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La brutalità, l'infamia e la menzogna

Uno dei presunti aggressori dell'avvocato Fragalà nega il suo coinvolgimento, mentre la famiglia si indigna per la ventilata pista passionale

13 luglio 2013

Si è dichiarato estraneo ai fatti Francesco Arcuri, l'uomo che secondo la Procura avrebbe preso a bastonate fino a ridurlo in fin di vita l'avvocato Enzo Fragalà, poi morto in ospedale. Giovedì sono stati arrestati per l'aggressione al penalista del 23 febbraio 2010 (l'avvocato morì il 26 febbraio) oltre ad Arcuri anche Salvatore Ingrassia e Antonino Siragusa, che avrebbero fatto da basisti (LEGGI).
Arcuri, assistito dall'avvocato Filippo Gallina, ha sostenuto davanti ai pm Maurizio Scalia, Nino Di Matteo e Carlo Lenzi che gli inquirenti si sono sbagliati e che lui non c'entra nulla con la morte di Fragalà. Gli altri due - Siragusa, assistito dall'avvocato Rosanna Vella, e Ingrassia difeso da Vincenzo Giambruno - si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Ai tre, i carabinieri sono arrivati componendo insieme alcune intercettazioni telefoniche in cui si parla esplicitamente di un legno (un bastone ndr), le immagini delle videocamere piazzate vicino al luogo del delitto e le dichiarazioni di Monica Vitale, donna del racket passata tra le fila dei collaboratori di giustizia ed ex amante di un uomo d'onore, Gaspare Parisi.

La famiglia dell'avvocato Enzo Fragalà crede alla matrice mafiosa del delitto e considera "basso e squallido" il tentativo di accreditare un movente passionale del delitto adombrato dalla collaboratrice Monica Vitale. Con l'arresto dei tre indicati come esecutori materiali, osservano i figli e la moglie del penalista, è stato un "primo importante ma non definitivo passo per l'accertamento della verità". E la pista che chiama in causa Cosa nostra è sostenuta dalla presenza tra gli esecutori di "uomini legati alla criminalità mafiosa e ai suoi elementi di spicco". Questo conferma, a giudizio dei familiari del penalista, "l'interesse e la volontà delle famiglie mafiose alla eliminazione di un avvocato, come Enzo Fragalà, per motivi che possono solo ricollegarsi alla lodevole, corretta e leale difesa degli interessi dei propri assistiti"

Il movente passionale viene considerato dai familiari alla stregua di un diversivo che appartiene a una consolidata tecnica mafiosa: quella di fare diventare un delitto di mafia un affare di donne. Per questo la famiglia esprime la "più ferma disapprovazione" per un tentativo di distorcere la verità sulla matrice del delitto. E si chiede come una "simile insinuazione possa essere stata, ad arte, diffusa dagli stessi ambienti mafiosi" che avevano decretato l'esecuzione di Fragalà "con il duplice scopo di gettare discredito sulla figura di un avvocato che della correttezza, della professionalità e degli alti valori e ideali aveva fatto la propria bandiera e, dall'altro lato, creare consenso che potesse giustificare l'uccisione".

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13 luglio 2013
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