella di Michele Aiello a Bagheria, sono prosperate con prestazioni che «costavano in media il triplo del prezzo del mercato». E dove, accusa Renato Costa, segretario regionale dei medici Cgil, «quella di non fissare le regole per gli accreditamenti è stata una scelta precisa, per non mandare all'aria laboratori e cliniche che operano al di sotto degli standard minimi di decenza».

I primi a esser messi sotto accusa, va da sé, sono gli ambulatori e i laboratori privati. Sono 1.826: 200 per ogni provincia. Un'enormità. Al punto che gira la leggenda che siano più i «pre-accreditati» isolani che tutti gli accreditati nel resto d'Italia. Tesi che Domenico Marasà, segretario dell'associazione, respinge: «Forniamo servizi per 320 milioni di euro, dal semplice esame della glicemia alla risonanza magnetica, compresi gli ambulatori delle cliniche, dando lavoro a 26 mila persone. E pesiamo sul bilancio della sanità per il 4% più un altro 2% per l'emodialisi coprendo l'80% delle prestazioni. Lo scandalo non siamo noi. Sono i farmaci. E le case di cura».
Che intorno alle medicine girino tanti soldi è sicuro: circa un miliardo e 250 milioni di euro. In gran parte incassati da 1.400 farmacie private che (a risarcimento dei ritardi cronici nei rimborsi, dicono loro) sono state recentemente benedette da un accordo tra la Federfarma e l'assessore alla sanità Giovanni Pistorio. In base al quale i farmaci più costosi saranno venduti in esclusiva dai privati. Che con l'aggio potranno arrivare a prendere su un solo farmaco, denunciano i farmacisti ospedalieri, anche 600 euro.

Quanto alle cliniche, sono 55 e godono d'un trattamento assai più «generoso» che nel resto d'Italia. Certo, ci sono dei gioielli. Come l'Ismett, che è nato da accordi tra il Civico di Palermo e l'università di Pittsburgh, fa trapianti di fegato e multi-organo, ha poche decine di letti e al massimo si attira dai critici il rilievo di essere un lusso (50,4 milioni di euro) in una Regione dove la rottura di un femore può obbligarti a salire a Bologna. O come il San Raffaele di Cefalù, che si sarebbe visto riconoscere un tariffario rispetto agli altri del 44,8% più alto.
Eccellenze a parte, però, le cliniche private fanno quello che in un Paese normale fanno gli ospedali pubblici. Andando a incassare in modo spesso immotivato. Basti dire che una volta gestita da un amministratore giudiziario la «Villa Santa Teresa» di Bagheria arrivò a praticare tariffe del 75% più basse di quelle pretese prima da Aiello, protagonista del famoso incontro con Totò Cuffaro nel retrobottega di un negozio d'abbigliamento in cui il governatore (la cui moglie di Aiello era stata socia) lo avrebbe informato che era intercettato.
I meccanismi di questi pagamenti sono complicatissimi. Il succo è che, dai e dai, i soldi pubblici arrivano ormai a coprire il 92,5% delle rette. E che l'anomalia diventa accecante quando una casa di cura sfonda il budget fissato. Per scoraggiare le furbizie, ad esempio, il Veneto tollera un massimo di sforamento del 5%, tagliando i rimborsi del 25%. Oltre quella soglia, sega drasticamente l'80% obbligando il privato a comportamenti virtuosi. In Sicilia no: se sfori fino al 25% ci rimetti solo il 20%.

Va da sé che, con una Regione così generosa, possedere le cliniche è un affare. E chi trovi, tra i soci o negli immediati dintorni? Il forzista Guglielmo Scammacca della Bruca, già assessore regionale ai Lavori pubblici, che ha quote nella Casa di cura Musumeci e nell'Istituto oncologico del Mediterraneo di Catania. L'autonomista Antonio Scavone, ex deputato Dc, e cognato di Salvatore Zappalà il quale ha il 50% dello studio di diagnostica «X-RAY» di Paternò. Salvatore Misuraca, capogruppo in Regione di Forza Italia e marito di Barbara Cittadini, socia forte col 68% della Casa di cura «Candela» di Palermo e del laboratorio «Villareale» nonché figlia dell'ex assessore regionale alla Sanità Ettore Cittadini. E ancora l'azzurro Francesco Cascio, vice-governatore e assessore all'Ambiente, che ha una quota del 25% nella Sicilcosmo (costruzioni case di cura). E Giovanni Mercadante, deputato regionale forzista, socio col 40% dell'Istituto meridionale «Angiò-Tac» e proprietario col figlio Tommaso del gruppo «M&F» (gestione di case di riposo e centri diagnostici). E il lombardiano Pierfausto Orestano, candidato alle ultime Regionali con il Ccd, padrone con la famiglia della «Casa di cure Orestano» di Palermo.
E il fratello dell'Udc Giuseppe Drago, Carmelo, assessore al bilancio di Modica, titolare del 25% del Centro di riabilitazione Europa di Ragusa. E poi l'azzurro Alessandro Pagano, assessore regionale ai Beni culturali e cognato di Angela Maria Torregrossa, padrona della clinica nissena «Regina Pacis». E il sindaco di Catania Umberto Scapagnini, che ha il 33% della catanese «Pharmalife».
E Ferdinando Latteri, sconfitto da Rita Borsellino alle primarie dell'Unione, la cui famiglia è titolare dell'omonima clinica. E suo cugino Filadelfio Basile, senatore di Forza Italia ora alla Margherita, la cui famiglia possiede la clinica Basile di Catania.
Per chiudere con Totò Cuffaro, la cui moglie Giacoma Chiarelli, a parte la vecchia società con Aiello nel Centro di Medicina nucleare San Gaetano, aveva fino al 2003 il 25% del Poliambulatorio «La Grande Mela».

Tutto in regola, per carità. Ma rifacciamo la domanda fatta nell'inchiesta su Siracusa (''A Siracusa la Sanità dei miracoli'' -leggi-) : chi ha interessi così forti può davvero dannarsi l'anima per far marciare il settore pubblico?

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26 gennaio 2006
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