L'ultimo attentato
Gaspare Spatuzza al processo Mori e Obinu,: "La strage all'Olimpico come colpo di grazia"
"Graviano mi disse che avevamo chiuso tutto e ottenuto quello che cercavamo grazie alla serietà di certe persone come Berlusconi e e di un nostro compaesano, Dell'Utri".
L'incontro tra Gaspare Spatuzza e il boss Giuseppe Graviano a Roma, a gennaio del '94, è entrato nel processo al generale dei carabinieri Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, imputati di favoreggiamento alla mafia. A raccontare di quando il boss di Brancaccio disse di "avere il Paese nelle mani" è stato proprio Spatuzza che dal 2008 collabora con la giustizia. Un episodio raccontato dallo stesso collaboratore in diversi processi di mafia, tra cui quello a carico di Marcello Dell’Utri. Graviano, a un certo punto avrebbe parlato a Spatuzza dell'ex premier: "Io dissi: chi è? quello di Canale 5? e Graviano mi rimproverò perché non lo conoscevo".
Sempre in quell'occasione Graviano disse al suo fedelissimo che nonostante "avessero chiuso il discorso, serviva il colpo di grazia" che doveva essere l'attentato ai carabinieri allo stadio Olimpico, poi fallito.
"Io, parlando delle stragi di Firenze, Roma e Milano - ha detto Gaspare Spatuzza - dissi a Graviano che ci stavamo portando dietro una serie di morti che non ci appartenevano e lui mi rassicurò aggiungendo che capiva di politica e che era bene che ci portavamo dietro questi morti così chi doveva capire si dava una mossa. Aggiunse che se la cosa fosse andata a buon fine ne avremmo avuto vantaggi tutti. Soprattutto i carcerati".
"L'obiettivo da abbattere - ha spiegato il pentito - erano i carabinieri". Prima della pianificazione dell'attentato a Roma, Cosa nostra aveva pensato a una strage alle Torri di via del Fante a Palermo dove sono ospitati esponenti delle forze dell'ordine. Anche in quell'occasione, poi non portata a termine, il fine era l'eliminazione di militari dell'Arma. Ma il piano rimase allo stato embrionale.
"Nell'attentato all'Olimpico si verificano molte anomalie: ad esempio l'intervento di Graviano che ci disse di aumentare la portata dell'esplosivo e di aspettare un suo input, che sarebbe scattato quando lui fosse stato a Roma, prima di dare il via alla cosa". Assemblato l'esplosivo il gruppo di fuoco va a Roma. "Scegliemmo l'Olimpico perché lì avremmo trovato più carabinieri - ha aggiunto - Pensavamo a 100-150 militari". "Noi partimmo genericamente con un attentato ai carabinieri, poi strada facendo qualcosa modificò i piani e si pensò ad aumentare la portata della strage. Parcheggiammo l'auto imbottita di esplosivo in una stradina laterale all'Olimpico - ha proseguito Spatuzza - Benigno azionò il tritolo e aspettammo l'orario di uscita dallo stadio al termine della partita. Attendemmo che passasse il primo pullman dei carabinieri. Quando accadde Benigno spinse il tasto del telecomando, ma non accadde nulla". "A quel punto - ha raccontato - gli dissi di bloccare tutto perché avevamo fallito la missione, lui continuava a schiacciare e io lo bloccai perché a quel punto se fosse esploso avremmo fatto una carneficina. La macchina - ha detto - venne prelevata e disinnescata". "Quando tornai a Palermo comunicai a Grigoli cosa era accaduto - ha spiegato - e attendemmo Graviano per capire cosa fare, ma lui fu arrestato a fine gennaio".
"Graviano le disse mai perchè voleva colpire proprio i carabinieri?", ha chiesto il pm. "No", ha risposto il teste, che ha anche negato di avere mai parlato di trattativa col capomafia. "Però - ha aggiunto - mentre l'attentato al commissariato di Brancaccio, poi mai portato a termine, era legato a un astio personale di Graviano, quello ai carabinieri lo collego a quanto mi disse e cioè che dalla strage avremmo avuto tutti un vantaggio".
Spatuzza, che ha anche raccontato il suo cammino religioso e morale verso la dissociazione dalla mafia, ha parlato dell'intenso rapporto coi boss Giuseppe e Filippo Graviano ai quali - ha detto - continua ad essere legato pur contestando la loro scelta di restare in Cosa nostra.
"Ho avuto il mio primo colloquio investigativo in carcere con il Procuratore antimafia Vigna nel 1997, poi nel 2008 incontrai anche l’attuale Procuratore antimafia Pietro Grasso. Mi sono dissociato, anche se non pubblicamente, da Cosa nostra nel 2008. Lo dissi anche ai Graviano che non volevo sapere più niente di Cosa nostra durante la comune detenzione al carcere di Tolmezzo. Nel mio cuore c’è tuttora una fratellanza con la famiglia Graviano, anche se loro hanno fatto delle scelte eversive".
Rispondendo ai pm Antonino Di Matteo e Lia Sava, il collaboratore di giustizia ha poi ripercorso il suo curriculum criminale, dall’affiliazione "avvenuta alla presenza di Matteo Messina Denaro e Giovanni Brusca" alla sua scelta di convertirsi alla fede: "E’ iniziato un percoso di ravvedimento, che mi ha portato a passare da Cosa nostra alla parte dello Stato". E ha sostenuto di essere stato spinto dai "motivi religiosi". "Mi sentivo parte integrante della legalità, seppure assassino e ergastolano. Stavo però scontando la mia pena e mi sentivo a posto. Studiavo teologia".
Riguardo alle stragi del'92, Spatuzza ha detto che la cosca di Brancaccio lavorava per l'esplosivo in via D'Amelio prima che avvenisse l'attentato di Capaci. "Il gruppo di Brancaccio era operativo prima di Capaci - ha affermato - e io ero in movimento per recuperare esplosivo e macinarlo. Quando la strage di Capaci avviene, io stavo maneggiando esplosivo, ma non mi era stato detto che la preparazione era per via D'Amelio. L'unico dato l'ho avuto quando ho portato la 126 nei pressi del don Orione, il 18 luglio 1992, in un magazzino, senza sapere che fosse Borsellino l'obiettivo".
[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliaweb.it, Repubblica.it, Corriere.it]