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L'immane genocidio del Darfur, uno dei peggiori olocausti della storia mondiale, mappato su Google Earth

12 aprile 2007

Oltre 1600 villaggi distrutti. Da nord a sud lo scenario è sempre lo stesso, straziante.
Le foto, moltissime, e qualche video rappresentano la disperazione di chi è è sopravvissuto. E' quello che si può vedere nella sezione ''Crisi nel Darfur'' realizzato dal Museo dell'Olocausto di Washington e da Google Earth (il programma che presenta la mappa dell'intero pianeta).
La mappa si presenta tinteggiata di rosso (sono i villaggi distrutti), mentre in giallo sono rappresentati quelli danneggiati. Utilizzando lo zoom ci si può avvicinare ai vari villaggi fino a giungere all'interno di ognuno di essi per vederne i resti.
Un'apposita scheda compare sullo schermo e, oltre al nome del villaggio viene segnalato anche il numero delle strutture rase al suolo. Nella maggior parte dei casi la devastazione è totale, del villaggio infatti, non è rimasto più nulla, solo terra bruciata.

Chissà se le drammatiche immagini dei campi profughi, dei villaggi bruciati e della devastazioni causate dalla guerra civile in Darfur riusciranno a piegare la testardaggine del governo sudanese e costringerlo ad accettare il contingente di pace delle Nazioni Unite finora ostinatamente rifiutato.
Chissà se si riuscirà con questo mezzo ad accendere l'interesse necessario, su questa guerra che un mese fa ha compiuto il suo quarto anniversario, ignorato dalla maggior parte degli organi d'informazione italiani, che in tutto questo tempo hanno dato ben poco risalto al consumarsi di questa tragedia.
Il progetto ha esattamente questa intenzione: scuotere le coscienze di milioni di internauti e esercitare una forte pressione sul governo di Khartoum. La speranza è di creare un forte movimento d'opinione in tutto il mondo.

Quello che si sta verificando in Darfur viene considerato un vero e proprio genocidio che in quattro anni ha fatto almeno 200 mila morti e un milione di feriti. Un paio di milioni di persone ha dovuto poi abbandonare tutto e trovare scampo dei campi profughi in Ciad. Quattro milioni di persone poi, secondo le agenzie dell'ONU, soffrono la fame e vivono in condizioni disperate.
Un team di cinque membri delle nazioni Unite, guidato dal premio Nobel per la pace, Jody Williams, durante le investigazioni per un Rapporto sulle condizioni dei diritti umani in Darfur (reso pubblico a Ginevra lo scorso mese) è stato bloccato dal governo del Sundan, che non ha mai dato loro i permessi per entrare in Darfur. Gran parte del lavoro d'indagine è stato fatto in Ciad, per altro ormai anch'esso investito dalla guerra, dove invece il gruppo è entrato nei campi dei rifugiati e ha parlato con chi ci vive, raccogliendo testimonianze e racconti raccapriccianti che parlano ''di gigantesche e sistematiche violazioni dei diritti umani e gravi strappi alla legge internazionale''. ''Il governo sudanese - è stato sottolineato da Jody Williams - è complice in questi crimini per aver armato e addestrato le milizie janjaweed''. I janhjaweed sono gli scherani del regime arabo del nord che dal 2003 hanno lanciato campagne di terrore contro la popolazione civile di origine africana: bruciano i loro villaggi, uccidono gli uomini, violentano le donne e le bambine e rapiscono i ragazzini che vengono arruolati a forza.

Gli attacchi dei ''diavoli a cavallo'' (questo vuol dire janjaweed, perché all'inizio della loro campagna di terrore arrivavano al galoppo mentre ora si servono di più confortevoli e veloci 4 x 4, secondo le accuse, fornite dal governo) sono sostenuti dal cielo da massicci bombardamenti aerei. Le denunce non sono nuove e giungono dopo che altre organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno lanciato il loro grido d'allarme.
Il governo di Khartoum ha sempre sostenuto che le cifre dei morti e degli sfollati sono ''decisamente esagerate'' e la situazione, come descritta dai media occidentali, non risponde alla realtà. Sempre secondo i leader sudanesi, comunque, negli ultimi mesi è molto migliorata. Al contrario tutti i rapporti parlano di un peggioramento notevole e di una precisa volontà di pulizia etnica e sterminio.

Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, sempre il mese scorso, ha votato una risoluzione che autorizza la formazione di un contingente di pace di caschi blu, ma ha posto una condizione: che il governo di Khartoum autorizzi il dispiegamento della missione sul suo territorio. Una condizione chiesta e ottenuta, grazie al potere di veto, dalla Cina, il grande protettore del governo islamico sudanese. Pechino ha infatti ottenuto le concessioni petrolifere nel sud del Sudan, concessioni che facevano gola anche agli americani, restati a bocca asciutta.
Per la Cina il Sudan è diventato un porto franco, dove è possibile non si curarsi minimamente delle tutela dei diritti umani. Gli operai che lavorano nei campi petroliferi cinesi in Africa non godono di alcuna tutela sindacale e la loro paga è di solito più bassa di quella offerta dalle compagnie europee e americane. Pragmaticamente vende armi a destra e a manca incurante della politica, dell'ideologia e dell'etica. Il pensiero ossessivo è il business e qualunque metodo per fare affari diventa lecito e legittimo. In questo campo i cinesi sono diventati più affamati degli americani.
Nelle ultime settimane, dopo essere stata accusata più volte dalla comunità internazionale, di essere insieme al governo sudanese, complice del genocidio in corso nel Darfur, la Cina ha chiesto al Sudan di essere ''più flessibile'' in relazione a quello che fu il piano di Kofi Annan (l'ex-segretario dell'Onu), continuando a migliorare la situazione umanitaria e quella della sicurezza, e accelerare il ''processo politico nel Darfur''.
Un mero escomatage diplomatico per sollevarsi dalle proprie responsabilità.

- ''La lotta giusta dei guerriglieri senza armi'' di Bernard-Henri Lévy (Corriere.it)

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12 aprile 2007
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