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L'Italia nel mirino del terrore

''Abbiamo con l'Italia un conto aperto di cui Berlusconi non ha ancora pagato il prezzo''

12 luglio 2005

Con il 7 luglio londinese i paesi presenti nella ''lista nera'' dei terroristi hanno preso ulteriore coscienza del grave pericolo che corrono. Fino ad ora i gruppi di estremisti islamici, legati in qualche maniera ad Al Qaeda, hanno rispettato puntualmente il terribile calendario di stragi sempre annunciato in precedenza, e il modus operandi dietro ogni nuovo attacco si è rivelato sempre più ben organizzato, segno che la vita dei gruppi terroristici si è sempre più rafforzata e che la battaglia combattuta dall'Occidente/Bene contro il Medioriente/Male non ha sortito alcun effetto promesso dalla ''Grande Coalizione Democratica''.
Il terrorismo islamico è vivo e vegeto, e che Osama Bin Laden sia ancora vivo o sia morto chissà quando non fa nessuna differenza, la Jihad continua e non si fermerà fino a quando l'ultimo infedele non toglierà le mani dai territori di Allah.   

''L'Italia è certamente un potenziale obiettivo del terrorismo, al pari della quasi totalità dei paesi della Comunità internazionale. Il terrorismo ha dimostrato di colpire in quasi ogni località del mondo e il governo italiano è consapevole del rischio che anche il nostro Paese corre, ma ha messo in atto tutte le misure necessarie per prevenire e individuare eventuali minacce di attacchi terroristici''.
Sono state queste le affermazioni di ieri del ministro degli Esteri, Gianfranco Fini, nella conferenza stampa al termine dell'incontro con il collega tedesco Fischer.
Dopo l'ultimo attacco terroristico a Londra, il governo italiano sa bene che l'Italia può essere uno dei prossimi obiettivi. Tuttavia, ha spiegato il ministro degli esteri Fini, ''non c'è motivo per allarmismi particolari, ma nemmeno per non agire con determinazione e convinzione. In questo ambito resta indispensabile la collaborazione e la cooperazione internazionali''.
E che la consapevolezza di essere nel mirino del terrorismo non sia nuova per il Governo italiano è cosa risaputa da tempo, ma l'animo degli europei tutti e in particolar modo degli italiani dopo l'attacco di Londra sembra essere diventato ancora più cosciente.
Sembra, insomma, inevitabile pensare che i prossimi ad essere colpiti saremo noi. 

''Ingiungiamo al governo italiano e a quello danese di ritirare le truppe dall'Iraq e dall'Afghanistan, se non vogliono avere la stessa punizione toccata al popolo britannico che è stato più volte ammonito. Abbiamo un conto aperto di cui Berlusconi non ha ancora pagato il prezzo'', sono queste le parole che Lewsi Atiyallah, sigla dietro la quale si celerebbe un esponente saudita di Al Qaeda, minaccia il nostro paese nella prima rivendicazione apparsa su internet a poche ore dagli attentati di Londra.
''Quando i mujahidin hanno rapito i 4 italiani (Quattrocchi, Cupertino, Agliana, Stefio, ndr) - c'era scritto l'altro nel comunicato - tra le loro richieste c'era quella che Berlusconi dovesse scusarsi per le sue violazioni contro i diritti dell'Islam e dei musulmani. Questo è un vecchio conto di cui Berlusconi non ha ancora pagato il prezzo: in quell'occasione gli iracheni hanno deciso di parlare a nome dell'Islam e dei musulmani per far pagare a Berlusconi il dovuto per il sangue dei loro figli fatto versare dagli italiani. Questo è un esempio per capire come la guerra storica e la situazione irachena farà pagare molti conti''.

Non è la prima minaccia nei confronti di Berlusconi e dell'Italia, già nel 1998 lo sceicco Omar Bakri Mohamed, portavoce di Osama Bin Laden, proprio da Londra aveva dichiarato: ''L'Islam vincerà solo dopo aver conquistato Roma. Molti combattenti hanno l'obiettivo di convertirla all'Islam. Parecchi di loro adesso vivono lì''. E ancora, immediatamente dopo la strage di Madrid, le brigate Abu Hafs al-Masri cominciarono una fitta campagna mediatica di minacce che aveva per oggetto Roma: ''Questo è l'ultimo nostro avvertimento alla nazione italiana. O vi liberate di Berlusconi o incendieremo l'intera nazione'', annunciarono via internet nel luglio 2004.
Ma questa, l'ennesima, lanciata subito dopo il 7 luglio londinese, non fa che rafforzare un timore che attraversa la mente dei politici, della gente comune, degli esperti dei servizi segreti e delle forze di polizia: la prossima volta toccherà all'Italia.

L'estremismo islamico, dopo aver colpito per primo il proprio nemico numero uno, gli Stati Uniti (che non ha vinto la guerra contro il terrorismo in Iraq e dove continua quotidianamente a contare vittime), ha preso di mira i suoi alleati. Prima il Nuovo ora il Vecchio Continente, verso una escalation della quale non si riesce a vedere la conclusione.
Colpire la Spagna di Aznar alla vigilia delle elezioni nel marzo 2004 ha portato a un immediato cambio di governo e al ritiro dall'Iraq. Colpire l'Inghilterra di Tony Blair, poco più di un anno dopo, all'apertura del G8 e all'indomani dell'assegnazione delle Olimpiadi del 2012 a Londra mira a indebolire un leader che gode di grande favori sia in politica interna (è stato eletto per la terza volta) sia a livello internazionale (con il carisma pro Africa e la posizione vincente nell'ambito dell'Unione Europea).
Delle grandi nazioni europee resta da colpire Roma e il suo attuale governo, amico fedele dell'America di Bush, che si trova in Iraq con un contingente di oltre 3 mila uomini (ben più dei 500 soldati danesi), e che in Afghanistan dal 1° luglio scorso ha assunto il comando di Isaf, la missione Nato. 
Tra l'altro l'Italia e gli italiani, a fronte di un probabile attacco terroristico, non hanno nemmeno bisogno di temere qualche data simbolica, una riunione internazionale o una festa religiosa in particolare (che pure da quattro anni a questa parte sono segnate con il bollino rosso sui calendari degli 007 italiani). L'Italia è per sua natura la terra dei simboli: dal Vaticano, culla della cristianità, al Colosseo, simbolo della cultura occidentale e dell'Impero romano che dominò il mondo arabo. Senza contare che le ultime stragi hanno dimostrato quanto Al Qaeda, al di là dei simboli, voglia spargere terrore tra la gente comune.

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12 luglio 2005
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