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La Collezione Würth. Percorsi da Spitzweg a Baselitz

La seconda mostra Würth finalizzata al restauro della Cappella Palatina

20 giugno 2006

La Collezione Würth
Percorsi da Spitzweg a Baselitz
Palazzo dei Normanni - Sala Duca di Montalto
Fino al 1° Ottobre 2006

Piazza Indipendenza - Palermo

Dopo il successo ottenuto l'anno scorso con la presentazione dei capolavori di arte impressionista ed espressionista della Collezione Würth, in occasione della mostra ''La Collezione Würth - Percorsi da Spitzweg a Baselitz'', verranno esposti altri highlight di questa collezione. La serie di esposizioni che si svolgeranno in un arco di cinque anni presso il Palazzo dei Normanni è correlata con una sponsorizzazione, finanziata attraverso i mezzi del Gruppo Würth, finalizzata al restauro della Cappella Palatina. La Würth Italia sovvenzionerà i lavori di ricostruzione, che si protrarranno fino al 2008, e che riporteranno all'antico splendore il soffitto in legno a stalattiti, ornato di arabeschi, e i mosaici bizantini con tessere impastate con oro. Così com'era ai tempi del re normanno Ruggero II, che nel 1132 aveva commissionato la costruzione di questo meraviglioso capolavoro d'arte.

Con oltre 9000 opere, la Collezione Würth è una delle più ricche collezioni private tedesche. La si deve a Reinhold Würth che ha provveduto a curarla ed arricchirla nel corso degli ultimi quarant'anni in parallelo alla sua attività di imprenditore di successo. Questa collezione documenta un punto di vista molto personale sullo sviluppo subito dall'arte dalla fine del 19° secolo ai giorni nostri. Nei tempi più recenti sono stati aggiunti anche blocchi di collezione di epoche precedenti della storia dell'arte. L'ampia base su cui è impiantata questa Collezione consente di presentarne e focalizzarne aspetti parziali sempre nuovi. In questo senso la presentazione della collezione Würth non segue pertanto mai percorsi scontati, bensì è piuttosto il risultato di una sorta di viaggio molto ampio, che non solo consente, ma addirittura esige un'osservazione di tipo errante e associativo.
Le opere scelte si raggruppano come isole negli arcipelaghi tematici imperniati sugli aspetti ''Natura e paesaggio'', ''Metamorfosi di figure, autoritratti e affini'' ed infine ''Tendenze dell'astrazione''. Il vasto spettro delle opere scelte in questo specifico caso - sono circa 70 - spazia da Spitzweg a Baselitz, passando per Arp, Nolde, Ernst, Picasso, Lèger, Lichtenstein, Hockney ed altri.

Joan Miró. ''Donna e uccelli'', 1945, Olio su tela, Collezione Würth, Inv. 5950

Le imprese Würth si occupano già da parecchio tempo di arte e cultura. Reinhold Würth è fermamente convinto che un contatto vivace, critico - e soprattutto attivo! - con l'arte contribuisce alla corretta interpretazione della cultura imprenditoriale.
La collezione viene presentata prevalentemente presso il Museo Würth di Künzelsau, cittadina situata nel sud della Germania in cui si trova l'impresa. Come parte integrante del palazzo sede degli uffici amministrativi, il Museo Würth contribuisce fattivamente a creare quel vivace accostamento e quella fitta interazione di arte e lavoro, concetto molto valido che nel frattempo anche alcune Società Würth estere hanno provveduto ad adottare, integrando nei locali della loro sede alcune aree aperte al pubblico dedicate alle esposizioni.

