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La Cosa Nostra catanese, frammentata e in continuo cambiamento, sta tentando di riorganizzarsi

17 marzo 2008

La galassia della mafia catanese oggi si presenta "frammentata" e in "continuo cambiamento". L'intensa opera di repressione che è stata condotta in questi anni, lo stato di detenzione dei capi storici delle singole famiglie, ed infine il tempestivo arresto dei soggetti che in successione hanno assunto la leadership dei vari gruppi hanno determinato uno stato di grave difficoltà per le singole famiglie mafiose.
Oggi, dunque, ci sono tanti gruppi che operano in maniera autonoma e soltanto alcuni di essi possono considerarsi affiliati a Cosa Nostra e anche quelli che "si trovano in contrapposizione tra loro, a volte stringono alleanze", con "taciti accordi di non belligeranza e non interferenza" per fare affari o evitare l'interesse degli investigatori.
Insomma, attualmente sembrerebbe vigere tra le famiglie una sorta di pax mafiosa, anche se si registrano, inoltre, forti ed inequivocabili segnali di riorganizzazione, agevolata anche dalla remissione in libertà, per fine pena o per effetto dell'indulto, di alcuni soggetti dalla notevole caratura criminale.
E' sostanzialemnte questa l'analisi su Catania e la Sicilia orientale, contenuta nella relazione della Commissione antimafia presentata in questi giorni.

Questo il quadro complessivo fornito dall'Antimafia sulle sei famiglie che operano tra Catania e Siracusa.
La famiglia Santapaola-Ercolano
, affiliata a Cosa Nostra, con le sue articolazioni sia a Catania centro sia in altri paesi della provincia e del distretto alla quale sono collegati, i seguenti sottogruppi: Assinnata, Santangelo, Sebastiano Sciuto, Brunetto, Catania , Squillaci e La Rocca.
La famiglia Laudani, particolarmente presente nei paesi pedemontani ed, inoltre, a Paternò in collegamento con la famiglia Morabito; a Piedimonte Etneo con il gruppo diretto da Di Mauro Paolo; a Randazzo con il gruppo diretto da Rosta e Mangani.
La famiglia Mazzei, affiliata a Cosa Nostra, nella quale è confluito il gruppo dei Cursoti milanesi. Gruppo diretto da Santo Mazzei, detenuto e da Santo Di Benedetto, arrestato il 24 giugno 2007.
La famiglia Cappello: operante in alcuni quartieri catanesi (Civita e San Cristoforo), nel siracusano (Porto Palo) e a Calatabiano con il clan Cintorrino.
La famiglia Pillera-Puntina, presente a Catania, guidata da Corrado Favara e Nuccio Ieni.
La famiglia Sciuto-Tigna, presente a Catania.  A questi storici clan mafiosi più legati al territorio catanese deve aggiungersi la famiglia radicata nel territorio di Caltagirone facente capo a Francesco La Rocca, personaggio di grande prestigio, anch'essa affiliata a Cosa Nostra. 

Il ''pass virtuale'' dei clan imposto agli imprenditori - Gli imprenditori taglieggiati in Sicilia operano come se fossero in possesso di una sorta di pass virtuale, un'autorizzazione verbale non scritta, valido in tutta l'isola che 'tutela' l'azienda rivolgendosi soltanto al suo clan di riferimento in qualsiasi lavoro compia in tutta la regione. Il meccanismo funziona così bene che persino gli imprenditori, anche quelli che provengono da realtà territoriali diverse da quelle isolane, cercano preventivamente il contatto con gli esponenti mafiosi locali per garantirsi il regolare andamento dei lavori.
Lo scrive la Commissione parlamentare antimafia nella sua relazione finale, parlando di estorsioni e appalti pubblici a Catania sottolineando che "la preventiva ricerca dell'esponente mafioso, 'competente per territorio' rappresenta la soluzione sconsolante e sconfortante, ma di certo pragmatica, che consente all'impresa di razionalizzare e preventivare i costi riconducibili alla presenza della criminalità organizzata".
Secondo l'Antimafia, questo 'pass' produce per l'impresa ed il clan tre diversi tipi di vantaggio: solleva l'azienda dall'onere di individuare, contattare e contrattare, di volta in volta, il clan da cui ottenere il 'pass' sul territorio; crea tra i clan una sorta di camera di compensazione; finisce con il calmierare il mercato omogeneizzando in linea di massima i costi della protezione.

"Il capillare sistema di arricchimento parassitario che si concretizza con le estorsioni
- scrive ancora l'Antimafia -, presenta singolari capacità di rigenerarsi e di perpetuarsi, ad onta degli arresti e delle
condanne: in molti di questi casi l'estorsione rimane solo 'sospesa' in attesa che altri appartenenti al clan la rilevino, subentrando agli arrestati e, non di rado, pretendendo anche il saldo degli arretrati"
.
Negli appalti di opere pubbliche ed in quelli di natura privata se di consistente importo, si verifica "una diffusa infiltrazione, produttiva di cospicui guadagni ottenuti non solo con l'imposizione del pizzo, ma anche e soprattutto con il controllo dell'indotto, realizzato attraverso il condizionamento dell'appaltatore, sia nella scelta delle forniture da acquisire presso imprese mafiose o vicine alle consorterie mafiose, sia nella scelta dei sub appaltatori". Questo comporta, per la famiglia che controlla l'appalto, la "possibilità di incrementare gli utili attraverso il meccanismo dei prezzi imposti o della soprafatturazione".  

Anche nella realtà della Sicilia Orientale, così come in quella della Sicilia occidentale, sottolinea l'Antimafia, la collaborazione delle vittime alle indagini delle forze dell'ordine "costituisce per lo più l'eccezione e non la regola". E così va inquadrata anche "la reazione di taluni, pochi imprenditori, come, da ultimo il geometra Andrea Vecchio". Per la Commissione questi casi "rappresentano, in sostanza, solo un timido segnale che ancora non è prova di una unanime e generalizzata tendenza degli operatori economici".

[Informazioni tratte da La Sicilia.it]

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17 marzo 2008
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