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L'ultimo padrino

Mentre c'è chi teme che la fiction a lui dedicata possa rinvigorire il suo mito, Provenzano in carcere si sente triste e abbandonato

12 gennaio 2008

Realtà e fiction, finzione e reality... Domani e lunedì Canale 5 manderà in onda la miniserie intitolata ''L'ultimo padrino'' dedicata alla cattura di Bernardo Provenzano. Medisaet continua, insomma, con la politica commerciale delle ''instant fiction'' e dopo la serie dedicata a Totò Riina, ''Il capo dei capi'', segnata da grandi ascolti e grandi polemiche, è pronta ad immergersi in una nuova articolata discussione che tocca temi complessi quali ''il ruolo educativo che la televisione deve avere nei confronti della coscienza popolare e in particolare con quella dei più giovani''.

Per i detrattori di questa tipologia di fiction il problema rimane sempre lo stesso, ossia l'effetto emulativo, e quindi negativo, che queste possono scatenare nelle coscienze dei telespettatori più giovani, che confusi dall'impasto tra reale e immaginario - tipico della televisione -, potrebbero ritrovarsi a non compredere quale sia l'atavica linea di confine che divide il Bene dal Male.
Ecco, il Bene e il Male confusi nell'interpretazione di una realtà forse troppo complessa. I due opposti per eccellenza che non si riescono a distinguere ottimalmente se il Provenzano interpretato da Michele Placido appare quasi come (eccellente la definizione di Alessandra Vitali di Repubblica) ''un Padre Pio di Cosa nostra'', un latitante devoto convito di ''stare dalla parte giusta'', un vecchietto sofferente e mite che nascosto dentro tuguri d'altri tempi mangia cicoria e ricottina scrivendo foglietti sgrammaticati e misteriosi.
''Ma la gente capirà che il personaggio positivo della fiction è l'uomo che lo cattura, perché sa che dietro la 'tenera' immagine del boss vi è un criminale che ha ammazzato un sacco di gente'', tengono a precisare i produttori de ''L'ultimo padrino'' (quelli della Taodue, gli stessi de ''Il capo dei capi'') incontrando la stampa e volendo rispondere alla polemica già lanciata dal ministro della Giustizia, Clemente Mastella, che a Tv Sorrisi e Canzoni ha affidato il suo giudizio sulle fiction che parlano di mafia: "Sono contrario, non trovo giusto che figure negative come Totò Riina prima e Bernardo Provenzano ora, vengano elevate a mito. Il rischio è l'effetto emulativo e non giova ai giovani. Ma la fiction è già stata girata e non mi resta che vederla".      

Ma ''L'ultimo padrino'', diretto da Marco Risi (regista di ''Mery per sempre'', anche questo interpretato da Michele Placido), non è "la storia" di Provenzano, ma quella degli uomini che lo hanno trovato. "Mi interessava il confronto psicologico fra due solitudini", ha spiegato Risi, quella del boss e quella del vicequestore che gli dà la caccia, Roberto Sanna, ispirato alla figura del dirigente dello Sco Renato Cortese. Le polemiche sul rischio emulazione "mi lasciano interdetto - ha detto ancora Risi - volevamo mostrare in che modo il Male può avvicinarsi al Bene. Penso al rapporto di Provenzano con la Bibbia, al suo lavoro, che dal suo punto di vista è sempre stato quello di mettere pace. Come disse al momento della cattura, 'non sapete cosa state facendo': lui era decisivo nella stabilità di Cosa nostra. Noi raccontiamo di un vicequestore, uno che sta 'sotto', quei giovani ai quali bisognerebbe dare opportunità. Mica è Mastella, che lo cattura. E' un nessuno".
Per quanto rigurada l'aura mistica profusa dal personaggio Provenzano, Michele Placido ha sostenuto di ravvisare in questa "analogie fra Provenzano e Padre Pio. Poi uno è andato verso il Male e l'altro verso il Bene. E' come se il boss abbia fatto un ritiro spirituale di venticinque anni - osserva l'attore - che gli ha permesso di perfezionare la sua intelligenza, superiore a quella di almeno il cinquanta per cento dei nostri parlamentari, e di tenere in scacco politici, magistrati, poliziotti. Un fascino sinistro ma attenzione - precisa Placido - perché resta un criminale". Mah...

