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L'Italia risponde all' ''amica'' Libia

Il vicepremier Fini: ''Le parole di Gheddafi sono solo un'arringa comiziale rivolta ai suoi fedelissimi''

04 marzo 2006

Prima di rilasciare qualsiasi affermazione e proferire il benché minimo commento, il ministero degli Esteri italiano ha prima voluto analizzare esattamente ogni parola contenuta nel discorso che il Colonnello Muhammar el Gheddafi ha fatto alla televisione di Stato libica due giorni fa (leggi), e nel quale rivelava le vere intenzioni dei manifestanti di Bengasi, scesi a protestare violentemente, lo scorso 17 febbraio, davanti al consolato italiano: i manifestanti volevano uccidere l'ambasciatore italiano insieme a tutta la sua famiglia. Una protesta, ha detto ancora il dittatore libico, dettata da una rabbia contro l'Italia che affonda le sua radici nel lontano 1911, anno della colonizzazione italiana in Libia, e che si infiamma ad ogni occasione, l'ultima delle quali data dal comportamento, sicuramente negativo, dell'ex ministro leghista, Roberto Calderoli, colpevole di aver assunto, con lo sfoggio in televisione della maglietta anti Maometto, un atteggiamento irresponsabile ed offensivo nei confronti della popolazione musulmana.
Inoltre, ha detto Gheddafi, non si può escludere la possibilità di altri attacchi nei confronti degli italiani, visto che questi sono governati da persone che non mantengono la parola data, e qui il riferimento è al mancato risarcimento che l'Italia avrebbe dovuto alla Libia per le sofferenze arrecate con il colonialismo all'inizio del secolo scorso.

Analizzato il testo del discorso, la risposta della Farnesina è arrivata con le parole del vicepremier Gianfranco Fini. ''Le parole del Colonnello Muhammar Gheddafi - ha detto - non devono impressionare più di tanto, perché è chiaro che si tratta più di un'arringa comiziale ai suoi fedelissimi che di una responsabile presa di posizione in campo internazionale''. ''Per quanto riguarda i rapporti tra Italia e Libia - ha spiegato Fini - la posizione dell'Italia rimane quella enunciata in Parlamento e chiaramente indicata nella dichiarazione approvata dal Consiglio dei Ministri del 23 febbraio, nella quale veniva testualmente data priorità assoluta alla duplice esigenza di chiudere definitivamente il capitolo storico del passato coloniale, anche con misure altamente significative, oltre a quelle già eseguite o in corso di esecuzione, da concordare con la parte libica, che dia il segno dell'amicizia tra i due popoli, rinnovando nel contempo l'invito alle autorità libiche a dare seguito completo agli impegni sottoscritti, in particolare ai fini della concessione senza discriminazioni dei visti ai profughi italiani''.
Inoltre, ha proseguito Fini citando ancora la dichiarazione del Consiglio dei Ministri, bisogna ''continuare a ricercare con la parte libica una soluzione accettabile del contenzioso economico sui crediti che vantano le aziende italiane, rappresentando nel contempo la necessità che si ponga termine alle limitazioni tuttora vigenti sul piano normativo e pratico in Libia a danno delle aziende italiane'', e su questa strada, spiega, ''il governo intende proseguire''.
''È di tutta evidenza - ha poi concluso il comunicato del ministro degli Esteri - che l'impegno deve essere reciproco e che nessun aiuto viene in questa direzione dalle ultime parole del Colonnello Gheddafi''.

Il discorso fermo, ma di mediazione, che il vicepremier ha rivolto alla Libia non ha però soddisfatto l'ex tenutario del Dicastero delle Riforme Roberto Calderoli, che dopo essersi dimesso da ministro, può sfoggiare tutte le magliette xenofobe che preferisce e senza temere freni attacca chi vuole utilizzando con maggior vigore la sua consueta verbalità violenta ed estremista.
''Mi hanno dato del pazzo, mi hanno dato del buffone, mi hanno dato dell'irresponsabile, mi hanno minacciato di morte, hanno messo sulla mia testa una taglia superiore ai dieci milioni di dollari e la magistratura mi ha inquisito: ho subito tutto questo in silenzio e ho rassegnato le dimissioni da ministro. Le dichiarazioni di Gheddafi, però, oltre a rappresentare l'ennesima minaccia nei confronti del nostro paese e della nostra sicurezza, e l'ennesimo ricatto, testimoniano che la vicenda delle magliette non c'entra nulla con l'attacco al nostro consolato a Bengasi, visto che, per ammissione dello stesso Gheddafi, il suo popolo non sa neppure cosa sia la Danimarca''.
Così in una nota Roberto Calderoli, adesso Coordinatore delle Segreterie Nazionali della Lega Nord, è tornato sulla vicenda. Secondo Calderoli ''ne consegue che le accuse che sono state rivolte a me, e alla Lega, sono state strumentali e non si è esitato neppure a strumentalizzare i morti per scaricare il barile o per guadagnare qualche consenso elettorale''. ''Oggi esigo le scuse ufficiali nei miei confronti, nei confronti della Lega - ha affermato ancora nella nota Calderoli - e nei confronti di quelle persone la cui morte è stata strumentalizzata, da parte di chi, nell'immediato e nei giorni successivi, ha diffuso notizie false, sapendo di mentire. In questa vicenda l'unico che si è comportato con senso di responsabilità verso il paese, verso i propri connazionali e i nostri valori è stato il sottoscritto''.

Contro le ultime posizioni prese dal Colonnello Gheddafi, nella Cdl c'è stata compattezza. Nella maggioranza anche Pier Ferdinando Casini ha stigmatizzato le parole del dittatore: ''Naturalmente, non vogliamo alimentare polemiche - ha spiegato il presidente della Camera - ma non pensiamo neanche che Gheddafi voglia essere candidato alle elezioni italiane. Non c'è bisogno che interferisca nella campagna elettorale italiana, anche perché ho il dubbio che non tifi per noi''. Laconica la considerazione del ministro della Giustizia Castelli: ''Quel che ha detto Gheddafi rende giustizia a Calderoli''. Sul fronte opposto, è stato Massimo D'Alema a illustrare la versione dei Ds: ''Non si può accettare il linguaggio della minaccia''.

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04 marzo 2006
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