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L'ultima offesa alla speranza

Sono tante le donne che vengono violentate durante i viaggi attrevarso il Canale di Sicilia

02 agosto 2008

Sovente subiscono violenze sessuali le donne che affrontano i viaggi della speranza che dai paesi del Corno d'Africa di cui sono originarie, fuggono per approdare in Italia. E' un tragitto costellato di abusi da parte degli uomini che gestiscono la tratta di esseri umani e organizzano le traversate, prima via terra, nel deserto del Sudan, poi nel Canale di Sicilia a bordo di imbarcazioni di fortuna.
A Lampedusa negli ultimi due anni l'80% delle donne sbarcate sono state vittime di violenze sessuali e alcune volte sono anche rimaste incinta.

"Una notte sono arrivati due uomini nella casa abbandonata al confine fra la Libia e la Tunisia in cui ci avevano fatto sistemare in attesa di partire per il mare. Eravamo una quarantina e queste persone che indossavano una divisa mi hanno preso e portata via con la forza. Sono stata condotta in una casa disabitata dove hanno iniziato a violentarmi".
E' il racconto che Blessing, una ragazza di 18 anni, eritrea, ha fatto durante la sua permanenza nel Centro di prima accoglienza di Lampedusa.
"Quando mi hanno liberata e sono tornata nel gruppo - ha raccontato ancora Blessing - sono stata accolta da altre due donne che mi hanno stretta fra le loro braccia e con l'espressione del volto mi hanno fatto capire che anche loro avevano subito la mia stessa sorte".
Ed è per questo motivo che gran parte delle donne che arrivano sull'isola sono costrette a ricorrere alle visite mediche al poliambulatorio di Lampedusa, dove vengono riscontrate, anche su ragazze di 15 e 16 anni, violenze sessuali con lacerazioni evidenti.

Il lungo e faticoso viaggio per raggiungere la costa libica lo racconta Fatia, una diciassettenne somala, anche lei vittima di abusi...
"Siamo partiti dal mio paese a piedi - ricorda la ragazza - eravamo un gruppo di cinquanta persone. Abbiamo attraversato il deserto del Sudan. E proprio qui, gli uomini che guidavano la spedizione, ci hanno chiesto di avere altre somme di denaro per proseguire il viaggio, che già avevamo pagato anticipatamente, altrimenti dicevano che ci avrebbero lasciato morire nel deserto. Alcuni di noi avevano da parte qualcosa e abbiamo pagato, altri non hanno potuto, e qualche donna che non aveva somme di denaro è stata violentata, pur di poter proseguire il viaggio".

Le vittime di queste atrocità parlano di violenze di gruppo subite anche per giorni e giorni durante i tragitti o in attesa di essere imbarcate sulla prima "carretta" del mare. Nessuna di queste ragazze vuole però denunciare per paura di ritorsioni che possono subire i familiari rimasti nel paese d'origine. Ma a volte le lacerazioni sono evidenti, com'è accaduto pochi mesi fa, a un'altra ragazzina somala violentata utilizzando una bottiglia di vetro che si era rotta provocandole tagli.
Dunque, non tutte le donne violentate parlano. Qualcuna vuole annullare dalla propria mente quei brutti ricordi, ma non può farlo perchè porta in grembo il frutto di quella violenza e allora sceglie di sfogarsi confidandosi con medici e volontari del centro. Un modo per tentare di dimenticare.
E quando queste donne non lo fanno, a volte sono i mariti che si rivolgono alle volontarie per chiedere aiuto. E in questi casi sono loro, gli uomini, che raccontano quelle drammatiche scene che "persone in divisa", in Libia, hanno fatto sotto i loro occhi. 

Fonte: La Siciliaweb.it

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02 agosto 2008
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