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L'immunità di Ciancimino jr

Ancora rivelazioni nel processo al generale Mario Mori e al colonello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra

05 maggio 2010

"Massimo Ciancimino godeva di una sorta di immunità, era garantito perché aveva collaborato con lo Stato, con il padre Vito Ciancimino, nella cosidetta trattativa per fermare le stragi del '92. Aveva un corsia preferenziale. Tutto ciò mi era stato riferito dall'avvocato Gianni Lapis". E' quanto ha detto in aula l'avvocato Giovanna Livreri, teste nel processo al generale Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu, entrambi accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano nel '95.
Il legale, sentita come teste assistito, è stata interrogata sui suoi rapporti con l'avvocato Lapis, condannato di recente insieme con Massimo Ciancimino nel processo d'appello per il cosiddetto 'tesoro' di Vito Ciancimino. "Il professor Lapis - ha aggiunto l'avvocato - mi parlò dell'immunità di Massimo Ciancimino nel 2005, quando subì la perquisizione dello studio e della sua abitazione. Mi disse che mentre per Massimo Ciancinimo la polizia giudiziaria aveva usato metodi molto più soft, cioè edulcorati, per Lapis non fu così. Tanto è vero che mentre da Ciancimino non vollero neppure la chiave della cassaforte di casa, a Lapis volevano fare saltare la cassaforte con la dinamite".
L'avvocato Livreri ha poi sottolineato che "Massimo Ciancimino deteneva in casa i documenti del padre relativi alla trattativa e quindi alla cattura di Totò Riina. Era una sorta di 'salvacondotto' per il futuro". "Lapis - ha continuato la Livreri - mi disse che Ciancimino era trattato così perché aveva ottimi rapporti con le istituzioni, perché attraverso suo padre era stato arrestato Totò Riina. Insomma, Ciancimino era stato trattato meglio perché garantito e di questo si lamentava Lapis. Il professor Lapis mi parlò anche della trattativa. Mi disse che Massimo Ciancimino era stato contattato dal Ros per riuscire, attraverso il padre, a fare arrestare Riina".

Durante la deposizione l'avvocato Giovanna Livreri ha parlato poi della società 'Gas' appartenuta in passato a Vito Ciancimino e che aveva tra i soci Maria D'Anna, e il marito Ezio Brancato. "Il professor Lapis - ha detto l'avvocato Livreri - mi parlò di copertura politico-giudiziarie sulla società Gas. In particolare mi fece il nome di un magistrato che stava a Roma e che si occupava della Gas perché aveva degli interessi, si trattava di Giusto Sciacchitano (pm della Direzione nazionale antimafia ndr), mentre tra i politici mi fece il nome dell'ex ministro Carlo Vizzini che gli era stato molto vicino". La Livreri ha ribadito poi con forza di non avere mai conosciuto "Massimo Ciancimino". C'è una intercettazione del gennaio 2009 in cui la Livreri parla al telefono con l'avvocato Gianni Lapis e la Livreri parlando di Massimo Ciancimino dice "qualcuno che lo farà fuori non sarà certo la mafia ma lo Stato". E ha aggiunto "lo penso anche oggi...". Il nome dell'imputato del processo, il generale Mario Mori, è stato fatto una sola volta, quando Giovanna Livreri, parlando sempre di Lapis, ha detto: "Mi parlò di Mori e De Donno solo o riferendosi alla trattativa".

Al processo a carico di Mori e Obinu ha deposto ieri anche il colonnello Massimo Giraudo che ha parlato di alcuni presunti screzi tra l'ufficiale Sergio De Caprio, il capitano dei carabinieri conosciuto come "Ultimo" che arrestò Totò Riina e l'ex generale dell'Arma Mario Mori. "Nel '96 il Capitano De Caprio mi espresse il suo disappunto sulla decisione del generale Mori di non dargli 30 uomini da impiegare nella ricerca dell'allora latitante Bernardo Provenzano. A seguito di quell'episodio i rapporti tra i due rimasero molto tesi almeno fino al 2007".
Giraudo ha ricoperto incarichi, agli ordini del generale, sia nel Ros, che al Sisde. Deponendo davanti ai magistrati Giraudo ha anche raccontato che nel '94 subi' pressioni da parte di Mori, che a sua volta sarebbe stato condizionato da altri soggetti, affinché non arrestasse un noto terrorista algerino. Al termine della deposizione il generale Mori è intervenuto per difendersi attraverso le dichiarazioni spontanee. "Reputo - ha detto Mori - Sergio De Caprio un ufficiale di superiori qualità umane e professionali" una premessa fatta dall'imputato a smentire qualunque genere di dissidio con l'ufficiale. Mori ha smentito di essersi rifiutato di dare uomini a Ultimo precisando che questo aspetto era di esclusiva competenza del comando generale.
L'ufficiale ha sostenuto che la sezione di De Caprio "poté usufruire di incrementi in uomini e mezzi superiore a tutte le altre unità del Ros". Quanto alla vicenda dell'arresto del terrorista algerino Mori ha spiegato che la sua titubanza nel procede alla cattura era determinata dall'esigenza di avere più tempo per gli adempimenti necessari per l'estradizione. "E i fatti mi diedero ragione" ha proseguito, l'algerino, infatti, venne scarcerato di lì a poco.
Il processo è stato rinviato al 24 maggio per la prosecuzione dell'esame dei testi del pubblico ministero.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa]

 

 

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05 maggio 2010
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