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L'ITALIA E' POVERA

L'allarme povertà dell'Istat: in Italia le famiglie che possono considerarsi povere sono una su sei

25 maggio 2007

L'Istituto Nazionale di Statistica ha lanciato l'allarme povertà in Italia. Nel 2005 quasi una famiglia su sei (il 14,7%) ha dichiarato di arrivare alla fine del mese con molta difficoltà, mentre quasi una su 3 (il 28,9%) non è riuscita a far fronte a una spesa imprevista anche se di importo inferiore a 600 euro. Le famiglie con spesa per consumi inferiore alla soglia di povertà, cioè povere in termini relativi, sono 2 milioni 585 mila (l'11,1% delle famiglie residenti) per un totale di poco più di 7 milioni e mezzo di persone (il 13,1%).
E' questa la situazione della popolazione italiana descritta nel Rapporto annuale 2006 dell'Istat che evidenzia anche come l'economia italiana sia in ripresa, ma ad un ritmo di crescita più lento ed incerto rispetto al resto dell'Europa.

Nel Rapporto Istat vengono registrati i tanti passi in avanti compiuti dal sistema Paese, l'aumento del Pil, della produzione industriale che si sono tradotti in un consistente aumento dei posti di lavoro, ma rileva anche i persistenti ritardi rispetto alla media e ai principali Paesi dell'Unione Europea, e i perenni dualismi che la ripresa non cancella. A cominciare da quello tra Nord e Sud, che continua a spaccare il Paese in due parti che in comune hanno ben poco.
Poi c'è il dualismo tra le imprese ''di sopravvivenza'' (un terzo del totale) e quelle che innovano e che operano con disinvoltura nel mercato. Infine quello tra gli uomini e le donne, che rimangono sempre marginali, soprattutto nel Mezzogiorno.
Di fronte a ciò è spontaneo chiedersi: ma  quella italiana è una ripresa destinata a ''tenere''?
''La tenuta e lo sviluppo delle ripresa in atto - ha sostenuto il presidente dell'Istat Luigi Biggeri - si giocano, immediatamente, sugli investimenti e sui consumi privati e, in particolare, sulla possibilità che il reddito disponibile delle famiglie torni a crescere''. Infatt, secondo Biggeri nel quadro economico italiano ''permane la vulnerabilità connessa alla condizione della finanza pubblica, pur migliorata, e in particolare al consistente stock di debito''. ''Emerge chiaramente - ha affermato inoltre Biggeri - la necessità di intervenire sul mercato del lavoro, nel settore delle famiglie e del welfare, in particolare con riferimento a gruppi specifici di popolazione che si trovano o possono trovarsi in situazioni di disagio''.

Il Nord, il Sud e l'invecchiamento della popolazione - Quasi la metà (1 milione 158 mila) delle famiglie povere ha al proprio interno almeno un componente di 65 anni. Il Mezzogiorno è l'area geografica a essere più in difficoltà. Al Sud, infatti, il 5% degli individui intervistati nel 2004 e nel 2005 ha dichiarato di non potersi permettere un'alimentazione adeguata. Nel 2004 le famiglie residenti in Italia hanno percepito in media un reddito netto, inclusi i fitti imputati delle abitazioni, di circa 2.750 euro mensili. Metà delle famiglie ha guadagnato tuttavia meno di 2.300 euro mensili (1.800 euro al mese al netto dei fitti imputati). Le famiglie per le quali il lavoro autonomo costituisce il reddito principale dispongono, in media, di un reddito maggiore rispetto alle altre. Se il reddito prevalente è una pensione o un altro trasferimento pubblico i redditi netti medio e mediano sono più bassi. Insomma, la ripresa non ha minimamente scalfito l'eterno dualismo Nord-Sud, che rimane più che mai accentuato. ''La divisione è quella che prevale sempre - ha spiegato Gian Paolo Oneto, uno dei coordinatori del Rapporto - le situazioni migliori del Mezzogiorno tendono a essere un po' peggiori rispetto a quelle peggiori del Nord''.
Sono tanti i profili di arretratezza del Meridione. Il reddito delle famiglie che abitano nel Mezzogiorno è pari a circa tre quarti del reddito delle famiglie residenti al Nord. La Lombardia presenta il reddito medio più alto (oltre 32.000 euro), la Sicilia il più basso (quasi 21.000 euro).

