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La Commissione Antimafia apre un'inchiesta sulle stragi

Il Parlamento vuole indagare sul possibile ''patto'' che all'inizio degli anni '90 potè intercorrere tra mafia e Stato

22 luglio 2009

Dopo più di due ore di discussione, l'ufficio di presidenza della Commissione Parlamentare Antimafia ha deciso di avviare un'inchiesta sulle stragi del '92-'93 alla luce dei nuovi fatti e delle acquisizioni recentemente emerse con particolare riferimento al possibile "patto" tra Stato e mafia. Relatore dell'inchiesta - secondo quanto si è appreso - dovrebbe essere lo stesso presidente della commissione, Beppe Pisanu (Pdl).
Nei giorni scorsi erano stati il vicepresidente dell'Antimafia Fabio Granata (Pdl) e il capogruppo del Pd Laura Garavini a formalizzare la richiesta di avviare un'inchiesta e di attivare i poteri previsti nella legge istitutiva. L'Antimafia con questa scelta adempie dunque uno dei mandati assegnategli dalla legge istitutiva dato che il cosiddetto "terzo livello" era del tutto sparito dai compiti istituzionali dell'Antimafia nelle ultime legislature. La legge che ha dato corpo alla commissione d'inchiesta lo dice a chiare lettere (al punto f): l'Antimafia ha il compito di "indagare sul rapporto tra mafia e politica, sia riguardo alla sua articolazione nel territorio, negli organi amministrativi, con particolare riferimento alla selezione dei gruppi dirigenti e delle candidature per le assemblee elettive, sia riguardo a quelle sue manifestazioni che, nei successivi momenti storici, hanno determinato delitti e stragi di carattere politico-mafioso".

La riunione per definire un primo calendario delle audizioni dovrebbe tenersi prima della pausa estiva. Orientativamente i primi ad essere ascoltati dovrebbero essere i magistrati che seguono le inchieste e cioè il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e il procuratore capo della Repubblica di Caltanissetta Sergio Lari. Il vicepresidente Granata insiste nel volere a San Macuto anche Massimo Ciancimino, che ha rinfacciato nei giorni scorsi all'Antimafia di non aver voluto ascoltare suo padre, Vito, protagonista almeno di uno "spezzone" della presunta trattativa tra Stato e mafia con annesse stragi (LEGGI).

Da registrare la riserva politica avanzata da Antonio Di Pietro che non crede che questa commissione, in cui sono presenti "anche dei condannati", possa andare ad incidere con l'inchiesta che avvierà a breve. "E' difficile credere nelle inchieste contro la mafia portate avanti dal Parlamento, almeno fino a quando non si vieta di farne parte a coloro che sono stati condannati o sono sotto processo", ha detto il leader dell'Idv. Quella dell'ex Pm è una apertura di credito fortemente condizionata non solo da singole posizioni di questo o quel parlamentare ma da una riserva politica di fondo che riguarda lo stesso strumento scelto dalla commissione: "Seguiremo con attenzione l'evoluzione dell'indagine parlamentare anche per evitare che il Parlamento, come spesso è avvenuto in passato, si sostituisca alla magistratura per raccontare un'altra verità, diversa rispetto a quella delle Aule di giustizia".

Il nuovo tesoro di Ciancimino
«ECCO L'ARCHIVIO DI MIO PADRE»
di Giovanni Bianconi (Corriere.it, 22 luglio 2009)
 
Il secondo «tesoro» di Vito Ciancimino - quello di maggior interesse investigativo, fatto di documenti, registrazioni, agende e altro materiale - è custodito all’estero, bloccato da problemi burocratici che il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Massimo, non è riuscito a risolvere. Per questo non ha ancora consegnato ai magistrati l’ormai famoso papello con le richieste dei boss, che costituirebbe la prova della trattativa tra Cosa Nostra e lo Stato nella stagione delle stragi, e le altre carte segrete del padre.
Su quel periodo, sui misteri ancora irrisolti, e sui cosiddetti «mandanti occulti», la commissione parlamentare antimafia ha deciso ieri di aprire un’inchiesta, di cui sarà relatore il presidente Beppe Pisanu. Ai procuratori di Palermo Massimo Ciancimino (condannato in primo grado a cinque anni e mezzo di galera per il riciclaggio del primo «tesoro» avuto in eredità, quello milionario che secondo l’accusa proviene da affari e interessi mafiosi) ha però fornito indicazioni precise sul luogo in cui è conservato l’archivio di «don Vito». Lì dentro ci sarebbero, secondo Ciancimino jr, non solo il papello ma anche alcuni nastri registrati.

