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La 'cantata' di Ciancimino

Verità o menzogne? Le parole (pesanti come macigni) di Massimo Ciancimino continuano a tener banco

09 febbraio 2010

Ieri è "andato in scena" il terzo atto della deposizione ai giudici di Palermo di Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, don Vito, chiamato in causa nel processo al generale Mario Mori e all'ex colonnello Mauro Obinu, imputati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995 dopo le segnalazioni di un confidente.
Le tante parole di Ciancimino jr, per qualcuno troppe, hanno scatenato l'ennesima bagarre verbale tra politici di maggioranza e opposizione. Nocciolo della questione, l'accusa frontale lanciata dal testimone a Berlusconi, a Dell'Utri e alla loro "creatura" politica chiamata "Forza Italia". Un partito, secondo Massimo Ciancimino, "frutto della trattativa tra lo Stato e Cosa nostra dopo le stragi del '92".
Ciancimino jr, tra l'altro, nelle due deposizioni della scorsa settimana aveva affermato che il senatore Marcello Dell'Utri avrebbe avuto "rapporti diretti" con il capomafia Bernardo Provenzano e che il boss avrebbe goduto durante la sua lunga latitanza di una sorta di "immunità territoriale". Cose apprese, secondo il teste, dal padre Vito, morto nel 2002.

Secondo quanto raccontato ieri in aula da Massimo Ciancimino, nel 1994, Bernardo Provenzano avrebbe scritto un 'pizzino' indirizzato a Marcello Dell'Utri e "per conoscenza", come ha detto il teste, "a Silvio Berlusconi". Nel documento si legge: "Intendo portare il mio contributo che non sarà di poco perché questo triste evento non si verifichi, sono convinto che Berlusconi potrà mettere a disposizione le sue reti televisive".  Il 'triste evento' a cui si riferisce Ciancimino Junior sarebbe stato il ventilato sequestro di uno dei figli del presidente del Consiglio. "Mio padre - ha spiegato Ciancimimo illustrando il biglietto - mi disse che questo documento, insieme all'immunità di cui aveva goduto Provenzano e alla mancata perquisizione del covo di Riina, era il frutto di un'unica trattativa che andava avanti da anni. Con quel messaggio Provenzano voleva richiamare il partito di Forza Italia, nato grazie alla trattativa, a tornare sui suoi passi e a non scordarsi che lo stesso Berlusconi era frutto dell'accordo". Una parte del documento, secondo quanto ha detto in aula il figlio dell'ex sindaco, sarebbe sparita.
Ciancimino jr. ha inoltre affermato che tra il 2001 e il 2002 il capomafia Bernardo Provenzano "ha riparlato con Marcello dell'Utri. Me lo disse mio padre". In quell'occasione sarebbero state date "rassicurazioni" su provvedimenti a favore dei boss, come "l'aministia e l'indulto".
Inoltre un agente dei Servizi segreti, chiamato il 'signor Franco', avrebbe invitato caldamente Massimo Ciancimino a "tacere" e a "non parlare più di certe vicende perché tanto non sarei mai stato coinvolto e non sarei mai stato chiamato a deporre", ha riferito ancora il figlio dell'ex sindaco di Palermo. "Cosa che avvenne - ha aggiunto il teste - visto che fino al 2008, quando decisi di collaborare con i magistrati, nessuno mi interrogò mai". E grazie alla mediazione del 'signor Franco', a Ciancimino jr. la Questura di Roma aveva rilasciato il passaporto del figlio Vito Andrea, a pochi giorni dopo la sua nascita. Documento che è stato consegnato al tribunale insieme ad altri documenti, fra cui uno su Ustica e il verbale di quando fu fermato e perquisito sul Monte Bianco nel maggio 2009.

A sorpresa Massimo Ciancimino ha anche consegnato una lettera scritta dall'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino e indirizzata a Marcello Dell'Utri e per conoscenza Silvio Berlusconi. La lettera sarebbe la rielaborazione di uno dei 'pizzini' scritti dal boss mafioso Bernardo Provenzano ma poi elaborata da don Vito, ha spiegato il teste. Una parte della lettera è identica al 'pizzino' scritto dal capomafia, mentre un'altra parte è diversa. "Sono le aggiunte fatte da mio padre in carcere", ha detto Ciancimino junior. "Non ho mostrato subito i documenti ai magistrati, ma ho aspettato un anno dall'inizio della mia collaborazione, perché ero preoccupato. Incominciarono ad arrivare lettere minatorie con bossoli, altre intimidazioni, incluso un presunto pacco bomba. Mia moglie non ce la faceva più ed arrivò anche a chiedere la separazione perché era una vita familiare molto complicata. Per motivi di sicurezza, non potevo neppure accompagnare mio figlio a scuola". Ma dietro i ritardi ci sarebbe stato, ha precisato Ciancimino junior, "anche un problema di carattere giuridico". "Non potevo andare a prendere in quel periodo la documentazione - ha spiegato - perche' si trovava all'estero".
Massimo Ciancimino ieri ha anche consegnato documenti relativi ai presunti investimenti di suo padre nella realizzazione del complesso edilizio Milano 2, di cui aveva parlato nella precedente deposizione. I fogli sono stati trasmessi dai pm della Dda alla Procura generale che sostiene l'accusa al processo al senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, imputato, in appello, di concorso in associazione mafiosa. La procura generale, che dovrebbe chiudere la requisitoria del processo Dell'Utri, valuterà ora se chiederne l'acquisizione agli atti - in questa fase possibile solo le prove sono assolutamente necessarie ai fini della decisione - e chiedere l'esame di Ciancimino.

