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L'essenziale utilità degli immigrati nel nostro Paese

Lavorano in regola, facendo i lavori che gli italiani non vogliono più fare, resistono alla crisi ma godono di meno tutele rispetto ai loro colleghi italiani

10 giugno 2011

Gli immigrati sono molto utili al nostro Paese, ma spesso 'noi' ricambiamo non rispettando quelle che sono le loro attese. E' questo, in sintesi, il giudizio di Franco Pittau, coordinatore del Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes, sui dati del 'IV Rapporto sui lavoratori di origine immigrata negli archivi Inps - La regolarità del lavoro come fattore di integrazione', realizzato dall'Inps in collaborazione con il Centro studi e ricerche Idos - Dossier stastico immigrazione Caritas/Migrantes, e presentato ieri a Roma.
"Emerge la figura di un lavoratore emigrante mediamente preparato -ha spiegato Pittau - che non trova sbocco adeguato alla propria professionalità e che ha però ha tanta buona volontà di inserirsi negli spazi che lascia il mercato, auspicando quantomeno che per questi inserimenti venga salvaguardata la tutela prevista dai contratti. Purtroppo, queste aspettative in parte sono mancate a causa dela crisi che è stata negativa anche per loro, e in parte perché noi italiani non abbiamo proprio acquisito la mentalità della regolarità. E non a caso l'Inps ha detto che la regolarità è fattore di integrazione".
Quindi, secondo Pittau, il Rapporto ci restituisce "l'idea di un immigrato che è molto utile all'Italia, e che però ha delle attese disilluse: lavorando bene vorrebbe essere trattato e riconosciuto come persona". E secondo Francesco Marsico, vicedirettore della Caritas Italiana, "il dato positivo che emerge da questo Rapporto è che ci sia una presenza regolare e rilevante di queste persone nel mercato del lavoro italiano, perché noi sosteniamo da sempre che l'immigrazione è un fenomeno importante che sta cominciancdo finalmente ad essere 'normale' nel nostro Paese, e la presenza di queste persone nell'archivio Inps è un dato certamente positivo". Per Marsico, "questi lavoratori si collocano sicuramente su fasce deboli dal punto di vista retributivo: c'è una forte propensione dei lavoratori immigrati ad accettare le soluzioni che trovano sul mercato".

Sono, infatti, muratori, operai agricoli, colf. Lavorano in modo regolare nel nostro Paese, hanno resistito con difficoltà alla crisi ma, come detto, godono di meno tutele rispetto ai loro colleghi italiani. E sono più vulnerabili in caso di disoccupazione.
Si parla di oltre due milioni e 700mila cittadini immigrati iscritti all'Inps al 2007. Secondo il rapporto, sono infatti 2.727.254 i lavoratori di origine neo-comunitaria e non assicurati all'Inps nel 2007, pari a oltre un ottavo (12,9%) di tutti gli assicurati presso l'Istituto (21.108.368). Numeri che non sono distribuiti in modo omogeneo in tutto il Paese, visto che quasi i due terzi degli immigrati iscritti negli archivi Inps sono attivi nelle regioni settentrionali (1.695.084, il 62,2% del totale: il 32,2% nel Nord-Ovest e il 30,0% nel Nord-Est), quasi un quarto nel Centro (650.432, 23,8%) e poco più di un ottavo nel Mezzogiorno (380.460, 13,9%). E, tra le regioni, la Lombardia da sola accoglie più di un quinto degli iscritti all'Inps (21,2%), una quota quasi doppia rispetto all'intero Mezzogiorno. Seguono, in ordine di importanza, il Veneto (12,2% degli assicurati), l'Emilia Romagna (11,6%) e il Lazio (10,8%). La prima regione del Sud è la Campania, con una quota di assicurati del 3,5%, seguita dalla Sicilia (2,8%).

Ma quali lavori svolgono gli immigrati? Secondo il Rapporto, "mentre gli italiani si indirizzano verso i lavori di più alto profilo, gli immigrati sono canalizzati verso i settori deficitari di manodopera per svolgere quelle mansioni che risultano meno appetibili (agricoltura, lavoro domestico, edilizia), al Nord come nel Meridione". In particolare, come emerge dal Rapporto, sono 1.722.634 i lavoratori dipendenti da aziende (63,2%); 479.133 i lavoratori domestici (17,6%); 231.663 gli operai agricoli (8,5%); 293.824 i lavoratori autonomi (10,8%). Quindi, secondo i dati dell'Inps, ogni 10 lavoratori immigrati 9 sono attivi nel mondo del lavoro dipendente (con riferimento alle aziende, agli imprenditori agricoli e alle famiglie: 89,2%) e 1 svolge un'attività autonoma (10,8%).
In crescita negli ultimi anni in particolare la presenza degli immigrati nel settore agricolo, in particolare per quanto riguarda gli operai agricoli, in larga maggioranza a tempo determinato: erano 84.770 nel 2000, ovvero neanche un decimo del totale (9,1%), nel 2004 erano quasi raddoppiati (145.746), arrivando a rappresentare un settimo del totale (14,9%), e nel 2007, con 231.663 assicurati (per il 68,8% uomini), la loro incidenza ha superato un quinto (22,4%; 2000-2007: +173,3%). Nell'insieme, considerando tanto gli operai agricoli che gli autonomi, nonché i dipendenti del settore dediti ad attività diverse dal lavoro nei campi (3.859 nel 2007, il 7,1% del totale), l'agricoltura assorbe quasi un nono di tutti gli immigrati assicurati all'Inps (8,6%).

La crisi economica comunque non ha risparmiato, come spiega il Rapporto, gli immigrati, con un significativo e rapido peggioramento delle condizioni occupazionali (diminuzione del tasso di occupazione e aumento delle persone disoccupate e in cerca d'impiego). In Italia, nel 2009, secondo l'indagine, il tasso di disoccupazione è passato dal 9,8% all'11,2% (per gli italiani dal 6,5% al 7,5%). Il tasso di occupazione è sceso dal 77,7% al 64,5% (per gli italiani dal 67,9% al 56,9%). La congiuntura economica, però, non ha interrotto del tutto la crescita dei lavoratori immigrati, ma l'ha frenata, aumentando, secondo il Rapporto, la tendenza all'inserimento al lavoro nei profili bassi. A svolgere un lavoro non qualificato prima della crisi, infatti, era il 40% degli stranieri laureati, una quota passata al 46% dopo la crisi; prima era sottoinquadrato il 39,4% degli occupati stranieri, dopo il 41,7%; è aumentata anche la percentuale dei non qualificati (35,9% nel 2009). La dequalificazione più accentuata riguarda le lavoratrici donne, concentrate per la metà in sole cinque professioni: collaboratrici familiari, addette alle imprese di pulizia, cameriere, inservienti in ospedale, commesse. [Adnkronos/Labitalia]

 

 

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10 giugno 2011
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