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La criminalità unita pronta a colpire

Un documento anonimo inviato alla Dia di Caltanissetta rivela un'alleanza terroristica tra mafia, camorra e 'ndragheta

07 ottobre 2010

Due fatti separati, ma collegati tra loro dal filo della minaccia mafiosa. Due fatti inquietanti che parlano di una criminalità organizzata pronta al contrattacco e  pronta ad impugnare nuovamente le armi.
Il primo dei due fatti è la rivelazione che nei mesi scorsi i collaboratori di giustizia Manuel Pasta, Salvatore Giordano e Maurizio Spataro hanno fatto ai pubblici ministeri della Dda di Palermo, l'intenzione di Cosa nostra, falcidiata dagli arresti e dalle decine di operazioni di polizia degli ultimi anni, di dare un segnale forte allo Stato colpendo magistrati e forze dell’ordine.
I tre pentiti sono stati sentiti dai magistrati Marcello Viola e Francesco del Bene a riscontro delle dichiarazioni di un confidente, il quale aveva raccontato che la mafia aveva deciso di riprendere le armi. Il confidente, mai passato nei ranghi dei collaboratori di giustizia, aveva anche parlato di un incontro tra il boss trapanese latitante Matteo Messina Denaro e altri uomini d’onore, avvenuto allo stadio del capoluogo siciliano durante la partita Palermo-Sampdoria del 9 maggio (LEGGI). Proprio in quell’occasione, secondo il mafioso - che sarebbe stato presente e poi sarebbe stato arrestato - Messina Denaro sarebbe stato contrario a riprendere la strategia stragista.
I pentiti, interrogati dai pm, però, non hanno confermato il summit descritto dal confidente, pur ribadendo che in Cosa nostra si registrava un forte malumore verso magistrati e forze dell’ordine, e si discuteva di nuovi attentati. I progetti – mai attuati – sarebbero stati spinti in particolare dalle cosche di Agrigento.

L'altro fatto, cronaca di oggi, ci parla di un summit di mafia tra rappresentanti dei clan palermitani, uomini della locride e un napoletano che si sarebbe svolto in un casolare alla periferia di Messina, probabilmente il 10 settembre scorso. In quell'occasione sarebbe stato deciso di mettere a punto la strategia concordata in una precedente riunione, e cioé l'uccisione del procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone (due giorni fa la polizia aveva trovato un bazooka a trecento metri dal suo ufficio) e del suo vice Michele Prestipino. Ma nel corso del summit i partecipanti avrebbero fatto riferimento anche ad altri obiettivi dei clan.
Tale inquietante storia è scritta in un documento anonimo (non si sa se l'estratto di un rapporto autentico o un falso), con l'intestazione cancellata e il timbro "Riservato", arrivato per posta alla Dia di Caltanissetta un paio di settimane fa. Il testo, come scrivono oggi alcuni giornali, sembra l'estratto di un rapporto di polizia o di un servizio segreto e riporta le presunte confidenze di un informatore ed è stato considerato "assai serio" .
Tra gli obiettivi, si legge nell'anonimo, ci sono anche il capo della procura di Caltanissetta Sergio Lari, il suo vice Domenico Gozzo e il sostituto Nicolò Marino, "perché si occupano - si legge nel documento - delle indagini sull'attentato a Borsellino". Il documento indica altri due magistrati: Sebastiano Ardita, "perché si occupa delle carceri - si legge - e del 41 bis" e Raffaele Cantone, che prima di passare alla Cassazione si occupava a Napoli del clan dei casalesi. Infine, si parla anche della "richiesta fatta da un 'amico' che è avvocato siciliano con interessi a Locri, di uccidere un giornalista": è probabile si tratti di Lirio Abbate de 'L’espresso', in passato bersaglio di altre minacce e dunque già sotto scorta. Di quest’ultimo, vengono addirittura indicati alcuni recenti spostamenti e incontri che, dopo le opportune verifiche, sono risultati realmente avvenuti.

Un documento che sta tenendo da giorni in allerta le prefetture di mezza Italia. Da Roma a Caltanissetta è tornata così l'allerta attentati. E le misure di sicurezza sono state subito rafforzate. Anche il Comitato per l’ordine e la sicurezza di Caltanissetta è stato allertato e ha aperto un’istruttoria sul caso. Il messaggio consta di un foglio "omissato" nella parte superiore, quella dell’intestazione e si conclude con un macabro avvertimento: nuovi attentati sono pronti a colpire i magistrati antimafia titolari delle inchieste più "calde" contro la criminalità organizzata. Quello che inquieta maggiormente gli inquirenti, però, è il contenuto della missiva, che non si limita a lanciare l’allarme sull’imminente campagna di morte e a indicarne gli obiettivi, ma ne spiega minuziosamente la genesi e la matrice criminale. E che risulta, secondo gli investigatori, particolarmente preoccupante. La strategia comune, che Cosa Nostra avrebbe deciso assieme alla 'ndrangheta e alla Camorra – fa notare chi indaga – ha infatti un clamoroso precedente, che risale proprio al ’92, l’anno delle esplosioni di Capaci e via D’Amelio. Anche nell’anno delle stragi siciliane, infatti, gli attentati a Falcone e Borsellino furono sanciti da una comune strategia stragista, voluta dai boss mafiosi in accordo con i clan della Campania e della Calabria, come risulta dalle ultime acquisizioni dell’indagine denominata "Sistemi criminali".

Il ritrovamento del bazooka destinato a Pignatone appare oggi, alla luce della lettera ricevuta dalla Dia nissena, come una terribile conferma agli avvertimenti lanciati dall’anonimo estensore. Gli inquirenti si chiedono: chi è il reale mittente del messaggio? Si tratta di un’informativa dei servizi segreti, così come parrebbe a un primo esame? E in tal caso, perché non è giunta per le vie ufficiali ai diretti interessati? E se non lo è, chi ha interesse a farla passare per una missiva proveniente dai servizi? Torna, insomma, l’ombra delle agenzie di intelligence deviate, proprio nel momento in cui le ultime indagini della procura di Pignatone sembrano confermare che il monopolio dei rapporti tra criminalità organizzata e 007 infedeli sia passato dalla Sicilia di Cosa Nostra alla Calabria della 'ndrangheta.

[Informazioni tratte da Ansa, Repubblica/Palermo, Il Fatto Quotidiano, Adnkronos]

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07 ottobre 2010
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