Percorsi da Spitzweg a Baselitz
di Davide Lacagnina (Exibart)

Dopo i Capolavori dell'impressionismo e dell'espressionismo, è la volta di una mostra che premia soprattutto l'arte tedesca del Novecento (da Spitzweg a Baselitz, come recita il sottotitolo), accanto al lavoro di alcuni grandi maestri del XX secolo: Picasso, Lèger, Mirò, Fontana e Hockney (solo per fare alcuni nomi).
L'impianto della mostra riflette necessariamente il carattere frammentario e ''cumulativo'' di una collezione privata di recente costituzione. Pertanto le tre sezioni in cui sono raccolte le opere - natura e paesaggio, autoritratti e tendenze dell'astrazione - si adattano solo a forza alla compendiarità di un discorso che se per alcuni aspetti può apparire approssimato e lacunoso, per altri non manca di regalare inaspettate sorprese.
Messa da parte dunque ogni pretesa di coerenza espositiva - gli accostamenti Fontana-Albers-Vasarely possono risultare tanto stimolanti quanto pretestuosi - resta solo da affidarsi al piacere della visione, provando in autonomia a intrecciare il proprio filo rosso lungo l'allestimento senza sbavature della Sala del Duca di Montalto.

Il romanticismo sturm und drang di Spitzweg - molto incisivo il suo piccolo Caccia all'avvoltoio, già presago di Karel Appel. L'esodo - Il mondo floreale, 1953, Olio su telaumori simbolisti e prossimo semmai all'astrazione lirica e sempre più visionaria di Nolde (Riflessi di nuvole nella palude, 1935) - si ritrova così a convivere con il formalismo costruttivista dei due maestri Bauhaus Schlemmer (Paesaggio verde con casa bianca, 1910) e Feininger (Chiesa di paese in giallo III, 1937). Accanto a loro un solitario Alberto Magnelli del '28 ancora figurativo e molto vicino al Carrà di Vele nel porto (1923), di cui anzi il dipinto in mostra (Le voilier à la jette) sembra quasi una ripresa letterale.
Il salto verso il basso (rispetto alla qualità e all'interesse della proposta) è quasi da capogiro se si guarda ai quadri di contorno (Brandl, Tadeusz, Uecker) di maestri tedeschi contemporanei scelti a chiusura della sezione, in cui pure sono da segnalare ancora un bel Max Ernst, un crepuscolare Derain e una monumentale recente Nuova montagna di Jim Dine (1993-94).
Allo stesso modo, nella sezione successiva, due piccoli classici di Picasso, un quadro di Mirò ed uno (assai tardo) di Masson lasciano posto alla figurazione dolente e accidentata di Appel, Basquiat, Baselitz, Immendorf, Hödicke, Rainer e Fetting, sempre convincente nei suoi esiti pittorici rapidi e slabbrati (Van Gogh lungo il muro II, 1982).

Al contrario, decisamente più composta e ordinata appare la sezione dedicata all'astrazione, che propone alcuni piccoli capolavori che farebbero la gioia di ogni collezionista: due Quadrati di Albers, due Concetti spaziali di Fontana, una bella sequenza di sculture di Hans Arp e due oli di Vasarely. Anche qui il confronto spesso non regge con figure di secondo piano dell'astrazione europea (fatta anche di molti ''ritorni su'' e ''riprese da'') e tuttavia la qualità delle opere citate fa presto dimenticare ogni caduta di livello, come occasione comunque proficua di riflessione su una situazione artistica ancora oggi ingiustamente poco nota e apprezzata.