L'occupazione cresce, ma non al Sud. ''Il mercato del lavoro italiano ha riflesso, nel 2006, il buon andamento dell'attività produttiva'', sottolinea l'Istat. E infatti gli occupati sono aumentati dell'1,9 per cento, il tasso di disoccupazione è sceso al 6,8 per cento dal 7,7 del 2005. Ma anche sotto il profilo dell'occupazione il Sud è rimasto indietro: il tasso di occupazione delle due ripartizioni settentrionali (Nord-Est e Nord-Ovest) nel 2005 era dell'ordine del 50-51 per cento, quello del Centro del 47 per cento, mentre per Sud e Isole si registrava un valore vicino al 37 per cento (i dati analoghi per il 2006 non sono ancora disponibili).
Le situazioni peggiori di sottoccupazione sono state rilevate in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Le difficoltà del Sud probabilmente incidono anche sulla distribuzione degli immigrati, che prediligono decisamente il Centro-Nord. ''Poco meno dei due terzi dell'occupazione straniera - si legge infatti nel Rapporto - si concentra nel Nord, un quarto nel centro e poco più del 10 per cento nel Mezzogiorno''.
C'è poi l'occupazione femminile che al Sud si è sviluppata pochissimo in questi anni di crescita dei posti di lavoro in tutto il Paese: infatti il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno nel 2006 è risultato pari a circa il 31 per cento, inferiore di oltre 15 punti percentuali rispetto al resto del Paese. In 10 anni, dal '96 al 2006, è aumentato di soli cinque punti percentuali, a fronte di un aumento medio di dieci punti nel Centro-Nord: il divario nel tempo è dunque aumentato. Il progressivo ritiro delle donne meridionali dal mercato del lavoro è tra le cause di riduzione del tasso di disoccupazione. Anche i tassi di occupazione giovanile al Sud sono estremamente bassi: ''I giovani che al Nord non arrivano al diploma entrano nel mercato del lavoro - ha spiegato ancora Oneto - al Sud ne rimangono fuori, in una situazione di marginalità''.

Il Sud presenta infine forti elementi di arretratezza anche sotto il profilo delle imprese: nel Mezzogiorno si concentra, infatti, il 43 per cento delle aziende che l'Istat definisce ''di sopravvivenza'', che cioè si limitano a cercare di produrre un reddito adeguato senza guardare a orizzonti lontani. Imprese che in Italia sono comunque il 35 per cento del totale, pari a un milione e mezzo su quattro milioni e due.

C'è poi, come accennavamo poc'anzi, l'altro forte elemento di criticità che riguarda però omogeneamente l'intero Paese: l'invecchiamento della popolazione e l'elevato numero di pensionati. Nel 2005 sono stati rilevati 71 pensionati ogni 100 occupati. L'Italia rimane il Paese più vecchio d'Europa, con 141 persone di 65 anni e oltre per ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Nel mondo ci supera solo il Giappone (154 anziani ogni 100 giovani). Di conseguenza, l'Italia, in confronto con gli altri Paesi dell'Ue15, impegna la quota maggiore della ricchezza nazionale per le prestazioni e i trasferimenti monetari a favore degli anziani; ''minori risorse - rileva l'Istat - invece sono destinate alle politiche per le famiglie, l'occupazione e per gli interventi di contrasto all'esclusione sociale''.
Sempre nel 2005 l'importo complessivo annuo delle prestazioni pensionistiche, previdenziali e assistenziali erogate in Italia è stata di oltre 215 miliardi di euro, pari al 15,2 per cento del Pil (+0,2 per cento rispetto al 2004). L'importo pensionistico è cresciuto del 3,3 per cento rispetto ai 208 miliardi del 2004.

- Rapporto Istat 2006 (PDF)

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25 maggio 2007
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