L'Italia delle disuguaglianze
Dal Rapporto annuale dell'Istat: nel nostro Paese è record di famiglie povere e indebitate
L'Italia è uno dei paesi europei con la maggiore disuguaglianza nella distribuzione dei redditi primari guadagnati dalle famiglie sul mercato impiegando il lavoro e investendo i risparmi.
E' quanto si legge nel Rapporto annuale dell'Istat, secondo cui "le minori opportunità di occupazione e lo svantaggio retributivo delle donne e dei giovani sono fra le cause più importanti di questa disuguaglianza".
Secondo l'Istat, "nonostante l'intervento pubblico operi una redistribuzione dei redditi di mercato di apprezzabile entità, non inferiore a quella dei paesi scandinavi, in Italia il livello di diseguaglianza rimane significativo anche dopo l'intervento pubblico. Il sistema pubblico italiano redistribuisce il reddito primario soprattutto a favore del 40% delle famiglie con redditi medio-bassi e bassi, che dopo l'intervento pubblico si ritrovano con un reddito disponibile maggiore del reddito di mercato. Vengono invece ridotti i redditi del restante 60% di famiglie, comprese quelle con redditi medi".
Cala la spesa per i consumi. La conferma arriva dal "Rapporto annuale 2014" dell'Istat, secondo cui molte famiglie che fino al 2011 avevano utilizzato i risparmi accumulati o avevano risparmiato meno l'anno successivo hanno ridotto i propri livelli di consumo per mantenere i loro standard. La contrazione dei livelli di consumo si è verificata nonostante l'ulteriore diminuzione della propensione al risparmio (pari all'11,5%) e il crescente ricorso all'indebitamento: nel 2012 le famiglie indebitate superano quota 7%. La fase di crisi economica ha mutato la struttura del reddito familiare: nel 2011, il 45,1% delle famiglie ha al suo interno un solo percettore di reddito (42,4% nel 2007), il 41,2% ne ha due e il 12,8% tre o più. Tra il 2007 e il 2011, aumenta il contributo al reddito familiare di ogni singolo pensionato, pari in media al 43% (due punti percentuali in più).
Sempre secondo il rapporto Istat, in Italia l'indicatore di povertà assoluta, stabile fino al 2011, sale di ben 2,3 punti percentuali nel 2012, attestandosi all'8% della popolazione. Secondo l’Istat "la grave deprivazione, dopo l'aumento registrato fra il 2010 e il 2012 (dal 6,9% al 14,5% della popolazione) registra un lieve miglioramento nel 2013, scendendo al 12,5%. Il "rischio di persistenza in povertà", ovvero la condizione di povertà nell'anno corrente e in almeno due degli anni precedenti, resta però nel 2012 tra i più alti d'Europa: 13,1 contro 9,7%. Si tratta, spiegano i ricercatori, di "una condizione strutturale: le famiglie maggiormente esposte continuano a essere quelle residenti nel Mezzogiorno, quelle che vivono in affitto, con figli minori, con disoccupati o in cui il principale percettore di reddito ha un basso livello professionale e di istruzione".
Il rischio di persistenza nella povertà raggiunge il 33,5% fra le famiglie monogenitori con figli minori: nel Mezzogiorno è cinque volte più elevato che nel Nord, tre volte più elevato tra gli adulti sotto i 35 anni, due volte più elevato tra i disoccupati e gli inattivi.
Disoccupati: nel 2013 3,113 milioni di persone senza lavoro Il numero dei disoccupati in Italia è raddoppiato dall'inizio della crisi. Nel 2013 i disoccupati sono arrivati a toccare quota 3 milioni 113mila unità, pari a 1 milione 421mila unità in più rispetto al 2008. La crescita dei disoccupati è proseguita anche nell'ultimo anno: al netto degli effetti stagionali, a marzo 2014 raggiunge quota 3 milioni 248mila unità.
Dall'inizio della crisi l'occupazione ha conosciuto solo il segno negativo e nell'ultimo anno il calo è stato ancora maggiore, imprimendo un'accelerata ancor più negativa. I numeri parlano chiaro: nel 2013 l'occupazione è diminuita di 478mila unità (-2,1% rispetto al 2012) e contemporaneamente il tasso di disoccupazione ha continuato a crescere, dal 10,7% del 2012 al 12,2%. Secondo quanto rilevato nel Rapporto annuale 2014 dell'Istat, dunque, il tasso di occupazione negli anni della crisi (2008-2013) scende al 55,6% nel 2013 dal 58,7% del 2008.
Nelle regioni del Mezzogiorno i numeri sono più drammatici: con un calo di 583mila occupati nel quinquennio, il tasso scende al 42% a fronte del 64,2% delle regioni settentrionali e del 59,9% di quelle del Centro. Inoltre, si legge nel rapporto, il calo dell'occupazione del Mezzogiorno è iniziato prima, è stato più intenso durante tutto il periodo della crisi e si è accentuato, rispetto al Nord, nell'ultimo anno.
I giovani sono la categoria più colpita dalla crisi: il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è cresciuto fortemente nel 2013 (+4,5 punti percentuali, toccando il 40%) e l'incidenza della disoccupazione di lunga durata (la quota di disoccupati in cerca di lavoro da più di un anno) è salita al 56,4%. La progressiva riduzione dell'occupazione giovanile rispecchia le crescenti difficoltà che incontrano i più giovani nel trovare e mantenere il lavoro. [AGI]