LE REAZIONI - "Forza Italia non ha mai avuto collegamenti con la mafia", mentre sarebbe in atto "un tentativo di delegittimazione dell'azione del governo Berlusconi sempre in prima linea nella lotta a Cosa Nostra". Queste le parole dette dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che ha così replicato alle affermazioni di Massimo Ciancimino. Il Guardasigilli ha premesso di non voler esprimere un suo giudizio rispetto a quando dichiarato da un teste, ma tuttavia ha ricordato di aver militato in Forza Italia sin dal '94, ricoprendo diversi incarichi in Sicilia: "Mai e poi mai abbiamo avuto la sensazione che la nostra storia, questa grande storia di partecipazione che ha emozionato milioni di persone in Sicilia e altrove, possa aver avuto collegamenti con la mafia".
Il ministro Alfano ha sostenuto inoltre che "il governo Berlusconi con le leggi antimafia ha fatto esattamente il contrario di ciò che prevede il papello". Dal momento che poi "la mafia non teme dibattiti e convegni ma teme la confisca dei beni e il carcere duro, abbiamo - ha aggiunto - fatto una guerra alla mafia con la normativa di contrasto più duro dai tempi di Falcone e Borsellino. Tanto è vero che il modello Italia è diventato esempio per i paesi del G8. Non vorrei - ha dunque sottolineato Alfano - che vi fosse da più parti un tentativo di delegittimazione dell'azione di un governo che contrasta la mafia. La mafia non sempre sceglie la via dell'assassinio fisico, ma a volte quella delle delegittimazione".
"Se Ciancimino vuol parlare di cose successe veramente, si vada a cercare dove sono successe e con chi. Certamente io non c'entro niente, e non parliamo ovviamente di Berlusconi, ma proprio niente di niente. Qui siamo alla pura invenzione che sfiora anzi sicuramente entra nel campo della pazzia". Così Marcello Dell'Utri ieri sera al Tg5 commentando quanto detto da Ciancimino durante la sua deposizione al processo Mori. "Si tratta di un folle totale - ha aggiunto il senatore del Pdl - o di un disegno criminoso volto a dire cose allucinanti come queste. Sono delle falsità tali che mi hanno già portato alla decisione di denunciare per calunnia il personaggio in questione, cosa che gli avvocati faranno non appena avranno tutti gli atti di questo interrogatorio".

Per l'onorevole avvocato del premier, Niccolò Ghedini, "le dichiarazioni di Massimo Ciancimino non sono soltanto destituite di ogni fondamento, ma sono anche totalmente inverosimili e prive di ogni dignità logica. Spiace che qualcuno possa dare anche un minimo credito a prospettazioni che la storia di Forza Italia e del presidente Berlusconi hanno dimostrato concretamente e con atti di governo essere completamente inesistenti. Sembra che si voglia delegittimare proprio il governo Berlusconi che sta conducendo la più severa e forte offensiva del dopo guerra contro la mafia. Ciancimino dovrà rispondere di fronte all'autorità giudiziaria anche di tali diffamatorie dichiarazioni".
A difendere calorosamente Silvio Berlusconi, il coordinatore nazionale del Pdl Sandro Bondi. "Immancabilmente alla vigilia di ogni elezione assistiamo ad una nuova ondata di fango, calunnie e teoremi tanto fantasiosi quanto falsi. Ancora una volta la giustizia è piegata a torbidi progetti politici che impediscono ad un Paese di pensare al suo futuro" ha detto Bondi.
"Più procede la telenovela del signor Massimo Ciancimino e delle sue pseudorivelazioni, e più tanti cittadini avranno nostalgia del grande Giovanni Falcone, magistrato efficace e saggio, nemico spietato della mafia, ma soprattutto capace di distinguere i veri pentiti dai falsi pentiti, o le vere dichiarazioni dalle false dichiarazioni", ha invece affermato il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone ricordando, in proposito, "la circostanza in cui Falcone fece arrestare il falso pentito Pellegriti, che cercava di raccontargli bugie".