Comunque, dietro al filtro della finzione rimane la reale realtà, che può assumere dei toni veramente più ''meraviglianti'' dell'immaginazione. Al di la del Provenzano recitato c'è quello vero rinchiuso nel carcere di Novara e per il quale la Giustizia non ha nessun occhio benevolo, né tanto meno la voglia di rappresentare complesse trame interprattive. Nella realtà per Bernardo Provenzano si è aggravato il regime di carcere duro. Il provvedimento con il quale viene applicato il 14 bis, che si somma al 41 bis dell'ordinamento penitenziario è stato decretato dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria su proposta della Direzione generale dei detenuti. Questo inesprimento di pena, si legge nel provvedimento, ha come scopo "quello di impedire le comunicazioni con l'esterno".
Il provvedimento è stato deciso in seguito ad attività di analisi e indagini che ha avuto anche il nullaosta di varie Procure in cui Bernardo Provenzano è imputato. Il 14 bis, che inasprisce il 41 bis, nei mesi scorsi è già stato applicato al boss mafioso Leoluca Bagarella e al capomafia trapanese Andrea Manciaracina. Il provvedimento verrà applicato per sei mesi.

Secondo gli inquirenti, il padrino "intrattiene inquietanti contatti epistolari con un calabrese, tale Bonavota, dal quale ha ricevuto a più riprese messaggi, fermati con la censura, e dal quale recentemente è stato trasmesso un pacco con l'intenzione che fosse consegnato" a Provenzano.
Altri tentativi di contattare il boss sono arrivati anche da un altro personaggio su cui sono in corso indagini. Questi elementi, si legge nel provvedimento del Dap, "appaiono rilevanti anche sotto un diverso profilo, che attiene al ruolo ed al riconoscimento di capo che allo stesso si verrebbe a riconoscere pur nello stato di detenzione a seguito della sfrontata intenzione di continuare a comunicare con l'esterno, e che può costituire motivo di allarme in sè per l'ordine e la sicurezza interna dell'istituto. Non può infatti garantirsi alcuna condizione di controllo della struttura penitenziaria, se all'interno qualcuno continui a comportarsi da capo mafia ovvero tale possa essere considerato dagli altri detenuti, dal personale di polizia, dai funzionari e dagli impiegati civili".
Provenzano, si legge ancora nel provvedimento, "ha provveduto a redigere in carcere appunti volanti", e poi, "ha effettuato sottolineature sui testi a contenuto religioso (una Bibbia ed un libro di preghiere) la cui disponibilità gli era stata assicurata nel rispetto dei diritti fondamentali".
Per il Dap, il vecchio padrino "ha dunque eluso la funzione di trattamento, perseverando in censurabili condotte che appaiono in perfetta continuità con il ruolo di leader dell'organizzazione mafiosa".

Il vecchio mite padrino, sicuro di essere sempre stato dalla parte del bene, dunque, è ancora pericoloso, e senza avere minimamente il pensiero di pentirsi, rimane convinto di quanto sia stata sbagliata la sua cattura. Con il proprio difensore, l'avvocato Franco Marasà, si è inoltre lamentato per il proprio stato di salute, e in un messaggio gli ha scritto pateticamente: "Mi sento come abbandonato dai medici". Lo scorso ottobre  il capomafia è stato sottoposto ad intervento chirurgico alla tiroide in una clinica di Milano, e attraverso il proprio difensore sostiene di non ricevere le giuste cure mediche.
Poveraccio, abituato com'era a farsi curare in cliniche estere o da medici personali fatti poi sparire o malamente ammazzati perché... avevano visto troppo.

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12 gennaio 2008
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