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La crisi delle arance di Sicilia

Una volta vi fu il boom (finito negli anni '70). Oggi la concorrenza estera ha abbattuto prezzi e vendite...

10 febbraio 2014

In Sicilia nel 2011 il Pil realizzato dall’agrumicoltura è stato di 681 milioni di euro, nel 2010 di 717 milioni. Il settore è in crisi, soprattutto a causa di un lungo ciclo di crollo dei prezzi che ha messo molti produttori in ginocchio.
Un tempo il "Nord Est" era ai piedi dell'Etna, nel cuore della Piana di Catania, dove tuttora sono coltivati 33 mila ettari di agrumeti su un totale di 93 mila in tutta l'isola. Dagli anni '50 fino agli anni '70 con la produzione degli agrumi quest'area fu protagonista di un boom economico, in particolare con le arance rosse, che produsse fenomeni di migrazione interna, dal Messinese e dalla Sicilia centrale con migliaia di persone che si spostarono verso il Catanese e Lentini. Ma poi il comparto non ha saputo reggere alla concorrenza dei paesi esteri.

E' mancata una modernizzazione produttiva, hanno pesato l'eccessiva frammentazione della proprietà e la debolezza della commercializzazione e del marketing. Non vi è stato il salto verso la trasformazione in vere piccole e medie imprese né la capacità di aggregarsi in forme cooperative come nell'Emilia Romagna oppure nel Trentino. Ora qualcosa si muove. Alcuni giovani con una nuova mentalità stanno investendo sulla terra.
"E' un processo lento ma il cambiamento è possibile", spiega il presidente dell'Ires-Cgil, Tuccio Cutugno.

Intanto i dati sulla perdita occupazionale sono drammatici. "All'aumento quantitativo della produzione si contrappone una drastica riduzione dei prezzi. Migliaia di piccoli coltivatori hanno abbandonato i terreni e quelli che resistono sono in difficoltà. Ai coltivatori le arance vengono pagate al chilo meno di 20 anni fa. I contratti a tempo indeterminato in tutta la provincia di Catania, sono solo 562 su 29,960 unità, dunque appena l'1,89%. Il 13% degli stagionali ufficiali, che prima lavoravano sempre alternando le diverse colture, non supera le 50 giornate lavorative e non può accedere ai benefici previdenziali". Tra lavoratori "ufficiali" e quelli in nero, con forme di sfruttamento a livelli ottocenteschi, in tutta l'isola, più di 60 mila persone lavorano negli agrumeti. Se si aggiungono i piccoli coltivatori e i produttori, siamo dinanzi ad una crisi che riguarda più di 100 mila persone. Angelo Villari, leader della Cgil catanese conclude: "Se il governo nazionale non dà la giusta attenzione a questo settore, se non lo difende in sede europea, si spegnerà un motore dell'economia dell'isola che nonostante la crisi è ancora rilevante". [Articolo di Salvo Fallica, Repubblica.it]

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10 febbraio 2014
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