La crociata degli hacker: pirati informatici o paladini della libertà?
Sono pronti a difendere la propria privacy con le unghie. Gli hacker non hanno né nomi né volti noti: eppure basta navigare un po' in Rete per trovarli e farsi un'idea di quello che sono.
Non dei pirati informatici, come li definisce uno stereotipo comune, ma dei veri militanti del web, seguaci di Tux (il pinguino-logo del famoso sistema operativo Linux), contrari al monopolio delle multinazionali informatiche e capaci di mandare in tilt i server di aziende e istituzioni.
Il loro obiettivo è promuovere la libera circolazione delle idee su Internet e combattere lo strapotere di colossi come la Microsoft tramite la diffusione di free software, di programmi, cioè, il cui codice sorgente (il linguaggio in cui sono stati sviluppati) venga messo a disposizione degli utenti per eventuali cambiamenti e modifiche.
Per raggiungere questi obiettivi gli hacker creano gruppi di lavoro - i cosiddetti hacklab - organizzano seminari, campagne d'informazione on-line, raduni internazionali.
Di questi ultimi il più importante in Italia è l'Hack-it.
Nato nel 1998, dopo aver fatto tappa a Firenze, Milano, Roma e Catania, quest'anno la manifestazione è approdata a Bologna, nell'ultima settimana dello scorso giugno.
Ma la storia inizia almeno 20 anni fa quando Internet praticamente non esisteva e i primi attivisti virtuali erano legati al circuito delle bbs. Da allora è cambiato praticamente tutto, tecnologie comprese e nel 1998 è nata anche l'esigenza di un appuntamento "fisico" per una comunità virtuale che con il boom di Internet è cresciuta a dismisura.
Il cuore dell'hackmeeting, infatti, non è nient'altro che uno spazio dove ogni avventore mette il suo computer in rete con gli altri per scambiarsi informazioni, aggiornamenti tecnici e sperimentare tecnologie e programmi autoprodotti, tutti o quasi sviluppati utilizzando software libero da copyright e in particolare Gnu/Linux.