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La Cgil rilancia l'allarme: In Italia sono 500 mila i minori costretti a lavorare

Un minore su cinque ha esperienze di lavoro precoce, con picchi intorno al 30-35% al Sud

28 ottobre 2005

Cresce anno dopo anno lo sfruttamento del lavoro minorile in Italia, un fenomeno che, si stima, coinvolga tra i 460 e 500 mila bambini tra gli 11-14 anni.
L'allarme è stato nuovamente lanciato dalla Cgil che ha presentato ieri mattina il rapporto dell'Ires ''I lavori minorili nelle grandi città italiane'', condotto in collaborazione con l'Osservatorio sul lavoro minorile nelle scuole e sul territorio.
L'indagine è stata effettuata con 2mila interviste a minori fra gli 11 e i 14 anni, in 9 grandi città: Torino, Milano, Verona, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria e Catania.

Un minore su cinque ha esperienze di lavoro precoce, con picchi intorno al 30-35% al sud e quote più basse in quelle del centro-nord tra il 15% e il 18%.
Un quadro, dunque, assai preoccupante e non più ''tollerabile'', ha detto il leader della Cgil, Guglielmo Epifani sottolineando l'incremento, negli ultimi quattro anni, di 100 mila unità tra i minori che lavorano. ''Sono aumentati i bambini figli di immigrati nel lavoro strutturale e sono peggiorate le condizioni di parte delle famiglie'', ha osservato accusando il Governo di ''non aver fatto nulla''. Tra quest'ultimi, quasi la metà proviene dall'Asia con un peso rilevante delle comunità cinesi. Ma molti anche dalla Romania e dall'Albania e dalle aree dell'ex Jugoslavia. Uno su due svolge lavori occasionali, il 30% stagionali, mentre solo il 21% lavori continuativi. La paga va dai 100 euro mensili per i lavori occasionali e tra i 200 e i 400 euro per quelli continuativi.

I minori collaborano prevalentemente in attività di tipo commerciale come negozi, bar ristoranti, pizzerie. Ma vengono utilizzati anche per la vendita ambulante, in campagna, in fabbrica, nelle officine.
Secondo le interviste condotte nelle scuole, il 70% collabora con i genitori alle attività di famiglie, un po' più del 20% fa esperienze di lavoro nel circuito dei parenti o amici e meno del 10% lavora per terzi. Diversa la situazione nel caso degli 11-14enni rintracciati sul territorio, dove aumentano le forme di lavoro presso amici o parenti e quelle presso terzi che balzano al 42,1% tra i 15-17enni.

''La drammaticità del fenomeno - sottolinea Agostino Megale, presidente Ires-Cgil - che incrocia povertà materiale e culturale, non può essere nascosta''.
L'osservazione del lavoro minorile mira, infatti, non a dimostrare se e quanto questo tipo di lavoro sia buono o cattivo, ma a decifrare le dimensioni del lavoro precoce che ne fanno un'esperienza difficilmente reversibile e fortemente condizionata da un'eredità sociale. ''Tre sono le iniziative da prendere per bloccare il fenomeno - dice Guglielmo Epifani - politiche sociali a favore delle famiglie, controllare l'area extracomunitaria e combattere la dispersione scolastica, ma l'impegno del Governo su questi temi è assente. I numeri dell'Italia non sono degni di un Paese sviluppato''.
''Uno Stato degno di questo nome - secondo Epifani - non può tollerare il ricorso allo sfruttamento dei minori, ma deve intervenire con politiche di prevenzione, che puntino alla radice del problema''.

Le motivazione principali che spingono i minori a lavorare precocemente è la spinta, più o meno diretta, della famiglia è quella di aiutare il nucleo familiare («lavoro perché i miei genitori mi hanno detto di farlo»), mentre dopo i 14 anni si cerca di riconvertire l'istanza familiare in una motivazione personale.
La propensione delle famiglie per il lavoro precoce è associata al pensiero che sia meglio lavorare che stare in strada. Il problema è che spesso molti genitori pensano che il lavoro sia più utile della scuola: si tratta, per lo più, di famiglie con genitori in possesso di un titolo di studio basso. Si attua un processo di graduale disimpegno dalla scuola in favore del lavoro: il 4% dei ragazzi dichiara di aver lasciato la scuola dell’obbligo prima della licenza media per lavorare, una quota identica non si è iscritta alle superiori pur non avendo ancora 15 anni, età minima di accesso al lavoro in Italia

''Se generazioni così piccole incontrano il lavoro così presto - è il ragionamento di Epifani - segnano il loro futuro ma anche quello del Paese, con un impatto non idoneo su uno sviluppo di qualità e fondato sui saperi''. Epifani è tornato, quindi, a chiedere al Governo l'apertura di tavolo su questo tema, contestando anche le affermazioni del ministro Moratti secondo la quale la dispersione scolastica è diminuita: i dati ministeriali attestano che dalla fine degli anni '90 la dispersione scolastica è stata fra lo 0,1 e lo 0,5 per cento.
Molti i ragazzi (24%) che confessano assenze prima saltuarie, poi ripetute, dalla scuola per lavorare, fino alle bocciature e all'abbandono definitivo dei banchi di scuola.
''Le esperienze di lavoro prima dei 15 anni - spiega la ricerca - sembrano contribuire a orientare precocemente i minori in modo selettivo verso il lavoro a discapito del percorso formativo, dal momento che la scelta matura in una rinuncia spesso a priori alla scuola superiore''.

Il presidente dell'Ires, ha ricordato che nel '98 venne firmata tra governo e sindacati una Carta d'impegni che non è mai stato applicata. ''Quell'accordo non è stato disdettato e va rispettato''.
Nella piattaforma comune di Cgil, Cisl e Uil contro il lavoro minorile si chiedeva e si chiede: la costituzione di un osservatorio strutturale sul lavoro irregolare e minorile a livello europeo, l'adozione di codici di condotta nelle imprese italiane e dell'Unione europea per garantire il rispetto dei diritti sociali e del lavoro, il varo di un programma specifico della Commissione europea di lotta al lavoro minorile nei Paesi europei e in quelli in via di sviluppo, l'istituzione di un tavolo con il Governo per l'introduzione di ''condizionalità sociali'' per le imprese che accedono a incentivi, oltre a principi di trasparenza produttivi, con controlli indipendenti, per i marchi sociali.

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28 ottobre 2005
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