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L'ultimo pentito

Il neo collaboratore Stefano Lo Verso racconta che la mafia voleva uccidere il pm Di Matteo e ilsenatore Lumia, e di come Provenzano viveva tranquillo a Bagheria

27 maggio 2011

Il neo pentito Stefano Lo Verso, ex reggente della famiglia mafiosa di Ficarazzi (PA), ha detto ai magistrati della Dda palermitana che nel 2006 la cosca mafiosa di Bagheria voleva uccidere il sostituto procuratore Nino Di Matteo e il deputato Pd Giuseppe Lumia. Secondo Lo Verso, il progetto stragista gli venne confidato da Giuseppe Di Fiore, vicino al boss Bernardo Provenzano, durante un'udienza del processo Grande mandamento nel 2007. Gli attentati, secondo il pentito, non vennero portati a termine perché non vennero autorizzati dai vertici di Cosa nostra.
I magistrati stanno cercando riscontri al racconto del collaboratore e innanzitutto vogliono appurare se nel processo 'Grande mandamento' Lo Verso e Di Fiore siano stati in cella insieme, nell'aula bunker dell'Ucciardone.

Del presunto progetto di attentato si è già occupato il Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, convocato due settimane fa, proprio a ridosso delle dichiarazioni di Lo Verso. Il Comitato, convocato dal prefetto, però, non ha potuto fare alcunché, visto che sia Di Matteo, presidente distrettuale dell'Associazione nazionale magistrati, che Lumia, ex presidente della commissione parlamentare Antimafia, hanno il massimo livello di protezione previsto dall'ordinamento italiano.

Il pentito, che da pochi mesi ha accettato di essere sottoposto alla protezione, ha raccontato di avere saputo da Di Fiore che l'attentato doveva avvenire per Di Matteo a Santa Flavia, località in cui il magistrato villeggiava, mentre Lumia dove va essere eliminato nel bagherese dove aveva una villa. Al progetto si sarebbe opposto Provenzano in persona preoccupato dagli effetti degli omicidi sui processi in corso. Il racconto dell'attentato mai compiuto è stato depositato in un verbale finito agli atti dell'udienza preliminare a carico di alcuni mafiosi di Ficarazzi.
Nel procedimento sono finiti anche altre decine di verbali in cui Lo Verso racconta i suoi strettissimi rapporti con Provenzano, ospitato tra il 2003 e il 2004, mentre era latitante, nella villetta della suocera del pentito. Lo Verso ha anche raccontato che Provenzano camminava tranquillamente a piedi in paese a Bagheria certo che nessuno lo avrebbe riconosciuto. Oltre a ricostruire le dinamiche della cosca bagherese, il pentito ha parlato ai magistrati del confidente Luigi Ilardo, l'uomo che portò gli investigatori a un passo da Provenzano nel 2005 e che fu poi ucciso prima che diventasse formalmente un collaboratore di giustizia. Provenzano avrebbe raccontato a Lo Verso di avere incontrato Ilardo e di essersi accorto che questi aveva un registratore. Commentando l'eliminazione del confidente il boss avrebbe poi aggiunto: "Guarda che fine fanno quelli che mi voltano le spalle".
Lo Verso, che ha scontato una condanna definitiva per mafia, tre mesi fa si è presentato in una caserma dei carabinieri chiedendo di poter parlare col Pm Di Matteo. Da allora collabora con la giustizia.

Chi è Stefano Lo Verso, pentito grazie alla religione - Stefano Lo Verso, 49 anni, reggente della famiglia mafiosa di Ficarazzi, in provincia di Palermo, ha cominciato a collaborare con la giustizia. A magistrati e carabinieri, che stanno raccogliendo le sue confessioni, ha detto di volere avviare un percorso di conversione, spinto anche da motivazioni religiose.
All'inizio Lo Verso, che fra il 2003 e il 2005 aveva ospitato Bernardo Provenzano in una villa, aveva deciso di non accettare la protezione dei carabinieri. Alla fine si è convinto ed è stato trasferito in una località segreta. Protezione rifiutata con decisione dai suoi familiari, fra cui la moglie e i due figli. Quest'ultimi gestiscono una torrefazione e un bar a Ficarazzi e Villabate. Lo Verso ha già scontato quasi tutta la condanna per mafia che gli era stata inflitta, a 5 anni e 2 mesi, ed era sottoposto a sorveglianza speciale.
Dunque, una crisi mistica avrebbe spinto il nuovo pentito a collaborare con la giustizia. E' stato lui stesso a raccontarlo ai magistrati di Palermo. Da alcuni mesi lo si vedeva girare in bicicletta per le strade con una copia della bibbia in mano. Nelle Sacre Scritture ha detto di avere trovato la forza per incamminarsi verso un pentimento sincero. Le sue dichiarazioni sono al vaglio di magistrati e carabinieri che ne dovranno verificare l'attendibilità.
Secondo il neo collaboratore, che ha favorito la latitanza di Bernardo Provenzano, il capo di cosa nostra prima dell'arresto girava indisturbato per le strade di Ficarazzi, Villabate e Bagheria forte del fatto che di lui si conosceva il volto ritratto da una vecchia fotografia. Lo Verso ha fornito una lista di personaggi, vecchi e nuovi, che farebbero parte della famiglia mafiosa di Ficarazzi. Le prime dichiarazioni del neo pentito sono state depositate la scorsa settimana in corte d'appello, dove lo stesso Lo Verso è imputato per detenzione di un'arma assieme a un suo ex complice. [Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa, GdS]