Stando a quanto gli riferì suo padre, conterrebbero le conversazioni tra l’ex sindaco e gli ufficiali dei carabinieri che lo incontrarono nell’estate del ’92. E ancora, la copia integrale della lettera - trovata «mutilata» in una perquisizione del 2005 - dove si parla di richieste all’«onorevole Berlusconi»; forse le altre lettere provenienti da Bernardo Provenzano, di cui ha pure testimoniato il figlio dell’ex sindaco, e il misterioso assegno da 35 milioni firmato in anni lontani da Silvio Berlusconi in favore di Ciancimino sr, di cui Massimo discuteva con la sorella Luciana in una telefonata intercettata nel marzo 2004. «Digli che abbiamo un assegno suo, se lo vuole indietro... », diceva Massimo a Luciana che stava andando a una manifestazione di Forza Italia alla quale avrebbe partecipato il premier. «Chi, il Berlusconi?», chiedeva lei ridendo. «Sì, ce l’abbiamo ancora nella vecchia carpetta di papà», rispondeva Massimo.
Luciana era incredula: «Ma che dici... Del Berlusca?». E il fratello: «Sì, di 35 milioni, se si può glielo diamo...».
Se il giovane Ciancimino dice la verità la riconsegna non avvenne, e quell’assegno è custodito all’estero insieme al papello e alle altre carte che sarebbero il riscontro ai suoi racconti sui contatti tra mafia e istituzioni avvenuti attraverso l’ex sindaco morto a fine 2002. Nell’interrogatorio della scorsa settimana Massimo ha assicurato che avrebbe fatto un ultimo tentativo per risolvere gli intoppi burocratici che, a suo dire, gli hanno finora impedito di rispettare la promessa di consegnare il «tesoro» investigativo. Altrimenti toccherà ai magistrati avviare le procedure per una rogatoria internazionale. In un modo o nell’altro, la fine di questo «tira e molla» che dura da mesi intorno al misterioso papello, se e quando arriverà dovrebbe almeno chiarire se Ciancimino jr sta bluffando oppure no.

Poi, eventualmente, si potrà valutare l’effettiva importanza delle carte rimaste segrete per tutti questi anni. E interpretare meglio le ultime uscite intorno alle novità vere e presunte nelle inchieste sulle stragi di mafia. A cominciare da quelle di Totò Riina. Il «capo dei capi» di Cosa Nostra sarà probabilmente interrogato nei prossimi giorni dai magistrati di Caltanissetta (titolari delle indagini sulle morti di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli agenti di scorta trucidati con loro), che ritengono indirizzato a loro il «messaggio » mandato da Riina attraverso le dichiarazioni affidate al suo avvocato.
Ma secondo le interpretazioni che circolano nel palazzo di giustizia di Palermo, le frasi del capomafia avrebbero (anche) altri destinatari: gli «uomini d’onore», per ribadire che non ci sono vuoti di potere ma a comandare la mafia è ancora lui; e i nuovi, presunti, referenti politici di Cosa Nostra, subentrati ai vecchi dopo le stragi del 1992 e 1993. Le dichiarazioni di Riina sono arrivate all’indomani della diffusione del frammento di lettera che secondo Ciancimino jr proveniva da Provenzano ed era diretta al premier tramite Marcello Dell’Utri (sul quale pesa una condanna di primo grado per concorso in associazione mafiosa; il processo d’appello è arrivate alle battute finali).

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22 luglio 2009
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