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La Corte europea dice no a Totò Riina

Rigettato il ricorso del boss, che riteneva i suoi diritti violati a causa delle condizioni di detenzione a cui è sottoposto

04 aprile 2014

Lo Stato italiano ha vinto a Strasburgo contro la mafia. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha rigettato il ricorso di Totò Riina, stabilendo che il regime carcerario a cui è sottoposto non viola alcuno dei suoi diritti.
Il capo mafia, attualmente detenuto nel carcere di Milano Opera, si era rivolto alla Corte di Strasburgo sostenendo di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti e alla violazione del suo diritto alla privacy e alla vita familiare a causa delle restrizioni impostegli con il 41bis. Il capo mafia ha sostenuto in particolare che questo regime, a cui è soggetto da anni, ha causato un peggioramento delle sue condizioni di salute e che sia l'illuminazione notturna della sua cella che la videosorveglianza, che si estende anche alle strutture igienico-sanitarie, costituiscono un trattamento inumano e degradante. Riina, nel ricorso, si è anche lamentato dell'insufficiente frequenza delle visite che può ricevere e del fatto che a causa di un vetro di separazione non può avere contatti fisici con i visitatori. Infine ha sostenuto che le autorità controllano la sua corrispondenza.

Tutte tesi che la Corte di Strasburgo ha rigettato una ad una. Per quanto riguarda il regime del 41bis la Corte, nella decisione resa nota ieri, afferma che Riina non ha presentato alcuna prova che porti a concludere che non sia giustificato mantenerlo sotto questo regime. I giudici sottolineano inoltre che, nonostante i suoi numerosi problemi di salute, le autorità gli stanno fornendo tutte le cure necessarie. Neanche l'illuminazione notturna della cella, secondo Strasburgo, comporta inconvenienti tali da raggiungere il livello richiesto per essere ritenuta un trattamento inumano e degradante.
Mentre per la videosorveglianza i togati hanno rigettato il ricorso perché Riina non ha mai presentato alcuna lamentela su questo punto specifico alle autorità nazionali e quindi, secondo le regole della Corte, non ha rispettato uno dei criteri fondamentali per ricorrere a Strasburgo. Infine sul rispetto della sua vita privata e familiare, i giudici  ritengono che, visti i crimini per cui Riina è stato condannato e il fatto che spesso le visite sono state utilizzate per far passare messaggi all'esterno, le restrizioni a cui è sottoposto rientrano nei limiti di quello che è permesso a uno Stato per assicurare la propria sicurezza. E lo stesso vale per il controllo della sua corrispondenza.

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04 aprile 2014
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