Il magistrato palermitano Giusto Sciacchitano, chiamato in causa direttamente da Massimo Cinacimino, ha dato mandato al suo legale, l'avvocato Enrico Sanseverino, di sporgere querela per diffamazione. Sciacchitano ha ritenuto lesive della sua dignità le dichiarazioni rese da Ciancimino Jr. Il figlio dell'ex sindaco ha infatti sostenuto di avere ricevuto dal magistrato pressioni, attraverso l'avvocato Gianni Lapis, affinché tenesse fuori dall'indagine per ricilaggio in cui era coinvolto la società Gas. Secondo il teste l'intervento di Sciacchitano sarebbe stato volto a tutelare il consuocero, Ezio Brancato, che era uno dei soci della ditta. "Cercheremo - ha spiegato l'avvocato Sanseverino - di dimostrare la totale falsità delle accuse. All'epoca cui si riferisce Ciancimino, perlatro, Brancato non era più consuocero del mio assistito in quanto il figlio si era separato da un anno dalla moglie, figlia dell'imprenditore del gas".

Nell’opposizione ha preso le distanze dalle parole di Cinacimino l’Udc: "Ritenere che Forza Italia sia un prodotto della mafia - ha detto Pier Ferdinando Casini - significa non solo offendere milioni di elettori, ma soprattutto falsificare profondamente la realtà. Non ha futuro un Paese in cui la politica si fa usando queste armi".
Prudente e quasi defilato il commento del Pd: "Lasciamo lavorare la magistratura - ha dichiarato il responsabile giustizia del partito, Andrea Orlando - che saprà discernere nelle dichiarazioni di Ciancimino e restituirci un quadro certo su uno dei momenti più difficili e opachi della nostra storia recente".

Senza mezze misure invece il leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro, che ha accusato il governo di essere "piduista e fascista. E poi se fossero vere le dichiarazioni di Ciancimino sarebbe anche paramafioso".
Per l'eurodeputato dell'IdV, Pino Arlacchi, le parole di Ciancimino non corrispondono a verità: "Non credo a una parola di quanto detto da Ciancimino. E queste storie le abbiamo già viste e sentite. Sono parole che non giovano altri che a Berlusconi, si vuole sollevare un gran polverone e screditare così la figura dei pentiti in generale". "Ciancimino - ha continuato Arlacchi - ha una posizione giudiziaria interessata ed ha una scarsa attendibilità, a tanti anni di distanza. Lavorando insieme a Falcone so che questo tipo di dichiarazioni vanno prese con grande cautela e non vanno sbandierate. Non sono d'accordo nemmeno con Di Pietro che parla di governo paramafioso. Proprio Di Pietro che ha avuto a che fare con casi molto delicati sa che queste dichiarazioni vanno prese con grande prudenza".
Anche i Comunisti non hanno lanciato invettive contro il governo e hanno reagito con cautela. "Nessuno crede a scatola chiusa a Ciancimino o a qualunque altro pentito, però la questione è di estrema delicatezza. L'Italia oramai è uno scandalo internazionale. Dovrebbe essere interesse primario del presidente del Consiglio giungere quanto prima alla verità giudiziaria sulle affermazioni di Ciancimino, piuttosto che impegnare governo e Parlamento in una sequela di provvedimenti che servono soltanto a bloccare i processi in corso".
Questa la posizione di Orazio Licandro, della segreteria nazionale del Pdci-Federazione della sinistra, sulle nuove dichiarazioni di Ciancimino. "Nella storia repubblicana italiana per molto meno ci si è dimessi o si è stati costretti a farlo da altre istituzioni. Berlusconi ha questa alternativa: o contribuisce direttamente, e con i suoi uomini, a dimostrare la falsità delle cose dette da Ciancimino oppure deve dimettersi".