Parla Lo Verso: "I boss volevano nuovi omicidi"
di Salvo Palazzolo (Repubblica/Palermo, 27/05/11)

Mentre polizia e carabinieri gli davano la caccia, nel 2003, Bernardo Provenzano andava a pregare nella chiesa di Sant'Atanasio, a Ficarazzi. "Lo vedevo che riempiva delle bottigliette d'acqua nel fonte battesimale", rivela Stefano Lo Verso, l'ultimo pentito di Cosa nostra, che da febbraio sta collaborando con i magistrati della Procura di Palermo: "Mi occupai di Provenzano dal gennaio 2003 all'ottobre 2004", ha spiegato. In un lungo verbale, depositato ieri in tribunale, ci sono i retroscena della latitanza del capo di Cosa nostra: "Se ne andava tranquillamente in giro per Bagheria - ha spiegato Lo Verso - abitava nella parte alta del paese, nel rione Lannari, dietro un istituto di suore". Ogni tanto, Lo Verso andava a prenderlo, per accompagnarlo agli appuntamenti con i fedelissimi. Lui, naturalmente, non partecipava. E molte cose le ha apprese dopo il suo arresto. I mafiosi si confidavano con Lo Verso, anche perché dopo la gestione di Provenzano aveva fatto carriera nella famiglia di Ficarazzi.
Nel 2007, il boss Giuseppe Di Fiore gli rivelò che un'ala di Cosa nostra aveva discusso di riaprire la stagione delle stragi. Un anno prima, la famiglia di Bagheria aveva già scelto due obiettivi: il sostituto procuratore Nino Di Matteo e il deputato del Pd Giuseppe Lumia, componente della commissione antimafia. A guidare l'ala dura di Cosa nostra era proprio Di Fiore, fedelissimo cassiere di Provenzano: "Fu lui stesso a rivelarmi il progetto - ha messo a verbale Lo Verso - ne parlammo durante un'udienza del processo Grande mandamento. Io gli dicevo che il pm in udienza, Michele Prestipino, era davvero cattivo. Lui mi disse che ce n'erano di più cattivi. Mi parlò di Di Matteo e del progetto di eliminarlo quando sarebbe venuto in villeggiatura a Santa Flavia. Analoga decisione - prosegue Lo Verso - avevano preso per Lumia, che aveva un villino a Mongerbino. Poi, però, non arrivò l'autorizzazione a procedere, così spiegò Di Fiore. Perché c'erano i processi in corso".

Lo Verso ipotizza che fu Provenzano a bloccare le nuove stragi. "A Bagheria, aveva messo pace anche in un'altra occasione - racconta - il gruppo di Onofrio Morreale voleva uccidere il dentista Alfonso Bongiovanni, di Ficarazzi, e pure Di Fiore, che avrebbe dovuto attirare il dentista in un tranello, con una scusa, alla Sicula Marmi". Nel 2003, Bagheria fu sull'orlo di una guerra di mafia, ma Provenzano la sventò con la solita riunione pacificatoria.
Con Lo Verso si sarebbe confidato in carcere anche Michele Aiello, il 're Mida' della sanità privata siciliana, condannato nel processo "Talpe". "Eravamo a Pagliarelli, mi disse: Io non posso parlare, ho paura per i miei figli. Io e Totò siamo stati processati, ma il sardo che informò Totò se la fece franca". Lo Verso prosegue così: "Aiello si riferiva al fatto che il ministro che aveva informato il presidente Cuffaro delle circostanze che poi erano state riferite ad Aiello non è stato neppure processato".
Le parole di Lo Verso si addentrano nei misteri di Provenzano. "Nel settembre 2004, ci informarono che l'appuntamento del giorno dopo, a Ficarazzi, bisognava farlo saltare". E così fallì il blitz della polizia, che era ormai vicinissima al capo di Cosa nostra. Lo Verso non sa da chi arrivò la soffiata. Sa invece quanto gli raccontò Provenzano: "Nell'ottobre '95, si era visto con Luigi Ilardo. Lui sapeva che Ilardo lo stava tradendo. Provenzano mi disse: 'Chi si mette contro di me, prima o poi fa una brutta fine'. E si riferiva alla fine fatta da Ilardo, che fu ucciso".

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27 maggio 2011
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