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L'esplosivo per la strage di Capaci partì da Catania...

Processo Stato-mafia. Il pentito Maurizio Avola parla degli accordi (e disaccordi) tra le mafie di palermo e Catania

05 luglio 2014

"Prima della strage di Capaci consegnammo a Termini Imerese alcuni pacchi con dell'esplosivo che proveniva dalla ex Iugoslavia. Si trattava di panetti da 5 chili avvolti in un involucro chiuso dentro nascosti in casse su cui c'era la scritta T4".
Lo ha raccontato, deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia, il pentito catanese Maurizio Avola. Sentito come teste assistito, aveva inizialmente deciso di non presentarsi all'udienza dei giorni scorsi, davanti alla corte d'assise di Palermo. I giudici ne hanno disposto l'accompagnamento coattivo.
Il collaboratore, accusato di un'ottantina di omicidi, ha anche riferito che il capomafia catanese Nitto Santapaola non condivideva la strategia stragista dei boss corleonesi guidati da Totò Riina e che uno dei più fidati consiglieri di Santapaola, Marcello D'Agata, lo dissuase dal prendere parte all'attentato a Giovanni Falcone. Per cui l'apporto del clan all'eccidio si sarebbe limitato alla consegna dell'esplosivo.

Nel '92 Cosa nostra avrebbe usato la sigla Falange Armata per rivendicare alcuni attentati. La circostanza, già riferita al processo sulla trattativa Stato-mafia dal collaboratore Filippo Malvagna (LEGGI), è stata ribadita anche da Avola. Il collaboratore di giustizia ha anche raccontato di una riunione organizzata a Messina nel '91 tra esponenti della mafia etnea e palermitana per concordare una strategia stragista volta a punire i nemici, come il giudice Giovanni Falcone, e i politici che, a dire dei boss, avevano tradito la mafia. Avola ha anche sostenuto che la mafia pensava a creare "un partito nuovo che doveva intervenire e si dovevano cambiare tutte cose".
"Stiamo aspettando un segnale forte da Dell'Utri e da Michelangelo Alfano, un grosso massone, che non conosco", avrebbe riferito al collaboratore, allora affiliato alla "famiglia" di Nitto Santapaola, il luogotenente del padrino Eugenio Galea. Avola tra fine aprile e i primi di maggio del 1992 fu spedito in Toscana, a Firenze, per studiare i luoghi in cui compiere eventuali atti intimidatori. In più passaggi Avola ha fatto cenno all'ex senatore di Fi Marcello Dell'Utri, in carcere per scontare una condanna a 7 anni, definitiva, per concorso in associazione mafiosa e ha accennato a investimenti della mafia nella Fininvest.

Tra i progetti stragisti anche quello di fare fuori Antonio Di Pietro. "Dovevamo uccidere il magistrato Antonio Di Pietro. C'era stato chiesto durante un incontro, organizzato all'hotel Excelsior di Roma, al quale parteciparono Cesare Previti, il finanziere Pacini Battaglia, il boss catanese Eugenio Galea, il luogotenente di Nitto Santapaola Marcello D'Agata, Michelangelo Alfano ed un certo Sariddu che poi scoprì essere Saro Cattafi, soggetto vicino ai Servizi".
L'omicidio - ha spiegato il collaboratore che ebbe notizie del progetto da D'Agata - "era voluto e sollecitato dal gruppo politico-imprenditoriale presente a quella riunione".

Pronta la replica di Cesare Previti: "Apprendo dalle agenzie delle dichiarazioni di tale pentito Avola: si tratta di autentiche farneticazioni, che pretenderebbero di coinvolgermi in contesti e vicende con le quali non ho alcun collegamento e in fantomatiche riunioni e richieste alle quali ovviamente non ho mai partecipato e delle quali non ho mai avuto alcuna conoscenza", ha sottolienato in una nota. "Confido nel lavoro degli inquirenti, con la certezza che sapranno valutare le suddette invenzioni come tali, perseguendo gli eventuali reati perpetrati ai miei danni, così come già avvenuto in passato a mia tutela", conclude l'ex ministro della Difesa.

[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, Corriere del Mezzogiorno]

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05 luglio 2014
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