Profili di alcune opere esposte nelle Sale Duca di Montalto
Jim Dine, La nuova montagna (1993/94)
L'americano Jim Dine ha confessato una volta che la maggiore influenza nella sua produzione artistica l'ha esercitata suo nonno, proprietario del negozio di colori, attrezzi e articoli per lattonieri, in cui l'artista soleva dare una mano fino a diciotto anni. Non deve quindi stupire il fatto che Dine nel suo paesaggio alpino dal titolo ''Il nuovo monte'' riproduce arnesi e utensili realistici: oltre alla piccozza, che appare abbandonata da alcuni scalatori, vi sono anche alcuni ferri del mestiere di pittore conficcati nella tela, come se anche l'artista avesse scalato la vetta durante la creazione dell'opera. Dine ha anche scritto a lettere cubitali bianche il nome della montagna: ''Untersberg''.
Fino al 1993 il motivo della montagna non ha svolto un ruolo dominante nella produzione artistica di Jim Dine. Durante i suoi studi presso l'Accademia estiva Internazionale d'Arte figurativa di Salisburgo, svolti negli anni 1993 e 1994, l'artista produce però un'intera serie di opere aventi come soggetto le montagne salisburghesi. Dal suo atelier, situato nella fortezza Hohensalzburg, a Dine si apriva la vista direttamente sull'Untersberg, che si trovava a una distanza di appena 10 km. Nella rappresentazione di questo monte il pittore si è concentrato sulla porzione della vetta, che è, infatti, rappresentata in modo piuttosto differenziato, mentre la porzione inferiore è molto meno elaborata. Questa netta concentrazione sul tratto della vetta è ispirata anche alla percezione della montagna nel contesto naturale in cui è inserita: si tratta in effetti dell'unico tratto di montagna interessato dai fenomeni atmosferici di una certa drammaticità. I piedi del monte, che viceversa ne vengono risparmiati, risultano per questo meno interessanti per il pittore.

Picasso, Femme assise dans un fauteuil (1941)
Anche per il ritratto Femme assise dans un fauteuil dipinto nel 1941 fu Dora Maar a fare da modella a Picasso. In quest'opera colpisce di nuovo il fatto che il corpo è formato attraverso una combinazione di superfici secondo la maniera cubista. Gli occhi della donna sono tristi. Tutto in questo quadro emana un'atmosfera cupa, effetto cui contribuiscono anche le tinte scure e spente. La conflittualità e tristezza dello stato d'animo di questa donna vengono accentuate dai mezzi stilistici tipici del cubismo. Dora Maar rappresentava per Picasso la donna piangente per antonomasia. Parecchio tempo dopo la fine della loro convivenza il pittore ha infatti affermato: ''A volte un'artista non è così libero come sembra. Per me ad esempio è così nel caso dei ritratti di Dora Maar. Mi è stato impossibile riprodurre un’immagine del suo viso ridente. Per me lei incarna la donna che piange. Anni fa l'ho rappresentata con forme stravolte, non però per sadismo o per divertimento, bensì semplicemente seguendo una visione che avevo. Era una realtà radicata in profondità, per nulla superficiale''.
Quando è stato realizzato questo quadro, anche Picasso attraversava un periodo piuttosto cupo. La Francia era occupata dai tedeschi, l'artista non poteva viaggiare e quindi le occasioni per esporre erano piuttosto limitate.

Günther Uecker, Vento I (1999)
Al posto di pennello e colori, Günther Uecker usa chiodo e martello per realizzare i suoi virtuosismi artistici. In effetti il soggetto della sua opera Vento I, prodotta nel 1999, rende quell'effetto dinamico di un campo di grano ondeggiato dal vento. Günther Uecker, uno dei più importanti artisti tedeschi contemporanei, ha realizzato i suoi primi quadri ''a chiodo'' definiti anche Clouages già nel 1957. Secondo il principio della meridiana, questo artista crea delle ombre con i chiodi, quindi con un determinato numero di ombre rende visibili delle strutture prive di consistenza. Uecker spiega il suo lavoro con queste parole: ''Il mio tentativo di mettere in fila delle strutture per attivare uno spazio reale, rendendolo tangibile come stato di purezza di estetica oggettiva, mi ha fatto approdare a nuovi mezzi di configurazione. Quando utilizzo i chiodi come elementi strutturali, non desidero saperli intesi come chiodi. Mi interessa invece ottenere con questi mezzi nella loro interrelazione ordinata una vibrazione perturbatrice del loro ordine geometrico, in grado di alterarlo''.

- L'elenco delle 71 opere esposte

[Foto realizzate da Francesca La Rosa]

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20 giugno 2006
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