LE COSE VERE E LE COSE FALSE - "Massimo Ciancimino? mi convince e non mi convince, mischia cose vere e cose false". Per questo sulle sue dichiarazioni occorreranno "riscontri esterni, come chiede un'ormai consolidata giurisprudenza". Giuseppe Di Lello è stato per tanti anni giudice istruttore a Palermo, accanto a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta in quel pool antimafia creato e voluto da Antonino Caponnetto. E con i colleghi di allora mise in piedi il primo maxi processo a Cosa Nostra. Un'esperienza unica e che oggi lo rende "perplesso" per lo meno su alcune delle deposizioni rese dal figlio dell'ex sindaco di Palermo e deciso nell'escludere la necessità di un intervento legislativo per evitare anche da parte di chi come Ciancimino non è un pentito, dichiarazioni a rate e abusi: "Le regole sulle prove sono pericolose, tutto va lasciato al libero apprezzamento del giudice", dice senza ombra di dubbio. "Per i collaboratori di giustizia una regolamentazione c'é: devono dire quello che sanno entro un periodo determinato di tempo o per lo meno fare una sorta di indice di quello che riferiranno. Per casi, come quello di Ciancimino, invece non c'é niente del genere - spiega Di Lello, che dopo aver lasciato la magistratura è stato consulente dell'Antimafia, europarlamentare e senatore con Rifondazione Comunista -. Ma c'é abbastanza giurisprudenza che dice che queste dichiarazioni di per sé non hanno valore, vanno riscontrate; che insomma bisogna procedere con i piedi di piombo". Una prudenza più che necessaria nel caso di Massimo Ciancimino: "Sta facendo parlare un morto, suo padre. E i morti non sono attendibili. Se non si cercassero riscontri esterni, sarebbe troppo facile. Inoltre Ciancimino parla di cose che risalgono a quando era piccolissimo e che gli avrebbe riferito suo padre. Mi pare strano che lui ne sia venuto a conoscenza".
E se gli si chiede di spiegare quali sono le affermazioni di Ciancimino che puzzano di falso, Di Lello risponde con un esempio: "Racconta che il padre fosse dispiaciuto del sacco di Palermo, proprio lui che è stato tra i distruttori della città. Che ora il primo sindaco della mafia debba parlare per bocca del figlio non può che lasciarmi perplesso".

IL MISTERIOSO "SIGNOR FRANCO" (Stefano Fratini, ANSA) - Il misterioso "signor Franco", un personaggio legato ai Servizi segreti, descritto come distinto e caratterizzato da una deformazione del volto, è stato più volte evocato da Massimo Ciancimino, nelle sue dichiarazioni. Il padre di Massimo, l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, avrebbe invece chiamato questa persona con il nome di "Carlo". A presentarlo a Ciancimino senior sarebbe stato l'ex ministro dell'Interno Franco Restivo. "Franco-Carlo" sarebbe stato una delle pochissime persone (cinque o sei) che avevano accesso alla linea telefonica riservata di Vito Ciancimino e che potevano arrivare a casa senza appuntamento.
Questo "Franco", citato da Massimo Ciancimino in diversi verbali di interrogatorio ai pm di Caltanissetta e Palermo e nelle udienze del processo, farebbe parte di un apparato di sicurezza dello Stato. L'uomo, di cui Ciancimino dice di non avere mai conosciuto la vera identità, ma solo un numero di cellulare (che sarebbe stato recuperato dai magistrati palermitani in una scheda sim telefonica di Ciancimino jr), avrebbe fatto anche da tramite fra Vito Ciancimino ed esponenti delle istituzioni. A lui sarebbe stata affidata una lettera da consegnare al sen. Marcello Dell'Utri, proveniente dai boss corleonesi, in cui si fa riferimento "all'on. Berlusconi", al quale veniva chiesto di mettere a disposizione un'emittente televisiva. "Franco" avrebbe intensificato i suoi rapporti con i Ciancimino nell'estate delle stragi (durante la quale Vito Ciancimino avrebbe anche incontrato Licio Gelli a Cortina) e avrebbe svolto un ruolo, prima in veste defilata poi da protagonista, nella cosiddetta "trattativa" tra Cosa nostra e le istituzioni. Prima di incontrare gli alti ufficiali dei carabinieri Mario Mori e Giuseppe De Donno, Vito Ciancimino avrebbe chiesto il permesso a Provenzano, ma anche a Franco. Sempre Franco (o uomini a lui legati) avrebbero permesso l'incontro in carcere, sotto la doccia, dell'ex sindaco di Palermo con l'esattore di Salemi Nino Salvo, che erano entrambi in isolamento. Nel 2002, il giorno della sepoltura del padre, "Franco" avrebbe consegnato a Massimo Ciancimino un biglietto di condoglianze da parte di Bernardo Provenzano. Uomini legati a Franco avrebbero evitato la perquisizione della cassaforte in cui erano custoditi il papello e i pizzini di Provenzano nella casa di Ciancimino jr e lo avrebbero pesantemente "consigliato" di avvalersi della facoltà di non rispondere, nel caso fosse stato chiamato a parlare di argomenti come la "trattativa". In tempi recenti "Carlo-Franco" si sarebbe fatto vivo con Massimo Ciancimino e gli avrebbe passato "false" notizie su Bernardo Provenzano. Ieri il figlio dell'ex sindaco di Palermo ha depositato al processo il passaporto rilasciato al figlio dieci giorni dopo la nascita, grazie proprio all'intervento di "Franco"...

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, La Siciliaweb.it, ANSA]

- "Il Testimone". Terzo Atto (Guidasicilia.it, 08/02/10)

 

 

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09 febbraio 2010
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