La crisi che uccide
"Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio"
Continuano e aumentano, purtroppo, i suicidi per motivi economici, e nelle ultime settimane, sempre più spesso, si sono letti o ascoltati editoriali giornalistici sull’opportunità o meno di darne notizia, o meglio, sulla difficoltà di come darne notizia. Sembra che il timore di molti è quello di poter apparire sciacalli che per vendere qualche copia in più di giornale, o per aumentare la visibilità del proprio notiziario online, ha cancellato qualsivoglia senso di pietas. Sicuramente si può avere sospetto di tale atteggiamento poco opportuno, quando si leggono articoli nei quali la narrazione del dramma spinge il pathos fino alle estreme conseguenze o, ancora peggio, quando nella cronaca il rendiconto di dettagli macabri e raccapriccianti, chiama in causa l’insostenibile attrazione verso la morbosità spesso comune nelle persone.
Noi crediamo sia un obbligo morale raccontare quanto stia accadendo a causa della crisi, ed elevare questo drammatico fenomeno a fenomeno sociale. Insomma, bisogna raccontare che l’economia contemporanea, rivelatasi palesemente sbagliata (e perversa), come una grave pandemia ha contagiato tutto - e tutti -, ed è oramai priorità mondiale trovare il vaccino per questa disastrosa malattia. Pensiamo che il racconto giornalistico di quanto ci sta accadendo sia una era e propria anamnesi, senza la quale diventa molto più difficile raggiungere la giusta diagnosi.
Per questo motivo vogliamo riportare il triste e drammatico racconto di quanto è avvenuto l’altro ieri a Gravina di Catania, dove un manovale 53enne, disoccupato da sei mesi, si è suicidato impiccandosi a una trave di casa sua. Lascia tre figli: una femmina, sposata, e due maschi di 18 e 24 anni.
A trovarlo è stata la moglie al risveglio. La donna ha raccontato agli inquirenti di aver sentito alzarsi dal letto il marito e non vedendolo tornare è andata a controllare e lo ha trovato morto. Ed è stata sempre lei a spiegare ai carabinieri, intervenuti sul posto, che il marito era depresso perché non riusciva a trovare lavoro, neppure sistemazioni saltuarie.
E proprio come una beffa del destino, ieri mattina, mentre i familiari vegliavano la salma in casa, sarebbe arrivata una chiamata che gli offriva un posto di lavoro in un cantiere edile. Sembrerebbe che la moglie avrebbe risposto tra le lacrime all'impresa "perché non avete chiamato prima...".
Una tragedia che ha colpito emotivamente gli abitanti di Gravina di Catania. "Gli effetti della crisi economica, purtroppo, si manifestano nel modo più terribile - ha detto il sindaco Domenico Rapisarda - la vita di un nostro concittadino si è spenta, a quanto si è appreso, a causa di una grave crisi depressiva dovuta alla perdita del lavoro. È una tragedia che tocca da vicino la nostra comunità".
Il manovale morto suicida a Gravina di Catania è solo l'ultima vittima della crisi: negli ultimi dieci giorni si sono susseguite, quasi quotidianamente, notizie di lavoratori licenziati, imprenditori in crisi e disoccupati, gravati dai problemi economici, che hanno compiuto gesti estremi.
Il 7 maggio scorso si sono tolti la vita un commerciante bolognese di 48 anni (disperato per una cartella di Equitalia), e un agente immobiliare di 52, impiccatosi in un parco pubblico di Vicenza (l'uomo stava attraversando un periodo di difficoltà finanziarie).
L’indomani, l'8 maggio, è stato la volta di un 60enne di Saronno, titolare di un'azienda di formazione, trovato impiccato ad un albero all'interno di un parco comunale con in tasca un biglietto in cui la vittima spiegava i motivi del suo gesto estremo: "non ho soldi e non posso pagare i miei dipendenti perché non c'è lavoro"; lo stesso giorno si è impiccato un ex custode 63enne di Salerno, dopo aver saputo che avrebbe dovuto lasciare l'alloggio di servizio. L'uomo, che aveva perso il lavoro da due anni, si è ucciso nello stesso deposito dove aveva prestato servizio e attiguo alla sua abitazione. Anche lui lascia un biglietto: "Perdonatemi sono un fallito. Non ce l'ho fatta più per questo motivo ho deciso di sparire per sempre".
Il 10 maggio sono stati tre i suicidi per motivi economici. Un imprenditore 46enne si suicida nelle campagne tra Molfetta e Terlizzi, in provincia di Bari, perché non riusciva più a pagare i fornitori; un imprenditore campano di 63 anni, in gravi difficoltà economiche, si spara un colpo di pistola alla testa; infine un uomo di 55 anni, in mobilità da alcuni mesi, si suicida nella notte nei boschi vicino Vaiano (Prato), impiccandosi a un albero, dove viene trovato soltanto la mattina. Era depresso per le cattive condizioni economiche in cui versava da un paio d'anni, da quando era morto il padre: il 55enne riusciva a tirare avanti grazie alla pensione dell'anziano genitore.
L’11 maggio è un imprenditore torinese di 72 anni a togliersi la vita con un colpo di pistola. In un biglietto indirizzato alla famiglia aveva spiegato di essere oppresso dalla crisi e di non sapere più come andare avanti con la sua azienda di facchinaggio.
Mentre il 14 maggio si spara un colpo di pistola alla testa, un imprenditore milanese, titolare di un'azienda di costruzioni. Sembra che l'uomo fosse preoccupato dal fatto che la propria azienda non versasse in una buona situazione.
"Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Giudico dunque che quella sul senso della vita è la più urgente delle domande. [...] Un gesto come questo si prepara nel silenzio del cuore, allo stesso modo che una grande opera. L'uomo stesso lo ignora; ma, una sera, si spara o si annega. [...] raramente ci si uccide per riflessione. Ciò che scatena la crisi è quasi sempre incontrollabile. Ma se è difficile fissare l'istante preciso, il sottile processo per cui lo spirito ha puntato sulla morte, è più facile trarre dal gesto stesso le conseguenze che questo presuppone. Uccidersi, in un certo senso, è confessare: confessare che si è superati dalla vita o che non la si è compresa [...]" - Il mito di Sisifo, Albert Camus