L'olivicoltura del Futuro: Identità, aggregazione, qualità, mercato
La Sicilia dell'olio d'oliva deve attrezzarsi per porsi come competitor internazionale e affrontare i mercati di altri paesi
La Sicilia con i suoi 160 mila ettari di superficie olivicola, di cui 19,4% coltivato in biologico, 350 tipi di cultivar autoctone, 6 DOP, quasi 140 mila aziende di olio e 240 milioni di euro fatturato può certamente dire la sua in termini di numeri e qualità del prodotto, ma deve attrezzarsi per porsi come competitor internazionale e affrontare i mercati di altri paesi, come Spagna, in primis, ma anche Tunisia, Grecia e perfino l'emergente Cile.
Per il presidente della società cooperativa APO-CIA Giosuè Catania, che nel capoluogo etneo ha organizzato il convegno che si è tenuto in questi giorni e intitolato "L'olivicoltura del Futuro: Identità, aggregazione, qualità, mercato, non ci sono dubbi": "Il nostro obiettivo è quello di poter costruire una grande Organizzazione di Prodotto (OP) - ha sottolineato nella sua relazione introduttiva - che abbia valenza Regionale, rappresenti i bisogni del territorio e della filiera in modo unitario e guardi con attenzione ad un mercato di qualità, dove i produttori organizzati si possano rivedere". E questo perché, il comparto si trova a fare i conti con una frammentazione aziendale e un individualismo diffuso di aziende e produttori, "atteggiamenti da cambiare" anche per il vice presidente regionale della CIA, Giuseppe Di Silvestro, per il quale le nuove sfide vanno declinate con le parole aggregazione e qualità. "Incrementare le superfici olivicole stimolando politiche di investimenti adeguate, nonostante le insufficienze del Piano Olivicolo Nazionale e del PSR - ha aggiunto il presidente Catania - deve diventare una delle priorità per cambiare il volto del nostro comparto e renderlo attrattivo soprattutto per le giovani imprese".
E se la Sicilia, assieme a Puglia e Calabria è la regione più vocata, grazie al clima e terreno che conferiscono al prodotto proprietà organolettiche di altissima qualità, è l'Italia tutta a giocarsi una partita importante nel panorama europeo, piazzandosi come secondo Paese produttore di olio di oliva.
A tracciare un quadro nazionale sono stati i relatori del convegno Tiziana Sarnari (ISMEA), Maurizio Servilli, docente Università Perugia, Pierpaolo Iannone, coordinatore nazionale progetto CE611/615/2014, Benedetto Fracchiola, presidente Finoliva Global Service spa, Pino Occhipinti, responsabile regionale Agroalimentare Lega coop, Gennaro Sicolo, presidente nazionale CNO.
C'è da fare i conti, poi, con l'anno nero, il 2016 che ha ridotto drasticamente la produzione di olio, 200 mila tonnellate in Italia (- 63 % rispetto alla campagna 2015/2016) e 17.595 (- 52 %) Sicilia, che ha messo in crisi l'intero settore, pur se i prezzi non sono diminuiti. Ma c'è anche da cogliere alcune importanti opportunità: fra tutte, quella che il Bel Paese, continua ad essere un gran consumatore di olio di oliva. Sarà per via della dieta mediterranea e di una certa cultura delle materie prime, fatto sta che il consumo pro/capite nazionale si attesta sui11 chili di olio, con un fabbisogno complessivo che raggiunge circa 600 mila tonnellate. "Ciò rende il nostro Paese non autosufficiente, considerando anche la quota destinata all'esportazione (circa 400 mila tonnellate) - continua Giosuè Catania - Quindi, c'è spazio per invertire le politiche di settore ed investire con convinzione per la ristrutturazione di un'olivicoltura che incrementi le superfici, aumenti i volumi dell'imbottigliato, punti su una compiuta strategia comunicativa, garantisca il reddito agli operatori della filiera valorizzando il binomio qualità dei prodotti/qualità del territorio per rappresentare l'orgoglio dell'eccellenza Italiana e Siciliana".
La Sicilia ha le carte in regola per garantire l'identità di un prodotto legato al territorio di origine, la produzione olearia siciliana si propone al consumatore con una varietà di oli di grande diversità organolettica (21 milioni di piante, terzo posto dopo Puglia e Calabria) che prende spunto da un ricco patrimonio varietale e da condizioni territoriali diverse tra di loro, che conferiscono al palato del consumatore tutti i tipici profumi dei prodotti di questa terra. Le sei DOP (Monte Etna, Monti Iblei, Val di Mazara, Valdemone, Valle del Belice, Valli trapanesi) e una DOP olive da tavola raggiugono oggi di circa il 4 % della nicchia di mercato delle DOP con un fatturato di 7,5 milioni di Euro.